mercoledì 29 dicembre 2021

Riviera ligure di ponente DOC Pigato 2019 Vigneti a prua e Lupi

Ricordo, molti anni fa, qualche assaggio deludente di questo vitigno, che mi allontanarono per un po' dalla sua "frequentazione". Poi, con calma, mi sono riavvicinato ai suoi sentori erbacei e floreali, legandolo stabilmente insieme al rossese alle memorie delle mie "spedizioni" nel ponente ligure, ai capodanni passati tra la ricerca delle falesie a buchetti del finalese e di quelle verticali dell'albenganese (si dice?).
Se gli ultimi tempi non sono stati prodighi dal punto di vista dalla scalata per via di un infortunio ad un braccio, questo non ha inciso sulla capacità di usare un cavatappi (eccetto per i primi giorni) e un bicchiere. E così, tra una lunga serie di assaggi che non avrò mai tempo di riportare, c'è spazio per parlare di un paio di bottiglie di Pigato che mi hanno fatto compagnia di recente.

La prima bottiglia nasce dal marchio Vigneti a prua, che dovrebbe appartenere all'azienda Punta Crena, forse come ennesima private label per la GDO (ma non solo). Praticamente impossibile per me reperire informazioni (mi riprometto di farci un giro la prossima volta che passerò da quelle parti); l'etichetta sul retro indica l'imbottigliamento a Cisano sul Neva, retroterra di Albenga, ovvero una delle zone più vocate per il Pigato.
Il colore è un bel giallo paglierino un poco scarico; al naso presenta aromi floreali, limone, note di pesca bianca, mediamente intensi. All'assaggio è molto fresco e piacevole, con una buona acidità e qualche sentore minerale. Nel finale si aggiunge una nota un po' amarognola che rimanda vagamente alla mandorla, non spiacevole. Buona la persistenza.

Il secondo Pigato è dell'azienda Lupi, che produce vino da più di cinquanta anni con circa 70000 bottiglie all'anno. Qui siamo un poco più ad ovest e più all'interno rispetto ai Vigneti a prua; il vino nasce da vigneti di 30 anni, vinificato in acciaio (c'è anche il Vignamare che affina in barrique, ma tendenzialmente me ne terrò alla larga).
Il colore è più carico rispetto al precedente, con dei bei riflessi dorati assai invitanti. Anche l'aroma mi è parso più intenso, soprattutto sul lato fruttato; poi erbe, salvia ed agrumi (che vabbè, sono dei frutti, ma amen...). Molto piacevole all'assaggio, anche qui con un buon supporto acido.

Sono decisamente due Pigati da assaggiare e da ricordare!

Gradazione: 13° entrambi
Prezzo: 11 e 14 €, rispettivamente

mercoledì 15 dicembre 2021

Sui campi di battaglia - la nostra guerra

L'occhiello
Il re Vittorio Emanuele III
Luigi Cadorna
Armando Diaz
Pietro Badoglio
AA.VV.
TCI, Milano, 1931 (1a ed. 1930)

Parecchi anni fa, credo all'interno del Libraccio di Bergamo, rinvenni questo volume e lo acquistai al volo. Non tanto perché la sua versione della storia della Grande Guerra fosse particolarmente interessante, ma perché appena apertolo vidi tutta una serie di commenti manoscritti che mi fecero pensare che potesse essere appartenuto ad un ignoto reduce, forse un ragazzo del '99. Purtroppo non si tratta di ricordi o vere note personali che abbiano un qualche valore storico, ma in massima parte di sfoghi e insulti contro i generali italiani, scritti molti anni dopo i fatti. E, ad essere onesto, non ho prove che detti commenti siano di mano di un reduce e non di un semplice lettore, che però doveva essere stato molto vicino alla guerra, vista l'enfasi. In ogni modo, per omaggio a questi commenti ed al loro ignoto autore, stralciai questo volume quando un anno e mezzo fa, costretto in casa dalla prima ondata del virus, lessi (quasi) tutta la serie del TCI sui campi di battaglia della Grande guerra, ripromettendomi di dedicargli uno spazio separato.

