lunedì 22 agosto 2022

Treni 2218 e 2275 (Bergamo-Milano Lambrate): ritardi maggio-luglio 2022

Fig. 1: distribuzioni cumulative dei ritardi per il treno 2218 delle 8:02
nei trimestri maggio-luglio dal 2015 al 2022.
Fig. 2: andamento mensile dei ritardi per il treno 2218 (8:02).
Fig. 3: come in Fig. 1, ma per il treno 2275 delle 17:41.
Fig. 4: come in Fig. 2, ma per il treno 2275 delle 17:41.
La notizia del passato trimestre è che... fa caldo! E quale motivo migliore per ritardi, cancellazioni e altre amenità? Qualcuno dirà: "Ma questi eventi accadono anche d'inverno!". Vabbè, ma allora fa freddo (anche se sempre meno); e poi per allora ci si inventerà qualche altro motivo. Ma intanto, ecco uno dei tanti link alle sempre più pirotecniche scuse di questa società da smantellare prima possibile.

Veniamo ai numeri: nel periodo in esame il 2218 conferma il dato del bimestre precedente e colleziona la peggiore prestazione degli ultimi otto anni (vedi Fig. 1)! Puntualità al 5% (al 53% dopo 5'), massimo ritardo di ben 93 (novantatré!!) minuti, capaci di superare persino il mitico record fantozziano di applausi.

L'andamento storico dei ritardi (Fig. 2) conferma il peggioramento iniziato da metà 2021 (non che prima le cose andassero bene, sia chiaro), evidenziando che ormai tutte le curve sono stabilmente sopra la fascia dei 5' anziché sotto (forse a Trenord hanno fatto confusione).

Se l'andata a MI è una pena, il ritorno è peggio: anche il 2275 (Fig. 3) riesce ad esprimersi al suo peggio, con puntualità al 21% (al 54% entro 5') e massimo ritardo di "solo" 76 (settantasei!) minuti. Da notare che non è solo la "coda" che peggiora, ma anche il comportamento, diciamo così, "intrinseco" della prima parte della distribuzione, il che non è un bel segnale!

L'andamento storico conferma il pessimo trimestre: a giugno e luglio tutti gli indicatori sono saliti sopra i 5'; un fatto che non si era praticamente mai verificato negli anni passati, ma che sta diventando più frequente dalla fine del 2021. Sempre meglio!!

Nota: i dati sono raccolti personalmente o da app Trenord. Per correttezza, bisogna specificare che i ritardi sopportati dai pendolari su questi due treni non sono indicativi dei ritardi complessivi, che sta ad altri raccogliere e rendere pubblici. Idem per i rimpalli di responsabilità tra Trenord, Rfi, e quant'altri. Qui si cita Trenord in quanto è ad essa che i poveri pendolari versano biglietti ed abbonamenti, e ai quali dovrebbe rispondere del servizio.

giovedì 28 luglio 2022

Molteni-Camporini

Accesso.
Edo sul 2° tiro.
Daniela sul 3° tiro.
Daniela sul 6° tiro. In azzurro la "variante".
Alberto sul 9° tiro.
tracciato di salita (rosso) e di discesa (verde)
con le soste di calata.
La relazione della guida TCI del 1936.
Pizzo Badile
Parete SE

