Il fauno di Prassitele (in realtà una copia) (da Wikipedia) |
Guido Reni (attr.), Ritratto di Beatrice Cenci (da Wikipedia) |
Guido Reni, San Michele arcangelo (da Wikipedia) |
Sodoma, Cristo alla colonna (da Wikimedia) |
Rizzoli, Milano, 1961 (1a ed. italiana Palombi, 1940)
Traduzione di Giorgio Spina
La storia della caduta dell'uomo! Non si è forse ripetuta nella nostra vicenda di Monte Beni? E se potessimo spingere oltre l'analogia? Lo stesso peccato in cui Adamo precipitò sé stesso e la sua specie, non fu forse il mezzo predestinato per raggiungere, attraverso un lungo percorso di fatiche e di dolori, una felicità più alta, luminosa e sentita di quel che ci potesse donare il perduto diritto naturale? Questa considerazione non spiega, meglio di quel che possano fare altre teorie, il perché sia ammessa l'esistenza del peccato?A gennaio 1858, Nathaniel Hawthorne e famiglia giungono a Roma per restarvi fino a maggio 1859, senza mancare di visitare Toscana e Umbria. L'anno successivo, in Inghilterra, Hawthorne scrive il suo ultimo romanzo (altri quattro sono incompiuti), pare ispirato dalla visione del fauno di Prassitele (o satiro in riposo). Il libro è una curiosa miscela tra un romanzo ed una guida turistica di Roma, con lunghe descrizioni di rovine, quadri e sculture, che indicano una notevole sensibilità artistica dell'autore e che accompagnano la vicenda, spesso sovrastandola. In effetti si può dire che la trama, piuttosto esile, sia poco più che un pretesto per esporre le meditazioni dell'autore.
La vicenda ruota attorno a due personaggi principali: Donatello e Miriam. Fin dall'inizio, la somiglianza di Donatello con la scultura del fauno ne suggerisce la natura arcadica (p. 20):
Come sarebbe felice, piacevole e completa la sua esistenza, a godere quanto la natura offre di caldo, di sensuale e di terreno [...] a vivere come il genere umano nella sua innocente infanzia, prima che si avesse da pensare al peccato, al dolore, alla stessa morale!e il libro gioca sul dubbio se Donatello sia davvero un fauno fino all'ultima riga, quando Kenyon (che insieme a Hilda costituisce l'altra coppia di questa vicenda) afferma (p. 421) su questo punto, in ogni caso, non ci sarà una sola parola di spiegazione. Il nostro fauno, esuberante di vita animale (p. 21), è invaghito di Miriam, che non ne ha gran considerazione, definendolo pollo novello e deficiente (p. 20), e sopportando malvolentieri la sua corte. Col tempo, tuttavia, ella apprezza la natura primigenia, incontaminata, felice, del fauno, opposta alla sua, da "mai una gioia", sempre ombrosa, che di frequente era di umore nero e in preda a una profonda malinconia (p. 30), col cuore stanco e oppresso [...] perennemente gravata da una condanna (p. 80). Miriam è infatti perseguitata da uno stalker che la soggioga con enigmatici riferimenti al suo passato, ad un peccato commesso, la colpa, la penitenza, ecc. ecc. Una sera, Donatello reagisce all'ennesima comparsa dello stalker in veste di frate cappuccino e, leggendo uno sguardo di approvazione negli occhi di Miriam, lo getta dalla rupe Tarpea. Questo è il punto di svolta del libro: il delitto, il male irrompono nella vita di Donatello e lo cambiano per sempre.
Il resto del libro descrive la perdita dell'innocenza da parte del fauno, il suo tormento interiore. Egli lascia Miriam e si ritira nella sua dimora toscana, dove viene raggiunto da Kenyon. Nel tempo passato insieme, quest'ultimo nota che la meditazione sul male ha cambiato il fauno (p. 239):
Egli ora rivelava un discernimento molto più acuto, e un intelletto che cominciava ad affrontare elevati concetti [...]. Dimostrava altresì una personalità più definita e più nobile, maturata però nel dolore e nella pena.Grazie a Kenyon, Donatello ritrova Miriam, anch'ella preda del rimorso, e la coppia si ricostituisce. Kenyon li lascia per tornare a Roma da Hilda, di cui è innamorato.