Premessa: nonostante per lavoro mi trovi spesso a dover decifrare calligrafie che farebbero volentieri a meno del prefisso calli-, qui mi sono perso un bel po' di parole (suggerimenti sono ovviamente benvenuti). Apriamo quindi il libro. Nell'occhiello si legge:
Caro ricordo dell'Egregio Dott. Annibale Correggio[?] e molto [?], Cav. Vitt. Veneto oltre la dolorosa prigionia. Deceduto nel 1976.
Caro
[?]
A leggere questi raccontini fa stringere il cuore fra quelli che come lei hanno vissuto e provato - ragazzo del 99
1930 ancora tutta falsa propaganda niente verità, niente precisazioni reali
Poveri noi, poveri morti invano come ancora li vilipendono in questo falso libretto!! - ragazzo 99
Si legga il libro di
[?] Riflessioni e Ricordi senza nominare gli altri suoi stessi[?] che sono un monumento di onesta e triste verità - ragazzo 99
Le pagine del libro sono riempite di note e commenti critici (a dir poco) verso la versione ufficiale: le pinze tagliafili (p. 55) sono le famose pinze che sotto sforzo si piegavano i manici! A margine dell'elenco delle piccole azioni nella zona Carnia si legge (p. 67): tutta retorica e [?] frammentari raccontini delle varie sterili azioni, mentre riferito ai capisaldi di S. Lucia e S. Maria: mai potuti neanche un po' scalfire! Cadorna sei grande asino! e ancora il Luigi con tutte queste sterili offensive distrusse quasi tutto il suo stesso esercito! Fellone traditore! e così via. Assai lucida la chiosa all'affermazione (p. 25) secondo cui sacrifici ed eroismo "restituirono alla Patria i suoi termini sacri": fesserie. altri odi odi e null'altro, accompagnata da un esaltato e vile! riferito a Mussolini (p. 37).
Ma sono Cadorna e gli altri generali, con l'eccezione di Caviglia (il cui diario è citato spesso come fonte di informazione), ad essere coperti di contumelie nelle pagine con le loro fotografie: senza fosforo, come il grande Caviglia definiva questi ruderi di grandi condottieri. E se il gen. Etna se la cava (si fa per dire) con un giudizio poco lusinghiero (Non ispira fiducia! Sembra più un buon guardiano di buoi!!!), peggio va agli altri. Cominciamo con il re, che sulla fascia ha scritto: S. M. Fellone - [?] 8-9-43 la fuga. Tutt'intorno si legge
Sei morto in esilio ed hai proprio fatto una fine miseranda e ingloriosa

Girava sempre con una grossa macchina fotografica ma non ha mai fotografato le fucilazioni dei suoi fanti di S. Maria la longa perché reclamavano
(nota: ci si riferisce all'ammutinamento della brigata Catanzaro)

Un po' di riposo dopo mesi e mesi di trincea
Poveri fanti del 141-142 fant. Brigata Catanzaro

Al Piave non ti ho mai visto, perché?! Mentre l'Imperatore Carlo d'Austria andava sempre fra i suoi soldati

Mai una parola per fermare le fucilazioni indiscriminate del Luigi. Che stratega!!
Per "il Luigi", ovvero Cadorna c'è una bella croce sulla faccia e un breve giudizio poco lusinghiero:
Grande Condottiero fesso!
buono per il 1848!!
ignobile
[?] e fellone
mentre ci si domanda da dove fosse spuntato Diaz:
Si conoscevano i Generali Petitti di Roreto, Pecori Giraldi, quello della IV Armata Carnia e vari altri. Diaz era un illustre sconosciuto e fortunato

Ad ogni fatto grave aveva il mal di pancia!! Vedi Caviglia nel suo diario è preciso a pag 108-9
anche in una cartolina con il ritratto di Diaz c'è scritto: unico merito in tutta la sua vita: fortunatissimo!

Naturalmente nemmeno il gen. Porro se la passa bene: Sarà stato un gran prof di geografia intelligente ma asino a far la guerra e poi fesso forte! non si è mai sentito parlare da parte sua di strategia né di piani d'attacco. Ma più di tutti (non senza ragione) il bersaglio del nostro reduce è Badoglio. Alla firma Pietro badoglio del Sabotino, il monte è cancellato e si legge: non era opera sua! Geniale poi la sostituzione di Marchese del Sabotino con Marchese di Caporetto. Tutt'attorno si legge:
Abile intrigante!

Il fuggiasco g. 24-25-26 era a Caporetto più
[?] fuggito dove?

da cancellare dalla memoria questo fuggiasco tanto a Caporetto quanto nel 943 a Pescara prima del Re

è lo scaltro contadino!! avido di denari e venale in modo vergognoso!!!
Alla fine, non mancano alcuni commenti alla bibliografia: sotto il riferimento a Guerra di popolo di Delcroix si legge (riferito all'autore): caduto nell'oblio perché le sue ferite se le ha [sic] fatte da se per non essere stato capace di gettare una bomba a mano!!! Si definisce poi bellissimo ed esatto libro su Caporetto l'opera (che devo ancora leggere) di Pirazzoli ed esatta critica all'opera di quel fesso di Cadorna il libro di Ettore Viganò.