Accesso: la partenza canonica è dal rifugio Gianetti (ma non mancano le cordate che fanno tutto in giornata), ove si giunge risalendo la Valtellina e la Val Masino fino a Bagni di Masino e parcheggiando al termine della strada (5€ al giorno); da qui si prosegue seguendo le indicazioni (circa 2,5 h di marcia).
Dal rifugio, guardate la cresta che scende dal Badile, presso cui corre la via normale di salita. La via sale sulla parete a destra della cresta, alla cui base c'è un avancorpo roccioso: lo si può aggirare da sinistra o da destra. Nel primo caso, si sale subito dietro il rifugio, seguendo la traccia (e la fila di persone) che salgono verso l'attacco della via normale di salita. Raggiuntolo, si prosegue verso destra. In alternativa, dal Gianetti si segue brevemente per il rif. Allievi e si sale poi a sinistra, nel largo canale a sinistra della Punta Enrichetta (singolare struttura con lisce placche, di forma conica se vista dal rifugio), congiungendosi con il percorso precedente.
Giunti sotto la parete SE, si identificano delle strisce nere verticali (visibili anche dal rifugio) e, alla loro destra, delle righe nere orizzontali. La via attacca appena a destra, in corrispondenza di un diedro appoggiato. Circa un'oretta dal rifugio.
Relazione: una classicissima del Badile, che risale la parte da destra a sinistra con ottima intuizione. Come dice Gaddi in Nel regno del granito (p. 207), la via "mostra come l'occhio alpinistico degli anni '30 poteva permettersi di superare le grandi pareti alpine con il classico spirito ardito d'altri tempi". Mai difficile (il famoso traverso è protetto da corda fissa), ma poco chiodata, richiede un minimo di capacità di orientamento nei tiri centrali (4°-6°) sulle placche, dove comunque sono possibili infinite varianti e dove probabilmente si trovano altrettante soste sparse qua e là. Portare friend piccoli e medi. Attenzione alla ressa di cordate nei giorni festivi, con imbecilli che sorpassano in ogni dove; evitate se possibile!
1° tiro: salire il diedro gradinato sulla destra e continuare verso sinistra sino alla sosta. 50 m, III, un chiodo. Sosta su due chiodi con cordino e maglia-rapida.
2° tiro: seguire un diedro molto abbattuto sulla sinistra, che piega ad arco. Salire su un gradino e continuare a sinistra fino alla sosta. 60 m; III, IV; tre chiodi. Sosta su due fix e cordone.
3° tiro: salire i due corti diedri e proseguire verso sinistra per rocce più facili. 30 m, V, III; due chiodi. Sosta su fix e chiodo con cordone.
4° tiro: risalire una cengia erbosa a sinistra della sosta. Alla fine dell'erba si continua a obliquare a sinistra su rocce facili sino a raggiungere un'altra cengia dove si sosta in prossimità di un masso fessurato. 30 m, III. Sosta su cordone con anello su masso fessurato e chiodo.
5° tiro: salire dritti partendo leggermente a destra della sosta, superare qualche metro verticale con passi più delicati e spostarsi verso sinistra su rocce più facili e appoggiate, con alcune fessure che vanno da sinistra a destra. Da qui salire più o meno dritti fino alla sosta. 40 m, III, un chiodo. Sosta su fix e chiodo con cordone.
6° tiro: portarsi a sinistra verso un diedro fessurato. Prima di raggiungerlo, salire la placchetta a destra e raggiungere la cengia dove si sosta. È possibile anche raggiungere la parete (un chiodo) e indi salire, ma si deve poi tornare indietro sulla cengia per raggiungere la sosta (se fate questa scelta, allestite una sosta in una nicchia). 35 m, IV, III, I. Sosta su fix e chiodo con cordone.
7° tiro: seguire la rampa che si alza in un diedro, e proseguire fino alla sosta alla base di un diedro. 30 m, IV+, 1 chiodo. Sosta su due fix e maglia-rapida arrugginito.
8° tiro: salire per il diedro e continuare fino alla sosta. 40 m; V, IV; due chiodi. Sosta su fix e due chiodi.
9° tiro: traversare a sinistra seguendo una corda fissa nuova di zecca, rimontare un muretto fino ad una placca inclinata e superare la paretina fessurata (o il diedro sulla destra) ed il successivo muretto. 40 m, VI+ (o A0 su corda fissa), V+, IV+; una corda fissa, un chiodo, una sosta intermedia su due chiodi. Sosta su due fix.
10° tiro: salire la placca sfruttando inizialmente un diedro fessurato; raggiunto un intaglio proseguire con facile e divertente arrampicata lungo lo spigolo sino alla sosta. 50 m, III, IV, 2 chiodi. Sosta su due fix.
11° tiro: continuare lungo il filo dello spigolo. Raggiunta la cresta, si aggira a destra (facile, ma esposto) un breve salto verticale e ci si abbassa al terrazzino di sosta. A metà tiro c'è una sosta da utilizzare se le corde fanno troppo attrito. 50 m, IV; un chiodo, una sosta intermedia (fix e chiodo). Sosta su due fix e anello di calata.
12° tiro: si rimonta la cresta e la si segue fino al bivacco Redaelli dove si attrezza una sosta. 25 m; II, III.
Da qui, portatevi sulla sinistra (faccia al bivacco) verso un intaglio, oltre il quale una crestina porta alla piramide di vetta. Qui, non dimenticate un pensiero per il tenero Buddha, vittima dell'intolleranza.
Discesa: dalla piramide, guardate verso il rif. Gianetti. Ci sono due canali che scendono più o meno verso destra e verso sinistra. Scendete lungo il secondo. Poco dopo si trova un anellone di calata, ma è possibile (valutate voi!) scendere a piedi (II), superando un altro anello e giungendo ad un terrazzo con anellone dove si arriva direttamente con la calata. Da qui si può proseguire lungo la normale, ma conviene portarsi ad una sosta (due fix con catena ed anello) appena a sinistra dell'anellone. Da qui, con sei calate tra i 30 e i 40 m si è alla base della parete SO (riferimenti con faccia a monte):
1a calata: lungo il canale fino ad una terrazza con una lastra di traverso: alla destra c'è la sosta;
2a calata: non proseguire nel canale, ma lungo la parete di destra. La sosta è sulle placche;
3a calata: non scendere verso destra lungo il catino, ma in verticale. La sosta è prima delle cenge orizzontali;
4a calata: ancora dritti lungo la parete che diviene verticale;
5a calata: in verticale lungo la parete nerastra;
6a calata: breve discesa fino a terra.
Dalla base delle calate si scende facilmente verso il rif. Gianetti (ometti).

E adesso, provate a pensare di dover ripetere la via con la relazione che compare nella Guida Monti Masino Bregaglia Disgrazia di Aldo Bonacossa del 1936, scritta un anno dopo l'apertura della via, e meditate su come è cambiato il modo di andare in montagna.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

lunedì 25 luglio 2022

Papillon

Alberto sul 1° tiro.
Ancora lui sul 3° tiro.
Sul 4° tiro.
Punta Ostanetta
Parete NO

Accesso: si raggiunge la frazione Montoso del comune di Bagnolo Piemonte. Da lì sono ben visibili i tre ecomostri che rovinano il crinale e costituiscono la frazione Rucas. Raggiuntili, ci si porta in fondo al piazzale e si prende una sterrata un po' sconnessa che si stacca sulla destra, con indicazione poligono di tiro. Si può parcheggiare appena fuori dal poligono (o anche all'interno se non c'è ressa; i gestori sono molto gentili e hanno sempre pronta una tazza di caffè), oppure proseguire in auto (poco raccomandato a meno che il fondo della vostra auto non sia alto) fino a raggiungere una cava (mezz'oretta a piedi). Da qui si prosegue lungo il sentiero, prendendo a sinistra ad un bivio su massi (indicazione un po' sbiadita pareti roccia) e raggiungendo la parete all'altezza della via Superphenix. Si costeggia la parete verso destra superando la zona della striscia bianca fino all'attacco, a destra della via classica (targhetta con nome). Circa 1h15' dal poligono.
Relazione: bella via che risale la parte bassa della parete per placche. Protezioni ottime a fix, un poco più distanziate nei tratti più facili; inutili friend. Tutte le soste meno la terza (su due fix da collegare) sono attrezzate per la calata. Molto belli il 4° e 5° tiro.
1° tiro: partenza un po' scorbutica che conduce ad un vago diedrino da cui si esce in placca sulla destra, per poi salire alla sosta. 30 m, 6a, otto fix.
2° tiro: salire sul filo dello spigolo, spostarsi a sinistra (più facile) e continuare fino alla sosta. 10 m, 6a+, quattro fix.
3° tiro: salire in placca fino a prendere una fessura superficiale che si segue fino alla sosta. 15 m, 6b, sei fix.
4° tiro: salire un paio di gradoni e raggiungere una sosta. Continuare per una lama e per placche verso destra fino ad uno spigolino, oltre il quale una lama conduce in sosta. 35 m, 5c; otto fix, una sosta intermedia.
5° tiro: salire a destra della sosta per una fessurina, traversare a destra a doppiare uno spigolino e continuare per una lama fino alla sosta. 25 m, 6b, dieci fix (uno con cordino).
6° tiro: aggirare il muretto lungo la fessura sulla sinistra, continuare per balze fino ad una placchetta finale. 25 m, 5b; sei fix. Da qui è possibile traversare a destra in discesa e continuare per la via delle clessidre. Noi abbiamo optato per una birretta prima del lungo rientro a casa.
Discesa: ci si cala in doppia. Se avete due mezze corde, ve la cavate con tre calate:
1a calata: lievemente verso sinistra (faccia a monte) ad andare a prendere la 4a sosta della via;
2a calata: lungo la via fino alla 2a sosta;
3a calata: a terra.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

venerdì 22 luglio 2022

Passaggio a nord-ovest

Alberto sul 2° tiro.
Sul 4° tiro.
Alberto sul 5° tiro.
Sul 7° tiro.
Tracciato della via.
Punta Ostanetta
Parete NO

