martedì 27 ottobre 2020

Locanda Ca' bianca


Il locale.
Acciughe con salse.
Flan di zucchine.
Supa mitonà.
Doba con polenta e ratatuia.
Il bonet.
Strada Paulin 53
Roccabruna (CN)


Tra una scalata e l'altra per le pareti della bellissima Val Maira non può ovviamente mancare lo spazio per rifocillarsi. Un paio di posti eccellenti e molto diversi tra loro si trovano all'imbocco della valle, in prossimità di Dronero (assolutamente da visitare, con la bellissima chiesa romanica di S. Costanzo al monte): il primo è a Roccabruna, sulla strada che mena alla bella falesia, ed accoglie gli ospiti sotto l'insegna di locanda occitana, annessa al ristorante.
L'interno mette subito a proprio agio: stile rustico, tavoli con tovaglie a quadri, e - una volta tanto - niente orribili quadracci contemporanei che rovinan l'appetito al solo guardarli. La cucina è intonata al resto: specialità occitane con verdure e carni di produzione locale.
La fame si fa sentire questa volta, e ci godiamo il pranzo completo, dall'antipasto al dolce. Si inizia con della acciunghe con salse rossa e verde e con un flan di zucchine: molto buono e delicato il secondo, solo un po' troppo salate le acciughe.
Il primo piatto non può che essere un classico della tradizione piemontese: la supa mitonà, ovvero una zuppa di pane raffermo con cipolle, uova e formaggio. Mitonà deriva dal francese mitonner, ovvero cuocere a fuoco lento, secondo una ricetta tipica della cucina popolare che non sprecava nulla ed utilizzava ogni ingrediente possibile. Piatto servito in porzione generosa in una padella di terracotta, molto saporito e gustosissimo, a dimostrare ancora una volta la bontà di queste ricette popolari, frutto dell'elaborazione di generazioni.
Dopo un primo piatto così gustoso sono un po' dubbioso sul secondo: sarà all'altezza? Ma ancora una volta la proposta "locale" si rivela strepitosa: Doba con polenta e ratauia. In entrambi i nomi risuona nuovamente la cucina francese: doba è Daube, ovvero uno stufato di manzo tipico della zona provenzale, cotto nel vino con bacche, chiodi di garofano e scorze d'arancia (che si sentono distintamente). Anche qui la terracotta la fa da padrone nella presentazione del piatto, assolutamente delizioso e da non perdere.
Concludiamo ancora una volta con la tradizione: il classico bonet, che è buono, ma non memorabile: si può migliorare!
Essendo come spesso accade l'unico avvinazzato del tavolo, mi devo accontentare di un onesto quarto di litro di vino sfuso della casa, senza nemmeno informarmi sulla lista dei vini. Peccato.
Un posto dove tornare assolutamente, anche per il conto finale più che ragionevole; anzi, ottimo!

Il conto: 51€ per
2 antipasti
2 primi
2 secondi
2 dolci
1/4 di vino sfuso
acqua
2 caffè

sabato 3 ottobre 2020

Fessura Brunilde + Spigolo Castiglioni

Torre Castello - Castello-Provenzale
Parete E e Spigolo SE


Attenzione: segue lungo sproloquio storico-pettegolo-alpinistico sulla via. Se siete interessati alla pura e semplice relazione, saltate qui.