Talché, al posto di un ragazzo selvaggio, di un essere giocoso, di una natura animale, di un fauno silvano c'era ora l'uomo, dotato di sentimento e d'intelligenza. (p. 290)
L'ultima parte del libro è un po' confusa (forse solo apparentemente), con Hilda che sparisce, Miriam e Donatello che riappaiono a Roma e danno un appuntamento insolito a Kenyon, e con la scena (quasi) finale nel Carnevale romano.
Prima di tornare su questa parte, è d'uopo notare come il libro possa essere letto sotto tantissimi aspetti: religioso/morale, artistico, storico,... il primo lato è forse il più evidente: Hawthorne veniva da famiglia puritana, ma diversi critici hanno notato un distacco dal rigore teologico di quel credo, e qui se ne vede il risultato: la teoria del peccato come necessario per perdere l'innocenza e guadagnare una forma più alta di consapevolezza, il peccato che è, come il dolore, un mero strumento di elevazione umana (p. 414) cerca di conciliare predestinazione (un cardine del puritanesimo) e peccato (più o meno) originale. Di fatto, i riferimenti alla religione e al peccato abbondano nel libro, spuntando ad ogni voltar di pagina fino alla noia. Anche la polemica con il cattolicesimo affiora spesso e volentieri, a volte in toni accesi, ma a me pare venata di simpatia (per la fede, non per la Chiesa), senza che l'autore prenda decisamente posizione (si pensi alla scena della confessione di Hilda o al ritrovo a Perugia sotto la statua di Giulio III). Diverso il caso delle antiche religioni, delle persecuzioni romane verso i cristiani, dei "peccati di Roma" che vengono rievocati fino alla nausea ad ogni spuntar di antica rovina (ma qui c'è anche un altro significato, ovvero il mostrare come anche il mondo, la società, abbiano perso la loro innocenza e si siano corrotte, come Donatello).
E siamo all'aspetto artistico, altro filone che percorre tutto il libro. Dalla descrizione dell'ambiente degli artisti americani a Roma in cui sono inseriti i personaggi fino alle discussioni sul rapporto tra pittura (coltivata da Miriam e Hilda) e scultura (praticata da Kenyon) e quelle sul futuro della scultura (p. 116), il libro scava nel rapporto tra arte e morale, indaga il significato dell'opera d'arte con estrema lucidità. Se la vicenda parte da una scultura, e se due sculture di Kenyon toccano Miriam (cap. 14) e Hilda (cap. 41), è la pittura (religiosa) a farla da padrona: si comincia al cap. 7 con il Ritratto di Beatrice Cenci di Guido Reni che anticipa il dilemma di fondo (p. 67):
Il peccato di Beatrice può non esser stato così grave; forse non fu nemmeno un peccato ma la migliore virtù possibile, date le circostanzema che allo stesso tempo fa emergere il potere della suggestione nell'opera d'arte. Si ritrova Reni nel cap. 20 con il dipinto di S. Michele arcangelo che schiaccia Satana, che dà modo a Miriam di riflettere sulla sua personale lotta con il male (la visita avviene il giorno dopo l'omicidio dello stalker), e dopo una fuggevole menzione del Ritratto di Giovanna d'Aragona di Leonardo (p. 299) si finisce con il Cristo alla colonna di Sodoma nel cap. 37, elevato da Hilda a quintessenza di arte religiosa. La religione non è decisamente il mio forte, ma sarebbe interessante confrontare la lotta eroica del S. Michele con il Cristo legato e sanguinante, il suo sacrificio con quello del fauno, da cui inizialmente (p. 17) non ci aspetteremmo [...] né sacrifici né sforzi per una causa ideale, ma in cui Kenyon istilla l'idea di un sacrificio duraturo e altruistico (p. 244) che lo porterà alla decisione finale.
Se la pittura è dominata dagli artisti italiani (ma non manca un riferimento ai fiamminghi nel cap. 37), la scultura ne è priva, e gli artisti citati da Miriam (p. 113) sono americani, ancorché viventi in Italia: la mano di Loulie di Hiram Powers e le mani congiunte di Browning e sua moglie di Harriet Hosmer (che curiosamente scolpì anche una Beatrice Cenci e un fauno). Ma Hawthorne non manca comunque di criticare il pragmatismo che soggioga l'arte americana: la fontana di Trevi, trasportata negli USA, avrebbe (p. 135) statue intente a pulire la bandiera nazionale dalle macchie che potrebbero essercisi formate.