Accesso: si raggiunge la frazione Montoso del comune di Bagnolo Piemonte. Da lì sono ben visibili i tre ecomostri che rovinano il crinale e costituiscono la frazione Rucas. Raggiuntili, ci si porta in fondo al piazzale e si prende una sterrata un po' sconnessa che si stacca sulla destra, con indicazione poligono di tiro. Si può parcheggiare appena fuori dal poligono (o anche all'interno se non c'è ressa; i gestori sono molto gentili e hanno sempre pronta una tazza di caffè), oppure proseguire in auto (poco raccomandato a meno che il fondo della vostra auto non sia alto) fino a raggiungere una cava (mezz'oretta a piedi). Da qui si prosegue lungo il sentiero, prendendo a sinistra ad un bivio su massi (indicazione un po' sbiadita pareti roccia) e raggiungendo la parete all'altezza della via Superphenix. Poco più a destra si nota una targhetta sopra un terrazzo che segna l'attacco della via. Circa 1h15' dal poligono.
Relazione: via molto bella e piacevole, che risale la parete per fessure, diedri e placche. Protezioni ottime a fix, solo un poco più distanziate nei tratti più facili; inutili friend a meno che non decidiate (fatelo!) di percorrere gli ultimi due tiri della Via della fessura, nel qual caso uno o due friend medi possono essere utili per l'ultimo tiro. Tutte le soste sono su due fix con cordone ed anello di calata.
1° tiro: salire sul terrazzo di partenza e continuare per una placca fessurata, salire per un vago diedro aperto che poi diviene più verticale e porta ad un terrazzo sulla destra con la sosta. 35 m, 5c (passo), otto fix.
2° tiro: spostarsi a destra, risalire lungo una lama e uscire a sinistra in placca, proseguendo fino alla sosta. 40 m, 5b, nove fix.
3° tiro: salire in placca verso sinistra puntando ad una lama ad arco che diviene verticale, seguirla e continuare in placca fino alla sosta. 30 m, 6a (un passo in placca), nove fix.
4° tiro: salire la placca ed il bel diedro fino alla sosta sulla sinistra. 25 m, 6a; nove fix (uno con cordino), un chiodo.
5° tiro: dritti e poi verso destra per placca fino ad una cengia dove ci si raccorda con la Via della fessura, superare uno spigolo e raggiungere la sosta. 35 m, 5b, nove fix. Sosta su fix, fittone, chiodo, cordini e amenità varie. Poco più a destra si nota una sosta con un fix arancione che si utilizzerà in discesa.
6° tiro: salire a destra della sosta fino ad un terrazzo. 15 m, 4b; due spit, un chiodo.
7° tiro: salire per il diedro sopra la sosta, continuare per una strozzatura e poi per salti più facili fino ad una sosta dall'aspetto un po' inquietante su albero secco. Conviene continuare ancora verso destra (eventualmente aggirando la sosta dall'alto) fino ad una sosta a fix ben più rassicurante. 40 m; 4c, IV; tre spit, una sosta su albero con cordini ed anello di calata. Sosta su due fix, catena ed anello di calata.
Discesa: ci si cala in doppia. Se avete due mezze corde, ve la cavate con quattro calate, tutte da 50-55 m (tranne l'ultima):
1a calata: lievemente verso sinistra (faccia a monte) ad andare a prendere la sosta su fix arancione vicino alla 5a sosta della via;
2a calata: lungo la via fino alla 3a sosta;
3a calata: lungo la via fino alla 1a sosta;
4a calata: a terra.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

lunedì 27 giugno 2022

Riviera del Garda classico DOC Rosa dei frati 2021 Cà dei frati

"Sono capaci tutti di bere rosati quando ci sono 34°C", direte voi!
E quindi? Beveteli pure voi, no? Che poi io me li bevo volentieri tutto l'anno... ma pensa te cosa mi tocca sentire...

Comunque, tra i numerosi ottimi rosati che si producono nel Belpaese bisogna certamente elencare quelli del Garda meridionale... e tra le cantine della zona non si può non citare Cà dei frati, che opera in quel di Sirmione dal 1939. Se il Lugana è il loro marchio di fabbrica, la produzione si è col tempo allargata ad una decina di bottiglie, tra cui un rosé mosso ed il nostro Rosa, che nasce da uve Groppello, Marzemino, Sangiovese e Barbera.
Vinificazione in acciaio, affinamento per sei mesi in acciaio e due mesi in bottiglia, niente malolattica, come buona parte dei rosati gardesani. Il risultato è un vino dal colore non troppo intenso, invitante.
Al naso si percepiscono aromi delicati di ciliegia e di fragola, con note floreali e di mela. All'assaggio il vino è gradevole e leggero, fresco e di pronta beva, con tenore alcolico contenuto ed una persistenza interessante.

Dire che è un vino da bersi d'estate è una banalità... la realtà è ancora più semplice: è un rosato da bere... e poi continuare a bere!

Gradazione: 12,5°
Prezzo: 11€

mercoledì 8 giugno 2022

Ristorante Boivin

Sformato di zucca e castagne.
Tortelli di carciofo
Pressknodel di formaggio grigio e verza brasata
Capretto arrosto in fricassea
Bonet
Torta di arance e mandorle
Levico Terme (TN)
via Garibaldi 9