Erano tanti i motivi per cui inseguivo questa salita. Certo, una via di Castiglioni nelle alpi occidentali, ovvero una rarità. E poi, una certa ambiguità nelle valutazioni, almeno stando a quello che potevo leggere sulla non aggiornatissima guida Il gruppo Castello-Provenzale di Motti e Gogna (Tamari, 1976) che, a p. 64, recita:
È la più classica via di V di tutto il Gruppo e senz'altro la più ripetuta di tale difficoltà. Conobbe in passato una relativa supervalutazione (era effettivamente negli anni '30 il più difficile itinerario delle alpi Cozie e Marittime). Ettore Castiglioni aprì questo itinerario appena reduce dalla via aperta da lui e da Giovan Battista Vinatzer sulla parete sud della Marmolada di Rocca, e la classificò senz'altro di VI. Per di più essa era già stata tentata senza molta convinzione da Gabriele Boccalatte e ciò contribuì a far considerare la vittoria dei due milanesi ancor più clamorosa. E la supervalutazione è ancora più inspiegabile considerando che né nella prima ascensione né mai furono usate su questo spigolo le staffe, pertanto l'errore non può derivare dalla famosa confusione VI grado artificiale. L'itinerario si svolge sullo spigolo sud est con qualche deviazione a destra e a sinistra. Via molto consigliabile e molto ripetuta.
Come vedremo, in realtà le staffe furono usate, ma solo come "esperimento". Ma ecco nascere un'ulteriore curiosità: perché Boccalatte era salito "senza molta convinzione"? Per rispondere non c'è niente di meglio che consultare le riviste del tempo. Non la Rivista Mensile del CAI, però, troppo ufficiale e paludata, che darà la notizia della salita solo nel 1955, ma Lo Scarpone, che all'informazione alpinistica non disdegnava certo affiancare scritti polemici, precorrendo evidentemente i tempi odierni. La ricerca è stata fruttuosa e l'esito piuttosto divertente.
Il tutto inizia sul numero 19 del 1 ottobre 1936, dove sotto il titolo Due nuove salite nelle Cozie sono riportate le relazioni delle salite ai due spigoli della Torre Castello. La trascrizione della parte che ci riguarda è la seguente:
La relazione della salita
(Lo Scarpone 19, 1 ott. 1936).
Due nuove salite nelle Cozie
[...]
Un'altra bella via è stata poi aperta il 12 settembre u. s. dalla cordata Castiglioni-Bramani sulla Torre Castello, superando le terribili verticalità del versante sud della stessa Torre.
Vinto sul versante est l'alto contrafforte roccioso che dalla Torre corre verso la Croce Provenzale, i due arrampicatori si sono trovati di fronte all'incombente spigolo sud dove, poco sopra il primo tratto meno difficile, hanno trovato un chiodo lasciato in un precedente tentativo compiuto da altri notissimi arrampicatori piemontesi. Tale tentativo non era andato però più in là dì quel chiodo all'inizio delle vere difficoltà, forse per l'ardua impresa dì poter trovar modo di ficcare chiodi in quella roccia o forse per l'aspetto d'impossibilità d'ascensione offerta da questo versante. La cordata Castiglioni-Bramani superato questo chiodo si avviò alla conquista appoggiando a destra dello spigolo su per placche liscie
[sic] e ripidissime dove occorsero chiodi e staffe per arrivare a riafferrare il filo dello spigolo, dove con un'estenuante lotta per vincere anche pochi centimetri riuscirono su per esso ad arrivare alla base di lastroni compattissimi e strapiombanti che obbligò gli arrampicatori ad una estremamente difficile traversata sulla parete sud, effettuata con l'ausilio di chiodi e moschettoni, fino a poter raggiungere un esilissimo punto di sosta nei pressi dello spigolo ovest della parete, da dove poterono risalire fino a giungere alla vetta.
L'ascensione, sempre in grande esposizione, su roccia assai difficile a ricevere chiodi e dove pur è giocoforza salire col sistema della trazione, è stata giudicata di sesto grado ed è da ritenersi, come pura arrampicata di roccia, la più difficile ascensione del Piemonte.