Lo sfondo storico della vicenda è la Roma che segue la fine della Repubblica romana, con le strade popolate di truppe francesi e la restaurazione illiberale di Pio IX, sul cui sistema politico-giudiziario Hawthorne avanza qualche riserva (l'onnipresente soldataglia, la sorveglianza a cui è sottoposta Miriam, la giustizia di cui non c'è niente del tutto qui, sotto il dominio della Cristianità (p. 391)). Questa osservazione permette di leggere il romanzo anche da una prospettiva diversa, che è stata proposta per spiegare la concitata seconda parte del libro e la decisione di Donatello di consegnarsi all'autorità per essere processato: Donatello e Miriam prendono questa decisione in cambio della liberazione di Hilda, sequestrata dall'autorità papale! Ciò spiega l'avvertimento di Miriam a Kenyon (cap. 43) e la sua reticenza nel rivelargli quando rivedrà Hilda (cap. 47), perché ciò coinciderà con la loro cattura. Solo Donatello, autore materiale del delitto, sarà poi trattenuto (la teoria, incluso un piano per un complotto "politico" è accennata in modo sbrigativo nella Conclusione, ma vi risparmio i dettagli). Indubbiamente questi aspetti "misteriosi" del libro, non esplicitamente chiariti, hanno contribuito alla creazione di un alone di mistero (che pure è presente) e alla classificazione del romanzo tra le fila della letteratura gotica: H. P. Lovecraft ne L'orrore soprannaturale in letteratura dice che nel romanzo (p. 119 dell'edizione Theoria, 1989)
uno straordinario mondo di autentica misteriosità palpita e traspare al di là di una prima lettura superficiale; e impalpabili tracce di elementi fantastici si mescolano alla presenza di aspetti più strettamente terreni, nel corso di un romanzo che risulta interessante nonostante il persistente incubo della allegoria morale, della propaganda anti-cattolica, e di una pruderie puritana [...]Ci sarebbe poi da parlare di Roma e dell'Italia, veri e propri comprimari del libro, e dei commenti di Hawthorne sugli italiani, non dimenticando lo spunto enologico nella descrizione del raggio di sole, il vino di Donatello. Concludo invece con due parole sugli altri protagonisti, a partire da Hilda, personaggio tra i più antipatici, che incarna il rigore morale (ma chiamiamolo anche bigottismo) puritano. Costantemente descritta come colomba, angelo, santa, è quasi completamente priva di empatia, di passione, critica tutto e tutti e, avendo assistito involontariamente al delitto, non si fa scrupolo di abbandonare Miriam, l'amica del cuore, che le chiede conforto (cap. 23): l'innocenza non dev'essere contaminata dal peccato. Successivamente riconoscerà l'errore, ma persevererà nel suo ottuso rigore, silenziando (senza discutere) le idee "eretiche" sul peccato che Kenyon prova ad esporle. Hilda e Kenyon, finalmente sposi, torneranno in America: è la scelta della rinuncia, di una vita casa e chiesa in cui lei sarà posta su di un altare e adorata come una domestica santa (p. 415). Hilda vive in una torre, e in una torre si ritira Donatello, ma l'innocenza (vera) di Donatello e quella (vera a metà) di Hilda si consumano lungo strade differenti.
Kenyon, invece, appare più empatico, sensibile e curioso di conoscere, anche se ha tratti del carattere inutilmente rigoroso di Hilda, e oscilla tra le due possibilità. Alla fine deciderà di seguire Hilda, rinunciando probabilmente anche all'arte (p. 386): Immaginazione e amore per l'arte sono morti per me; la scelta più facile.
Se la "caduta" di Donatello rimanda a quella di Adamo, Miriam è ovviamente Eva, e questo ruolo è anticipato dai disegni che gli mostra (cap. 5), che rappresentano Giaele, Giuditta e Salomè. Miriam è l'unica che può "vantare" una precedente esperienza del male, e il suo senso di colpa aumenta per via del suo ruolo nel delitto di Donatello e per l'effetto che ha avuto su lui e su Hilda (meno per il delitto in sé; si ricordi anzi il senso quasi di esaltazione che prova subito dopo). Da un certo punto di vista mi pare il personaggio più riuscito, sensibile e capace di leggere negli altri (si veda il dialogo al cap. 23), indipendente ed autonoma (ed infatti Miriam crea, mentre Hilda copia solamente). Resterà sola con le sue meditazioni, come Hester ne La lettera scarlatta, come se fosse stata sulla sponda opposta d'un insondabile abisso e li ammonisse di stare lontani dal suo orlo (p. 415). La società di allora, e pure quella di oggi, non sono pronte per lei.
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