Seconda tappa alla scoperta gastronomica della Valsugana, e che tappa! A Levico Terme, da Boivin, si entra in un mondo sospeso dove gli arredi sono rustici, caldi e accoglienti (c'è anche una terrazza), ma la cucina inserisce nei piatti della tradizione trentina un sapore contemporaneo e, sia da intendersi nella sua migliore accezione, globale. Nato negli anni '60, il ristorante-enoteca privilegia i prodotti locali, meglio se biologici o biodinamici, con attenzione per le erbe di campo, i fiori e i frutti della terra. Sei-sette antipasti, altrettanti primi e quattro secondi compongono il menù. La qualità è ottima (ed il prezzo un po' più alto della media), quindi avviso gl'improbabili lettori che rischio di essere ripetitivo nel seguito.
Abbiamo iniziato con un antipasto di sformato di zucca e castagne, con la zucca presentata a cubetti e accompagnata da foglie di polenta. E da qui abbiamo incominciato a capire che la cena si metteva per il verso giusto...
Interessanti i primi (a parte le tagliatelle alla bolognese), tra tortelli, gnocchi e canederli. Io scelgo senza indugio i tortelli di carciofo, che sono di una delicatezza estrema; ne avrei mangiati altri tre piatti almeno! Mio nipote, che mi accompagna in questa avventura, ordina i pressknodel (ovvero dei canederli pressati e rosolati nel burro prima della canonica cottura in brodo) di formaggio grigio della valle Aurina e verza brasata, un tempo il pasto di pastori e malgari. Non li ho assaggiati, ma la rapidità con cui sono spariti mi ha fatto sospettare che fossero di suo gusto.
Sui secondi il tavolo è unanime: capretto arrosto in fricassea con carciofi e polenta. Ancora i sapori che si amalgamano perfettamente, la carne tenerissima e gustosa. Molto, molto buono.
Ben fornita anche la cantina, con ovvia predilezione per le etichette della zona; e del resto il locale (come si vede sul biglietto da visita) è anche enoiteca, termine che risale a Veronelli e che rimanda ad un concetto di familiarità. Un plauso anche al sommelier per la competenza dimostrata nelle proposte (la cosa dovrebbe essere ovvia, ma purtroppo non è sempre così). Mi oriento (sai che novità...) verso il Pinot noir, rimanendo nella Valsugana. La bottiglia di Terre dei Lagorai è giovane, con i profumi di frutti rossi in evidenza, senza barrique tra le scatole, e accompagna bene la cena.
A questo punto noi saremmo già strapieni, ma fedeli al precetto che ormai si mangia più per golosità che per appetito non rinunciamo al dessert. Tra strudel, cheesecake e semifreddo scelgo... un'insolita torta di arance e mandorle che conclude degnamente la cena, insieme al bonet (o bunnet, com'è chiamato qui). Unico neo dei dolci: il ciuffo di panna montata spruzzato direttamente dalla bomboletta prima di portare il piatto in tavola; veramente una pessima idea da eliminare il prima possibile! A parte questo dettaglio, e un servizio un po' da accelerare, è un posto dove tornare assolutamente!

Il conto: 130 € per:
1 antipasto
2 primi
2 secondi
2 dessert
1 bottiglia di vino (25 €)
1 bottiglia di acqua
2 bicchieri di vino da dessert (12 €)
2 caffè

domenica 5 giugno 2022

Balicco-Botta

La relazione originale (Annuario CAI BG 1954, pp 49-50)
Sul 1° tiro.
Sul 3° tiro.
Sul 4° tiro: "quelli veri" a sinistra (foto tratta dalla
guida di Tomasi), io a destra.
Tracciato della via
Presolana occidentale
Parete S

Accesso: raggiungere la malga Cassinelli parcheggiando a sinistra poco prima del passo, in corrispondenza di una chiesetta (cartello "Cantoniera della Presolana"), seguire la strada che si stacca in salita fino al secondo tornante e lasciarla per proseguire lungo il sentiero. In alternativa, parcheggiare qualche centinaio di metri prima sulla destra, nei pressi dell'Hotel Spampatti, e seguire la strada di fronte e subito il sentiero a destra (indicazioni per baita Cassinelli), che sale nel bosco e si congiunge con il precedente. Superare la malga Cassinelli e risalire il ghiaione (segnavia 315 per il bivacco Città di Clusone e Grotta dei Pagani), oltrepassare il bivacco e la cappella Savina e proseguire. Ignorare una traccia che sale al primo ghiaione (porta al torrione Scandella) e risalire il secondo fino alla grotta dei Pagani, dove folte e - ahimè - chiassose comitive si preparano per la salita alla Presolana lungo la via normale. Salire la via normale (bolli rossi) superando l'attacco di Un pensiero per Amos e raggiungere il cengione. Proseguire fino ad un evidente nicchia sotto degli strapiombi giallastri, a destra della quale si nota una fessura con chiodo alla base e fix con anello a sinistra (che pertiene alla via normale).
Relazione: via del lontano 1954 che risale la parete sopra il cengione, con difficoltà contenute e su roccia generalmente buona (ma è d'obbligo fare molta attenzione perché sotto corre la frequentatissima via normale; meglio evitare nei festivi). La via è stata recentemente dotata di soste a fix mentre la chiodatura è rimasta tradizionale; utile qualche friend per integrare. Visto lo sviluppo, non aspettatevi un "vione", ma è certamente un itinerario meritevole di ripetizione. Tutte le soste tranne l'ultima sono su due fix e cordone.
1° tiro: salire i primi metri dell'evidente fessura, continuare superando un muretto e un vago diedro, per spostarsi a destra alla sosta. 30 m; IV+, V-; tre chiodi (uno con fettuccia marcia), un cordone in clessidra.
2° tiro: salire a destra della sosta puntando all'evidente cordone, superare un ultimo risalto e pervenire ad una zona di rocce rotte. Ignorare un cordone nel canale a destra (forse della via Scudeletti) e portarsi verso la parete giallastra alla cui base si sosta. 30 m; IV+, III; un chiodo con cordino, un cordone su spuntone, un cordone in clessidra.
3° tiro: salire a destra per lame e fessure sino ad uscire su una terrazza dove si sosta. 20 m; III, IV+, IV; un cordone in clessidra.
4° tiro: salire l'evidente rampa-diedro e, quando diviene verticale, traversare a destra (esposto). Proseguire in verticale lungo rocce un po' malsicure sino alla sosta alla base di un pilastrino. 30 m; IV, V-, IV, III; un chiodo, un cordone in clessidra.
5° tiro: salire facendo sempre attenzione alla qualità della roccia (e dell'erba...) fino a raggiungere una crestina dove si sosta. 50 m, II. Sosta da attrezzare su spuntone.
Discesa: procedere brevemente verso destra (rispetto alla direzione di salita) fino ad incontrare una traccia che mena in vetta alla Presolana Occidentale. Da qui si scende lungo la via normale.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

giovedì 2 giugno 2022

Genepì

Sul 1° tiro
Anna sul 2° tiro
Sul 3° tiro
Anna sul 6° tiro
Tracciato della via (arancio). In rosso
la via Monzesi.
Zucco Barbisino (Gruppo dei Campelli)
Parete N

C'è un periodo magico nel gruppo dei Campelli, e coincide con il breve intervallo in cui è chiusa la funivia da Barzio. Allora, solo pochi orobici che risalgono le aride piste da sci di Valtorta si affacciano sui sentieri e le cime, e praticamente nessuno si palesa sotto la parete N del Barbisino. L'ambiente sembra selvaggio ed isolato, e scalare pare quasi un lusso. Ma bisogna approfittarne subito, perché, come tutte le magie, si dissolve presto lasciando solo un piacevole ricordo...