Chi fossero i "notissimi arrampicatori piemontesi" appare chiaro un mesetto dopo, quando allo Scarpone, dietro le parole di prammatica, non pare vero di poter pubblicare una lettera di Boccalatte (Fig. 2), trascritta di seguito (inclusa un'inezia corretta con annuncio sul numero successivo):
La lettera di Boccalatte
(Lo Scarpone 21, 1 nov. 1936)
Boccalatte, la Rocca Castello e le ascensioni di roccia del Piemonte
Diamo pubblicazione di una lettera inviataci da Gabriele Boccalatte in data 14 scorso, da Torino. La nota del giovane e valoroso arrampicatore piemontese non vuol avere carattere polemico, ma vien dall'autore ritenuta necessaria per chiarire una piccola questione di ordine puramente tecnico, essendo allo stesso tempo di interesse prettamente alpinistico:
« Ho letto su Lo Scarpone del 1 ottobre scorso un articolo sulla scalata alla Rocca Castello in Val Maira per la parete e spigolo sud, eseguita dai noti arrampicatori Ettore Castiglioni e Vitale Bramani. In tale articolo si parla di un tentativo effettuato sullo stesso percorso da "altri notissimi arrampicatori piemontesi". Tengo innanzitutto a rendere noto che la cordata a cui si riferisce la frase, composta da me e da Alfonso Castelli, si recò alla Rocca Castello, in gita domenicale d'allenamento all'inizio della scorsa stagione alpinistica, solamente per fare una semplice esplorazione sulla parete in parola; questa esplorazione ebbe termine all'inizio del salto finale causa un incidente capitato a Castelli, al quale si staccò tutta la suola Manchon di una pedula, incidente che da sé solo avrebbe impedito ogni proseguimento nell'impresa; inoltre non avremmo potuto tracciare una via chiodata, come pare sia occorso alla cordata Castiglioni-Bramani, perché ciò richiede mezzi ben superiori (chiodi, staffe, ecc.) a quelli dì cui disponevamo in quel giorno, limitati all'ipotesi di un percorso di arrampicata con mezzi naturali.
In secondo luogo gli amici Castiglioni e Bramani non riuscirono a superare il passaggio sopra il chiodo da noi lasciato — come sembrerebbe leggendo l'articolo in questione — ma iniziarono la parte difficile della scalata da un punto diverso e cioè superando le placche situate a destra dello spigolo che divide la parete Sud dalla parete Est.
In terzo luogo avrei molto piacere dì conoscere chi abbia espresso il parere, accolto nell'articolo stesso, col quale si dice che la scalata 
«è da ritenersi, come arrampicata di pura roccia, la più difficile ascensione del Piemonte»; questa affermazione è da accogliere naturalmente con le più ampie riserve, poiché chi l'ha scritta, o fatta scrivere, dovrebbe essere in grado di sostenerne la validità per aver effettuate le più difficili arrampicate del Piemonte, tanto più che in questo caso si tratta di una scalata molto breve ed eseguita inoltre interamente col noto sistema della trazione, con staffe e con grandissimo uso di chiodi relativamente alla lunghezza della salita. Dalla base dello spigolo vi sono all'incirca 50-60 metri di 3° grado, per arrivare sotto il salto finale dove incominciano le vere difficoltà, e di qui alla vetta non più di 70 metri.
Senza voler per questo togliere minimamente alcun merito alla vittoria dei valorosi arrampicatori milanesi e soprattutto alla loro buona volontà nel procedere a base di chiodi, credo che per poter fare un confronto serio ed autorevole con questa salita, bisognerebbe perlomeno conoscere, tanto per rimanere nei pressi della Val Maira, la via di Pierre Allain e la via di Ellena e Soria al Corno Stella nelle Alpi Marittime rispettivamente sulle pareti Sud e Nord del monte, senza parlare poi delle imprese alpinistiche di importanza internazionale e di ordine estremo come difficoltà e valore compiute in questi ultimi tempi specialmente nel Gruppo del Monte Bianco (versante italiano, tanto per tenersi nei limiti del Piemonte) tra le quali non va ormai più annoverata la salita della cresta Sud all'Aiguille Noire de Peuterey, sia per l'esageratissima chiodatura che per l'intrinseca difficoltà pura con cui è stata addomesticata dal 1935 in poi. E sarebbe ovvio aggiungere che alcune di queste imprese, anche se non messe in luce e in giusto valore dalla pubblicità che al giorno d'oggi viene invece fatta per certe salite anche brevissime o su montagne di scarsa importanza alpinistica dove l'eccessiva abbondanza di chiodi ricorre in aiuto all'insufficienza delle doti naturali di abilità di arrampicamento, rappresentano quanto di meglio sia stato fino ad oggi compiuto (riferendomi naturalmente a sole salite di pura roccia, poiché quelle miste e di ghiaccio non interessano la presente questione) in tutte le Alpi Occidentali; perciò mi pare imprudente ed avventato, senza voler indagare sull'esistenza o meno di altri motivi, mettere senz'altro alla testa di tutte le ascensioni di roccia del Piemonte, di cui non si abbia una completa esperienza concreta, una salita così breve ed eseguita così artificialmente, poiché, a parte il fatto della brevità, credo benissimo che gli stessi Castiglioni e Bramani, data la loro esperienza, siano d'accordo con me nel pensare che in alpinismo la libera e pura arrampicata, spinta agli estremi delle sue possibilità, abbia un valore assai più grande che non la soluzione di problemi tecnici fatta solamente con sistemi meccanicizzati, cioè con chiodi, staffe e carrucole, pur ammettendo la fatica e il tempo che tali sistemi richiedono.