Accesso: da Barzio si prende la funivia dei piani di Bobbio e si segue lo sterrato (non prendere la prima deviazione a destra) fino a giungere in vista dello spigolo della parete N del Barbisino, e per prati si raggiunge una costruzione con indicazione per il sentiero n. 101. A questo stesso punto si giunge da Ceresole di Valtorta risalendo le piste da sci (la costruzione è al termine dell'ultima salita). Si segue quindi il segnavia 101, si passa sotto l'avancorpo e la falesia dell'era glaciale e si prosegue fino alla parete vera e propria. Si sale verso la parete per una vaga traccia in corrispondenza di una zona di sfasciumi e si punta all'evidente grossa nicchia, più o meno alla base del pendio erboso che delimita la parete. Pochi metri alla destra della nicchia sale una larga fessura obliqua. La via attacca alla base della fessura (fix con cordino visibile poco più in alto). A destra, oltre lo spigolo, attacca la Monzesi. Appena a sinistra si vede un fix di Verde valle natia.

Relazione: bella via che risale la parete N del Barbisino sul suo lato destro. Protezioni buone a fix, anche se un paio di friend possono essere utili per accorciare qualche tratto (ma non è sempre possibile integrare con facilità). Passi obbligati intorno al 5c/6a.
1° tiro: salire i primi metri nella spaccatura e abbandonarla, proseguendo dritto e uscendo poi a sinistra alla sosta. 35 m; 5c (forse un passo di 6a); sei fix (uno con cordino), due chiodi. Sosta su due fix, cordino e maglia-rapida.
2° tiro: salire in obliquo verso destra fino ad uscire sulla cengia. 15 m, 4a; un fix, un chiodo. Sosta su due fix, cordino e maglia-rapida.
3° tiro: salire per placca a sinistra della sosta, superare un muretto e continuare per un diedro ed una lama che porta alla sosta sulla sinistra. 15 m; 6b (i primi metri), sei fix. Sosta su due fix.
4° tiro: salire prima verso sinistra, poi a destra fino a superare il corto muretto finale che porta alla sosta. 15 m, 5b (passo), tre fix. Sosta su due fix, cordino e maglia-rapida.
5° tiro: procedere per sfasciumi puntando allo spigolo, salirlo inizialmente sul lato destro fino a rimontare il pulpito. 25 m, 5a; due fix, due chiodi. Sosta su due fix, cordino e maglia-rapida.
6° tiro: salire dritti, portandosi sulla parete a sinistra dello spigolo 25 m, 6a+; sette fix. Sosta su due fix, cordino e maglia-rapida. Il tiro mi è sembrato meno difficile del 3°, ma è più continuo e le protezioni sono un poco più distanziate. Calatevi da questa sosta se volete scendere in doppia.
7° tiro: la relazione indica un tiro che piega verso destra, ma me ne sono accorto solo dopo. Io sono invece salito lievemente verso sinistra, su roccia ed erba, fino a trovare un masso sufficientemente affidabile su cui sostare. 35 m, II. Sosta da allestire su spuntone.

Discesa: se scendete in doppia (dalla sesta sosta) e usate due mezze corde, ve la cavate con tre calate: la prima fino alla quarta sosta, poi alla prima e indi a terra. Se invece optate come noi per un giro più lungo, percorrete il settimo tiro e salite per erba tenendo verso destra fino a giungere ai prati sommitali. Da lì verso destra a prendere il sentiero che porta al vallone dei camosci o quello sulla destra che riporta sul sentiero di arrivo.


Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

venerdì 27 maggio 2022

Treni 2218 e 2275 (Bergamo-Milano Lambrate): ritardi marzo-aprile 2022

Fig. 1: distribuzioni cumulative dei ritardi per il treno 2218 delle 8:02
nei bimestri marzo-aprile dal 2015 al 2022.
Fig. 2: andamento mensile dei ritardi per il treno 2218 (8:02).
Fig. 3: come in Fig. 1, ma per il treno 2275 delle 17:41
(nel 2020 il treno non ha praticamente circolato nel bimestre).
Fig. 4: come in Fig. 2, ma per il treno 2275 delle 17:41.
Le notizie del bimestre, della serie si-ride-per-non-piangere, sono due. La prima (che in realtà risale a febbraio) riporta l'ennesimo piagnisteo di Trenord, che sarebbe preoccupata per il termine dello stato di emergenza, ovvero per il termine dei sussidi statali, invece di rallegrarsi per poter finalmente tornare a lavorare. Cito dall'articolo:
Si tratta dell’ennesima dimostrazione che le aziende monopoliste al riparo dalla concorrenza e inefficienti, come Trenord, preferiscono perdere passeggeri ma avere i ristori dallo Stato piuttosto che guadagnare producendo un buon servizio e riducendo i costi (che nel caso dell’azienda lombarda sono di 20 euro per km percorso, contro i 12 della media nazionale).
A fronte di questa situazione paradossale (ma non troppo: se Trenord fosse concorrenziale perché affidargli il servizio senza gare, come fa da sempre Regione Lombardia?) si può leggere qui una notizia che fa un pochino vomitare (il grassetto è mio):
l’amministratore delegato di Trenord Marco Piuri [...] ha ottenuto nel corso degli ultimi due anni aumenti molto consistenti del suo compenso annuale [e] percepisce oggi, tutto compreso, 568mila euro, con un aumento consistente nel corso del 2020, l’anno nero della pandemia. [...] Insomma, mentre a Trenord piangevano miseria e tagliavano corse, il vertice vedeva lievitare il proprio compenso. Non c’è bisogno di chiedersi che cosa ne pensino i pendolari, ma credo che nessuno se ne sia preoccupato.
L’incremento è dovuto sostanzialmente a un bonus di oltre 200mila euro, assegnato non da Trenord, ma da FNM. L’importo è legato all’aver concluso con successo alcune acquisizioni societarie, in particolare di aver portato a termine l’integrazione di Milano Serravalle, la società autostradale che gestisce un tratto della A7 e le tangenziali milanesi, che possiede quote rilevanti nella Brebemi e nella Tem, la tangenziale esterna di Milano. Ma come, il manager che deve far funzionare la mobilità sostenibile, quella ferroviaria, viene premiato perché integra una società autostradale che fa profitti sul transito di auto private e Tir?
E vediamo cosa ne hanno ricavato i pendolari bergamaschi a fronte di questi lauti compensi: nell'ultimo bimestre il treno 2218 continua a vantare le prestazioni peggiori degli ultimi otto anni! Puntualità ad un misero 12%, al 46% con 5' di ritardo, miglior (?) prestazione di ben 37 minuti di ritardo! Dallo "storico" di Fig. 2 vediamo che poco o nulla è cambiato rispetto al primo bimestre: anzi, sono sette-otto mesi che il 2218 è diventato uno schifo!
Il treno 2275, invece, viaggia (si fa per dire...) pure lui peggio che nel 2021: puntualità al 32% e al 71% entro 5'. Come ormai accade da secoli senza che nessuno se ne preoccupi, il restante 30% dei treni (circa uno su tre) subisce però un ritardo inqualificabile, superiore ai 15'. Certo, se proprio si vuole avere un treno che faccia il giro attorno a Bovisa, un minimo di raziocinio imporrebbe di togliere le fermate di Pioltello e Treviglio ovest, ma evidentemente questo lo capiscono tutti i pendolari, ma non chi decide le fermate. Anche perché, in effetti, queste due stazioni andrebbero completamente eliminate dalla tratta BG-MI!