Per finire voglio osservare che nelle notizie delle nuove scalate sarebbe opportuno, qualora si voglia far cenno, per valorizzare il proprio successo, a tentativi non riusciti di altri alpinisti, riferire con completezza sul comportamento degli stessi, essendo ciò una delle esigenze rigorose della correttezza sportiva.
»
In questa lettera (peraltro un po' noiosa e ripetitiva), Boccalatte non ha torto a dubitare che la salita in questione sia la più difficile del Piemonte (ma prima avrebbe dovuto ripeterla). Tuttavia, lancia una poco elegante insinuazione “sull'esistenza o meno di altri motivi”, inizia una inutile polemica sul superamento del suo chiodo, e compie un autogol colla spiegazione delle motivazioni per le quali non è salito. Castiglioni e Bramani non si lasciano scappare l'occasione: la risposta (dove finalmente la cima riprende il nome corretto di Torre e non Rocca, che gli è adiacente) è sul numero 23 del 1 dicembre 1936:
La risposta di Castiglioni e Bramani
(Lo Scarpone 23, 1 dic. 1936)
La Torre Castello e le ire di Boccalatte
Riceviamo una lettera firmata da Ettore Castiglioni e Vitale Bramani In risposta allo scritto di Gabriele Boccalatte, apparso nel numero del 1° novembre u. s. e la pubblichiamo integralmente, per dovere giornalistico:
« Quando Bonacossa ci portò tra i monti della Val Maira, e noi, attratti dagli squadrati profili della Torre Castello, ci facemmo un dovere di salire una dopo l'altra le sue pareti ancora inaccesse, non avremmo certo immaginato con questa nostra sollecitudine di dare un grosso dispiacere all'amico Boccalatte e tanto meno di fargli forse un'offesa personale, come parrebbe dal tono della sua lettera pubblicata sullo "Scarpone" del 1 novembre u. s.
Sapevamo che qualcuno era già stato in ricognizione sotto quelle pareti, ma non eravamo certo al corrente delle veramente tragiche avventure capitate alle pedule dell'infelice Castelli: ad ogni modo non c'era bisogno che Boccalatte si facesse tanta premura di renderci nota questa «excusatio non petita» (con quel che segue) per non aver lui salito la parete tre o quattro mesi prima e per non averla mai più ritentata. E la nostra riprovevole ignoranza delle faccende personali di Boccalatte era tale che rimanemmo meravigliati quando alcuni chiodi recenti e di ignota provenienza ci rivelarono che l'incriminata parete era già stata tentata con serietà di intenti: ne recuperammo già sulle facili balze erbose iniziali, mentre l'ultimo si trovava a ben 4 metri di altezza sulla parete.
Boccalatte avverte che noi «non siamo riusciti a superare il passaggio sopra il suo chiodo»: ben di più, non ci siamo neppur provati: come infatti avremmo potuto presumere di passare noi dove altri (non sapevamo chi) non era passato?! E senz'altro attaccammo tre metri più a destra, dove una bella placca grigia ci sembrava più logica, più attraente e ci dava maggiori speranze di successo. I fatti ci diedero ragione. È qui che eseguimmo tutte quelle manovre di chiodi, di trazione e di staffe, che tanto urtano i nervi al nostro buon Boccalatte. Per la precisione, 12 chiodi in 32 metri di roccia! Una vera esibizione di tecnica moderna, tale da fare invidia a un maestro della Val Rosandra (a noi infatti la Rocca Castello servì proprio da palestra per esperimentare un sistema di staffe che ci era stato mostrato recentemente).
Ma tutto questo interessa assai poco, forse ancor meno della storia delle pedule di Boccalatte. Piuttosto vorremmo ricordare un piccolo particolare forse ancora ignorato dall'amico: ed è che quando ben avevamo finito la nostra esercitazione funambolesca e credevamo di poter ormai salire con facilità fino in vetta, ci trovammo in realtà di fronte alle difficoltà di gran lunga maggiori di tutta la scalata, aumentate dall'assoluta impossibilità di assicurarci in alcun modo.
Malgrado tutta la nostra provata "buona volontà" di piantar chiodi, ci siamo trovati a dover arrampicare su roccia estremamente compatta, 10, 15 e anche 20 metri lontano dal più prossimo punto di assicurazione, realizzando quindi pienamente e letteralmente quelle condizioni di "libera e pura arrampicata, spinta agli estremi delle sue possibilità" che giustamente Boccalatte tende a valorizzare.
Quanto all'incriminato giudizio che, in quanto a difficoltà tecnica dei passaggi, si tratti della più ardua arrampicata del Piemonte, ne lasciamo la difesa a chi ne ha la paternità. Non certo potremmo dirne qualche cosa noi, che di ascensioni di sesto grado in Piemonte non eravamo ancora riusciti a trovarne. Ma non dubitiamo che Boccalatte, che ha esperienza personale di tutte le più difficili arrampicate del Piemonte (e non soltanto delle modeste pareti del Corno Stella, ch'egli si limita a suggerirci), non vorrà mancare di conoscere anche questa, e appena la nuova stagione lo permetterà, andrà a ripeterla per darci il suo verdetto definitivo in proposito.
Frattanto però dovrebbe andar più cauto prima di tirar in ballo nientemeno che la correttezza sportiva, perché in un accenno generico e innominato si è omesso di raccontare tutta la pietosa istoria delle sue pedule: simili accenni ai precedenti tentativi non mancano mai, se appena se ne ha motivo, in tutte le notizie di nuove ascensioni che si possono leggere sulla stampa quotidiana o specializzata e non mancano certo neppure nelle notizie delle brillanti ascensioni di Boccalatte. O forse è in nome di questa correttezza che, "per chiarire una questione di ordine puramente tecnico" Boccalatte si permette di osservare che noi non siamo riusciti, dove non abbiamo neppure pensato di tentare, o che abbiamo fatto una scala di chiodi proprio su quella parete dove, con la miglior buona volontà, non è possibile piantarne?
Caro Boccalatte, per criticare le salite altrui bisognerebbe conoscerne un po' più di 4 metri e per predicare la correttezza e chiarire le cose bisognerebbe cominciare col non falsarle! 