Nota: i dati sono raccolti personalmente o da app Trenord. Per correttezza, bisogna specificare che i ritardi sopportati dai pendolari su questi due treni non sono indicativi dei ritardi complessivi, che sta ad altri raccogliere e rendere pubblici. Idem per i rimpalli di responsabilità tra Trenord, Rfi, e quant'altri. Qui si cita Trenord in quanto è ad essa che i poveri pendolari versano biglietti ed abbonamenti, e ai quali dovrebbe rispondere del servizio.

martedì 24 maggio 2022

Alto Adige DOC Lagrein 2015 Cantina prod. St. Pauls

Se vi dico "vitigno autoctono dell'Alto Adige", a cosa pensate? Tranne qualche connoisseur che citerebbe la Schiava, la stragrande maggioranza indicherebbe il Lagrein, e a buon diritto! Dopo aver superato un periodo di relativo oblio, è oggi più "alla moda" che mai, e non c'è cantina in alto Adige che non lo annoveri tra la sua produzione. In questo panorama, ovviamente non mancano le belle sorprese, ma era veramente da molto tempo che non assaggiavo un Lagrein così convincente come questo, della Cantina produttori S. Paolo.
La cantina nasce nel 1907, ed oggi può contare su più di 200 soci conferitori. La produzione è variegata e comprende le classiche etichette dell'Alto Adige e alcune cuvée. Due le realizzazioni di Lagrein: lo Zobl, che affina in tonneaux (usati) e che mettiamo per il momento da parte, e la linea base. Il sito del produttore è un po' carente di informazioni: il vino compie la fermentazione in vasche di acciaio, ma niente è detto per quanto riguarda la maturazione. Curiosando qua e là dai vari rivenditori si legge genericamente di "botti di rovere"; fidiamoci.
Il colore è un bel rosso intenso, abbastanza scuro. Dal bicchiere si levano note di frutti di bosco, mirtilli, more, accompagnate da rosa e violetta, con qualche sentore terroso, di sottobosco. All'assaggio esplodono le note di cioccolato, che accompagnano gli aromi con buona persistenza, ben bilanciata dall'alcool. Veramente una bella sorpresa!

Gradazione: 13°
Prezzo: 9€

lunedì 23 maggio 2022

Mondo difficile

Il 1° tiro.
Anna sul 4° tiro.
Tracciato della via (azzurro). In rosso la via Etoile du Midi.
Parete delle stelle
Parete S

Accesso: dal casello autostradale di Quincinetto si torna indietro alla rotonda (non passare sotto il ponte che porta alla falesia di Montestreutto) fino ad un bivio dove si seguono le indicazioni per Scalaro. La strada prende rapidamente quota, esce dal bosco e raggiunge infine un agriturismo oltre il quale si svolta a sinistra. Più avanti si tiene la destra ad un altro bivio (indicazione) e si raggiunge un parcheggio sulla sinistra, nei pressi di un masso con la scritta Parej dle stelle. L'ultimo tratto della strada è sterrato, ma percorribile se non avete un'auto col fondo troppo basso. Si torna brevemente indietro e si segue il sentiero sulla sinistra (ometti e bolli) che porta alla base della parete, in corrispondenza dell'attacco della via Etoile du Midi (targhetta con nome). Si risale brevemente verso sinistra fino all'attacco di Mondo difficile, la linea adiacente (targhetta con nome).
Relazione: via piacevole e ben chiodata su roccia ottima. Portare solo rinvii. Tutte le soste su due fix, catena ed anello di calata.
1° tiro: salire la placchetta verso sinistra (o meglio ancora, attaccare per la rampa a sinistra della targhetta), proseguire dritti per placca, fessura ed un vago diedrino. 35 m, 5b; dodici fix.
2° tiro: non salire dritti, ma traversare decisamente a destra per salire poi alla sosta. 25 m, 5a; cinque fix.
3° tiro: dritti lungo la parete fino alla sosta. 30 m, 5a; dieci fix.
4° tiro: superare il muretto a destra raggiungendo la sosta di Etoile, piegare a sinistra e proseguire dritto fino alla sosta. 30 m, 6a (passo iniziale); nove fix.
5° tiro: superare il muretto sulla destra e proseguire per gradoni. 20 m, 6a (passo); sei fix.
Discesa: in doppia dalla via con tre calate (se usate due mezze corde): dalla sosta finale alla 3a sosta, poi alla 1a sosta di Etoile, e da lì a terra.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

venerdì 20 maggio 2022

Il fauno di marmo (o il romanzo dei Monte Beni)

Il fauno di Prassitele (in realtà
una copia) (da Wikipedia)
Guido Reni (attr.), Ritratto di Beatrice Cenci
(da Wikipedia)
Guido Reni, San Michele arcangelo
(da Wikipedia)
Sodoma, Cristo alla colonna
(da Wikimedia)
di Nathaniel Hawthorne
Rizzoli, Milano, 1961 (1a ed. italiana Palombi, 1940)
Traduzione di Giorgio Spina