»
È interessante notare - tra l'altro - come Castiglioni e Bramani, nel difendere la famosa classificazione di "via più difficile del Piemonte", prendano le distanze almeno dalla sua formulazione. Chi ha ragione? Nella guida CAI-TCI Alpi Marittime II di Montagna, Montaldo e Salesi (1990) la salita di Allain è valutata di V+ con un tratto in artificiale (che, prima di un crollo, era salito in libera; non si cita la difficoltà iniziale), e lo stesso per quella di Ellena e Soria (V+ e A1).  E in ogni caso, è tutto finito? Neanche per idea: c'è ancora spazio per una replica di Boccalatte (che stavolta conclude con maggior grazia) prima che anche lo Scarpone si arrenda e dichiari la fine delle ostilità:
La lettera finale di Boccalatte
(Lo Scarpone 24, 16 dic. 1936)
Conclusione d'una polemica
Le... ire di Boccalatte
A conclusione della polemica sorta fra Gabrielle Boccalatte e gli accademici Castiglioni e Bramani, a proposito della Torre Castello, pubblichiamo la seguente lettera dello stesso Boccalatte, ritenendo con ciò definita la cosa che, come succede spesso in questioni del genere, ha preso un carattere troppo personale poco simpatico per tutti:
« Ad essere irosi vi sarebbe davvero motivo d'arrabbiarsi nel constatare come gli amici Castiglioni e Bramani, rispondendo al mio articolo del 1. novembre scorso, abbiano... girata la posizione, lasciando completamente insoluto il quesito fondamentale da me posto in discussione. Dato il voluto tono ironico dell'articolo, il quale scarta il tema tecnico-alpinistico, che era il nocciolo dell'argomento, e che ha inoltre l'aria di scendere a discutere di questioni personali, non credo il caso di prenderlo in considerazione.
Desidero però, in risposta all'ultima frase del loro articolo, che m'accusa d'aver falsate le cose, far rilevare che, oltre a quello che risulta dalla relazione originale dell'ascensione alla Torre Castello, i dati sulle caratteristiche tecniche dell'impresa di Castiglioni e Bramani, mi pervennero da fonte diretta; ora, di fronte alle loro proteste, è d'uopo concludere che io abbia capito male o, meglio, che il mio informatore sia incorso in qualche... lapsus, sempre in omaggio alla madre lingua, ch'essi han voluto usare!
»
Resta solo da segnalare che, dopo questa poco gloriosa polemica, i tre torneranno ad arrampicare insieme, evidentemente consci della sua futilità: nel 1937 Boccalatte e Castiglioni salgono la parete N del monte Gruetta (gruppo del M. Bianco) e, con l'aggiunta di Bramani, le pareti SSO e O della Cima Ceda (gruppo di Brenta).

Dopo tutto questo, come non andare a ripetere la via?

L'itinerario classico prevede la salita del camino est (o Gervasutti) fino ad una forcella, da cui inizia la salita della via. Questa si sviluppa per un paio di tiri facili prima di giungere sotto lo spigolo vero e proprio (dove c'era il famigerato chiodo di Boccalatte). Conviene tuttavia arrivare qui evitando questi tiri e percorrendo invece la variante di attacco nota come fessura Brunilde (apritori ignoti), col vantaggio di una maggiore omogeneità e bellezza della salita. All'attacco della fessura si può poi giungere facilmente da destra per cengia oppure tramite una variante diretta, salendo un camino sul margine sinistro della parete (su cui non ho trovato informazioni relative ad apritori), come abbiamo fatto noi: scelta consigliata per dare più continuità alla salita.
Anna sul 1° tiro.
E qui sul 4° tiro.
Sul 6° tiro.
Sul 7° tiro.
Sull'8° tiro.
Tracciato della via (primi sei tiri).
Accesso: si risale la val Maira fino a Chiappera (fraz. di Acceglio), si superano le case e si prosegue fino al bivio successivo dove si sale verso destra. La strada sale per circa 4,5 km con tratti asfaltati e sterrati, ma ben percorribili, fino ad un parcheggio (Grange Collet; cartello di divieto di accesso). Qui si prende il sentiero che mena al Colle Greguri (indicazione; tenere la destra poco dopo la partenza e passare il torrente su un ponte; non puntare alle baite), con bella vista sulle pareti ovest di Rocca e Torre Castello. Si raggiunge il Colle, dove si può notare un bunker della seconda guerra mondiale, a ricordare l'idiozia di chi voleva alcune migliaia di morti per sedersi al tavolo del vincitore, e si scende sul versante opposto, con vista sulla parete E di Rocca Castello. Si scende lungo il sentiero fino a giungere in corrispondenza di una zona con grossi massi, dove si lascia il sentiero e si punta alla parete della Torre Castello, delimitata da due diedri. Quello di destra separa la Torre dalla Rocca Castello. Portarsi verso il lato sinistro, dove sale un evidente camino (chiodi visibili).