La storia della caduta dell'uomo! Non si è forse ripetuta nella nostra vicenda di Monte Beni? E se potessimo spingere oltre l'analogia? Lo stesso peccato in cui Adamo precipitò sé stesso e la sua specie, non fu forse il mezzo predestinato per raggiungere, attraverso un lungo percorso di fatiche e di dolori, una felicità più alta, luminosa e sentita di quel che ci potesse donare il perduto diritto naturale? Questa considerazione non spiega, meglio di quel che possano fare altre teorie, il perché sia ammessa l'esistenza del peccato?
A gennaio 1858, Nathaniel Hawthorne e famiglia giungono a Roma per restarvi fino a maggio 1859, senza mancare di visitare Toscana e Umbria. L'anno successivo, in Inghilterra, Hawthorne scrive il suo ultimo romanzo (altri quattro sono incompiuti), pare ispirato dalla visione del fauno di Prassitele (o satiro in riposo). Il libro è una curiosa miscela tra un romanzo ed una guida turistica di Roma, con lunghe descrizioni di rovine, quadri e sculture, che indicano una notevole sensibilità artistica dell'autore e che accompagnano la vicenda, spesso sovrastandola. In effetti si può dire che la trama, piuttosto esile, sia poco più che un pretesto per esporre le meditazioni dell'autore.
La vicenda ruota attorno a due personaggi principali: Donatello e Miriam. Fin dall'inizio, la somiglianza di Donatello con la scultura del fauno ne suggerisce la natura arcadica (p. 20):
Come sarebbe felice, piacevole e completa la sua esistenza, a godere quanto la natura offre di caldo, di sensuale e di terreno [...] a vivere come il genere umano nella sua innocente infanzia, prima che si avesse da pensare al peccato, al dolore, alla stessa morale!
e il libro gioca sul dubbio se Donatello sia davvero un fauno fino all'ultima riga, quando Kenyon (che insieme a Hilda costituisce l'altra coppia di questa vicenda) afferma (p. 421) su questo punto, in ogni caso, non ci sarà una sola parola di spiegazione. Il nostro fauno, esuberante di vita animale (p. 21), è invaghito di Miriam, che non ne ha gran considerazione, definendolo pollo novello e deficiente (p. 20), e sopportando malvolentieri la sua corte. Col tempo, tuttavia, ella apprezza la natura primigenia, incontaminata, felice, del fauno, opposta alla sua, da "mai una gioia", sempre ombrosa, che di frequente era di umore nero e in preda a una profonda malinconia (p. 30), col cuore stanco e oppresso [...] perennemente gravata da una condanna (p. 80). Miriam è infatti perseguitata da uno stalker che la soggioga con enigmatici riferimenti al suo passato, ad un peccato commesso, la colpa, la penitenza, ecc. ecc. Una sera, Donatello reagisce all'ennesima comparsa dello stalker in veste di frate cappuccino e, leggendo uno sguardo di approvazione negli occhi di Miriam, lo getta dalla rupe Tarpea. Questo è il punto di svolta del libro: il delitto, il male irrompono nella vita di Donatello e lo cambiano per sempre.
Il resto del libro descrive la perdita dell'innocenza da parte del fauno, il suo tormento interiore. Egli lascia Miriam e si ritira nella sua dimora toscana, dove viene raggiunto da Kenyon. Nel tempo passato insieme, quest'ultimo nota che la meditazione sul male ha cambiato il fauno (p. 239):
Egli ora rivelava un discernimento molto più acuto, e un intelletto che cominciava ad affrontare elevati concetti [...]. Dimostrava altresì una personalità più definita e più nobile, maturata però nel dolore e nella pena.

Talché, al posto di un ragazzo selvaggio, di un essere giocoso, di una natura animale, di un fauno silvano c'era ora l'uomo, dotato di sentimento e d'intelligenza.
(p. 290)
Grazie a Kenyon, Donatello ritrova Miriam, anch'ella preda del rimorso, e la coppia si ricostituisce. Kenyon li lascia per tornare a Roma da Hilda, di cui è innamorato.
L'ultima parte del libro è un po' confusa (forse solo apparentemente), con Hilda che sparisce, Miriam e Donatello che riappaiono a Roma e danno un appuntamento insolito a Kenyon, e con la scena (quasi) finale nel Carnevale romano.

Prima di tornare su questa parte, è d'uopo notare come il libro possa essere letto sotto tantissimi aspetti: religioso/morale, artistico, storico,... il primo lato è forse il più evidente: Hawthorne veniva da famiglia puritana, ma diversi critici hanno notato un distacco dal rigore teologico di quel credo, e qui se ne vede il risultato: la teoria del peccato come necessario per perdere l'innocenza e guadagnare una forma più alta di consapevolezza, il peccato che è, come il dolore, un mero strumento di elevazione umana (p. 414) cerca di conciliare predestinazione (un cardine del puritanesimo) e peccato (più o meno) originale. Di fatto, i riferimenti alla religione e al peccato abbondano nel libro, spuntando ad ogni voltar di pagina fino alla noia. Anche la polemica con il cattolicesimo affiora spesso e volentieri, a volte in toni accesi, ma a me pare venata di simpatia (per la fede, non per la Chiesa), senza che l'autore prenda decisamente posizione (si pensi alla scena della confessione di Hilda o al ritrovo a Perugia sotto la statua di Giulio III). Diverso il caso delle antiche religioni, delle persecuzioni romane verso i cristiani, dei "peccati di Roma" che vengono rievocati fino alla nausea ad ogni spuntar di antica rovina (ma qui c'è anche un altro significato, ovvero il mostrare come anche il mondo, la società, abbiano perso la loro innocenza e si siano corrotte, come Donatello).