Relazione: combinazione molto bella e consigliabile, sempre su ottima roccia. La fessura è protetta a fix, ottimamente posizionati nei passi più impegnativi, ma distanti nel resto. Lo spigolo è protetto a chiodi (con qualche fix nei passi più impegnativi); portare friend piccoli e medi per integrare. Percorso sempre ovvio, tranne un breve passaggio nel 6° tiro.
1° tiro: salire su uno zoccolo ed attaccare il camino (primi metri non banali), superare un masso e raggiungere una zona erbosa (vecchia sosta con due chiodi e cordone). Qui è possibile proseguire lungo il camino (cordone visibile in alto) oppure uscire a sinistra su facili rocce gradinate, raggiungendo una sosta (circa 30 m dalla partenza). Proseguire ancora facilmente per un muretto fino alla cengia e raggiungere la sosta finale. 50 m; V+, III+; cinque chiodi, due soste intermedie. Sosta su due golfari con cordino alla base della fessura. Qui si giunge anche attaccando la parete più a destra e salendo per facili rocce.
2° tiro: qui inizia la fessura Brunilde. Salire lungo la fessura, superare un masso e proseguire fino alla sosta sulla destra. 20 m, 4c; due fix, un eccentrico incastrato. Sosta su due fix.
3° tiro: salire brevemente nel camino, uscire a destra (passo delicato protetto da fix) e salire lungo il bordo destro del camino. Dopo il primo tratto verticale la fessura si appoggia verso destra e le difficoltà (nonché le protezioni) calano. 30 m, 5a; quattro fix. Sosta su due fix e cordone. Tiro molto bello.
4° tiro: in verticale su buone prese per proseguire poi lungo la fessura. 30 m, 4c, tre fix. Sosta su due fix.
5° tiro: spostarsi a sinistra della sosta per riprendere la fessura che sale sempre verso destra fino a raggiungere la cresta. Da qui a destra fino ad una parete giallastra. 35 m, 4c; un fix, un chiodo.
6° tiro: qui inizia lo spigolo vero e proprio: spostarsi a destra della sosta e salire brevemente sulla placca, poi ancora a destra a prendere una fessura che si sale per una decina di metri per poi tornare a sinistra fino a riprendere lo spigolo; qui si sale a raggiungere la sosta. 25 m, V; undici chiodi, un fix. Sosta su due fix con cordone.
7° tiro: salire sopra la sosta (passo iniziale delicato ma protetto) ed iniziare una traversata verso sinistra. Giunti su rocce più gradinate, salire e riportarsi verso destra alla sosta. 30 m; 6a (passo), V; sei chiodi, tre fix. Sosta su due fix con cordone.
8° tiro: salire tenendo lievemente la sinistra aggirando sempre a sinistra la sporgenza finale. 20 m, IV+; quattro chiodi, un fix. Sosta su tre fix con catena.
Discesa: portarsi sul lato opposto della cima, quello che guarda verso la Rocca Provenzale, dove si trova una sosta.
1a calata: poco meno di 30 m (basta una corda) fino alla forcella. Ci si sposta verso la Rocca, e qui si dovrebbe salire per facili rocce fino ad una sosta di calata. Noi invece siamo scesi, arrampicando in discesa (passi di II+ esposti) per una quindicina di metri circa, fino ad una zona più tranquilla dove si continua ad attraversare verso destra (faccia a monte). Si giunge così ad uno spigolo dove ci sono due soste attrezzate (conviene quella più a destra, faccia a monte, proprio sullo spigolo).
2a calata: 60 m fino ad una cengia dove si incontra la seconda sosta di Solo per Bruna. Qui conviene percorrere la cengia e spostarsi ad una sosta sulla destra (faccia a monte).
3a calata: 60 m fino alla base.


Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.