E siamo all'aspetto artistico, altro filone che percorre tutto il libro. Dalla descrizione dell'ambiente degli artisti americani a Roma in cui sono inseriti i personaggi fino alle discussioni sul rapporto tra pittura (coltivata da Miriam e Hilda) e scultura (praticata da Kenyon) e quelle sul futuro della scultura (p. 116), il libro scava nel rapporto tra arte e morale, indaga il significato dell'opera d'arte con estrema lucidità. Se la vicenda parte da una scultura, e se due sculture di Kenyon toccano Miriam (cap. 14) e Hilda (cap. 41), è la pittura (religiosa) a farla da padrona: si comincia al cap. 7 con il Ritratto di Beatrice Cenci di Guido Reni che anticipa il dilemma di fondo (p. 67):
Il peccato di Beatrice può non esser stato così grave; forse non fu nemmeno un peccato ma la migliore virtù possibile, date le circostanze
ma che allo stesso tempo fa emergere il potere della suggestione nell'opera d'arte. Si ritrova Reni nel cap. 20 con il dipinto di S. Michele arcangelo che schiaccia Satana, che dà modo a Miriam di riflettere sulla sua personale lotta con il male (la visita avviene il giorno dopo l'omicidio dello stalker), e dopo una fuggevole menzione del Ritratto di Giovanna d'Aragona di Leonardo (p. 299) si finisce con il Cristo alla colonna di Sodoma nel cap. 37, elevato da Hilda a quintessenza di arte religiosa. La religione non è decisamente il mio forte, ma sarebbe interessante confrontare la lotta eroica del S. Michele con il Cristo legato e sanguinante, il suo sacrificio con quello del fauno, da cui inizialmente (p. 17) non ci aspetteremmo [...] né sacrifici né sforzi per una causa ideale, ma in cui Kenyon istilla l'idea di un sacrificio duraturo e altruistico (p. 244) che lo porterà alla decisione finale.

Se la pittura è dominata dagli artisti italiani (ma non manca un riferimento ai fiamminghi nel cap. 37), la scultura ne è priva, e gli artisti citati da Miriam (p. 113) sono americani, ancorché viventi in Italia: la mano di Loulie di Hiram Powers e le mani congiunte di Browning e sua moglie di Harriet Hosmer (che curiosamente scolpì anche una Beatrice Cenci e un fauno). Ma Hawthorne non manca comunque di criticare il pragmatismo che soggioga l'arte americana: la fontana di Trevi, trasportata negli USA, avrebbe (p. 135) statue intente a pulire la bandiera nazionale dalle macchie che potrebbero essercisi formate.

Lo sfondo storico della vicenda è la Roma che segue la fine della Repubblica romana, con le strade popolate di truppe francesi e la restaurazione illiberale di Pio IX, sul cui sistema politico-giudiziario Hawthorne avanza qualche riserva (l'onnipresente soldataglia, la sorveglianza a cui è sottoposta Miriam, la giustizia di cui non c'è niente del tutto qui, sotto il dominio della Cristianità (p. 391)). Questa osservazione permette di leggere il romanzo anche da una prospettiva diversa, che è stata proposta per spiegare la concitata seconda parte del libro e la decisione di Donatello di consegnarsi all'autorità per essere processato: Donatello e Miriam prendono questa decisione in cambio della liberazione di Hilda, sequestrata dall'autorità papale! Ciò spiega l'avvertimento di Miriam a Kenyon (cap. 43) e la sua reticenza nel rivelargli quando rivedrà Hilda (cap. 47), perché ciò coinciderà con la loro cattura. Solo Donatello, autore materiale del delitto, sarà poi trattenuto (la teoria, incluso un piano per un complotto "politico" è accennata in modo sbrigativo nella Conclusione, ma vi risparmio i dettagli). Indubbiamente questi aspetti "misteriosi" del libro, non esplicitamente chiariti, hanno contribuito alla creazione di un alone di mistero (che pure è presente) e alla classificazione del romanzo tra le fila della letteratura gotica: H. P. Lovecraft ne L'orrore soprannaturale in letteratura dice che nel romanzo (p. 119 dell'edizione Theoria, 1989)
uno straordinario mondo di autentica misteriosità palpita e traspare al di là di una prima lettura superficiale; e impalpabili tracce di elementi fantastici si mescolano alla presenza di aspetti più strettamente terreni, nel corso di un romanzo che risulta interessante nonostante il persistente incubo della allegoria morale, della propaganda anti-cattolica, e di una pruderie puritana [...]
Ci sarebbe poi da parlare di Roma e dell'Italia, veri e propri comprimari del libro, e dei commenti di Hawthorne sugli italiani, non dimenticando lo spunto enologico nella descrizione del raggio di sole, il vino di Donatello. Concludo invece con due parole sugli altri protagonisti, a partire da Hilda, personaggio tra i più antipatici, che incarna il rigore morale (ma chiamiamolo anche bigottismo) puritano. Costantemente descritta come colomba, angelo, santa, è quasi completamente priva di empatia, di passione, critica tutto e tutti e, avendo assistito involontariamente al delitto, non si fa scrupolo di abbandonare Miriam, l'amica del cuore, che le chiede conforto (cap. 23): l'innocenza non dev'essere contaminata dal peccato. Successivamente riconoscerà l'errore, ma persevererà nel suo ottuso rigore, silenziando (senza discutere) le idee "eretiche" sul peccato che Kenyon prova ad esporle. Hilda e Kenyon, finalmente sposi, torneranno in America: è la scelta della rinuncia, di una vita casa e chiesa in cui lei sarà posta su di un altare e adorata come una domestica santa (p. 415). Hilda vive in una torre, e in una torre si ritira Donatello, ma l'innocenza (vera) di Donatello e quella (vera a metà) di Hilda si consumano lungo strade differenti.
Kenyon, invece, appare più empatico, sensibile e curioso di conoscere, anche se ha tratti del carattere inutilmente rigoroso di Hilda, e oscilla tra le due possibilità. Alla fine deciderà di seguire Hilda, rinunciando probabilmente anche all'arte (p. 386): Immaginazione e amore per l'arte sono morti per me; la scelta più facile.
Se la "caduta" di Donatello rimanda a quella di Adamo, Miriam è ovviamente Eva, e questo ruolo è anticipato dai disegni che gli mostra (cap. 5), che rappresentano GiaeleGiudittaSalomè. Miriam è l'unica che può "vantare" una precedente esperienza del male, e il suo senso di colpa aumenta per via del suo ruolo nel delitto di Donatello e per l'effetto che ha avuto su lui e su Hilda (meno per il delitto in sé; si ricordi anzi il senso quasi di esaltazione che prova subito dopo). Da un certo punto di vista mi pare il personaggio più riuscito, sensibile e capace di leggere negli altri (si veda il dialogo al cap. 23), indipendente ed autonoma (ed infatti Miriam crea, mentre Hilda copia solamente). Resterà sola con le sue meditazioni, come Hester ne La lettera scarlatta, come se fosse stata sulla sponda opposta d'un insondabile abisso e li ammonisse di stare lontani dal suo orlo (p. 415). La società di allora, e pure quella di oggi, non sono pronte per lei.