Resta il mistero su chi fosse l'autore: un reduce o qualcuno che era stato molto vicino ad uno di essi?

lunedì 6 dicembre 2021

Osteria storica Morelli

Interno del locale
Antipasto di salumi misti
Canederlotti ai funghi
Camoscio con polenta
Tortino di castagne
Piazza Petrini 1
Canezza di Pergine Valsugana (TN)

Troviamo la frazione di Pergine ov'è ubicato il locale sotto una pioggia battente, ed entrando sentiamo di essere finalmente in salvo: aspetto da osteria classica con attestati storici alle pareti, tavoli ben distanziati, unico neo il povero cervo imbalsamato, buono forse nell'800 ma non oggi, anche se l'osteria si dice storica. E lo può dire a buon diritto, vantando la sua origine al 1751, allargandosi di lì a poco a salumificio.
Se secoli fa era giocoforza appoggiarsi ai prodotti locali, oggi è una scelta consapevole, portata avanti con attenzione e ricerca. Il menù è infatti basato sui prodotti regionali, legato alle valli e alla montagna, con qualche proposta lacustre, con cinque-sei scelte per portata. Iniziamo dividendo un antipasto di salumi misti, stagionati in loco, molto saporiti e delicati, ai quali non avrebbero certo nuociuto un paio di parole di illustrazione (questo problema si presenterà per tutti i piatti).
Tra i primi spiccano ovviamente i canederli, sia in brodo che ai funghi, ma si può scegliere tra risotto, tagliatelle e casonziei. Entrambi optiamo per i canederlotti di funghi locali con fonduta di formaggi dei Lagorai: piatto buono, ma non come speravo. I canederli mancano un po' di gusto, mi sono sembrati opachi... per carità; un piatto onesto, ma non memorabile.
La lista dei secondi piatti è dominata dalla carne: vitello, castrato e camoscio. La scelta per me non può che cadere sul camoscio con polenta, e qui torniamo ad un ottimo livello: succulenti bocconi di carne, accompagnati da una polenta di mais spinato (qui chiamato semplicemente spin). Anche l'assaggio dello stufato di castrato conferma la qualità della materia prima e la potenzialità di una cucina fortemente legata alla tradizione e al territorio. Da segnalare anche il pane fatto in casa, servito in tre variazioni.
Tra i non numerosi dessert sono tentato dalla rosada, un antico budino, ma poi chissà perché vado a pescare un tortino di castagne che è buono, ma che potrei mangiare in cento altri posti. Mi rifarò la prossima volta.
Interessante la lista dei vini, ovviamente focalizzata sul Trentino. Manco a dirlo, vado dritto sul pinot noir, cercando qualche produttore ignoto (cosa non difficile). Pesco il Silbrarii di Villa Piccola, che fa sì un po' di barrique, ma per lo meno di secondo-terzo passaggio (ormai pare quasi impossibile trovare un vino non barricato, più difficile ancora che trovare un sommelier che sappia se i vini che ha in cantina facciano barrique o no). Il legno si sente un filo troppo, ma non in maniera esagerata: tutto sommato una scelta ragionevole.

Il conto: 113 € per
1 antipasto
2 primi
2 secondi
2 dessert
1 bottiglia di vino (25 €)
1 bottiglia di acqua
1 caffè

sabato 13 novembre 2021

Grande guerra, piccoli generali

di Lorenzo Del Boca
UTET, Torino, 2007

I soldati avevano un'altra storia da raccontare: indubbiamente parziale e frammentaria perché non riusciva ad alzare lo sguardo oltre i cinquanta metri quadrati dove ognuno di loro si sforzava di restare vivo, pur rischiando, ogni secondo, di non farcela. Lì non esistevano visioni strategiche né sguardi d'insieme ma non mancava il dolore, quello vero - straziante - perché apparteneva al compagno di camerata che, giusto il giorno prima, aveva raccomandato: "se non ce la faccio, manda questo alla mia famiglia..."
Questo è un libro che ha un'intenzione anche condivisibile, ma che la porta avanti in maniera talmente maldestra da ottenere l'effetto contrario! Scopo del libro, definito "scomodo" dall'autore, è mettere in evidenza l'impreparazione della classe politica e militare italiana di fronte alla Grande Guerra; per farlo però riduce tutta la storia della guerra sul fronte italiano a generali e graduati del tutto incapaci (o anche peggio: i dispregiativi non mancano) che mandano allegramente i soldati a morire, mentre nel resto del Paese albergano politici altrettanto inadatti, industriali truffatori, imboscati, ecc. ecc.
Intendiamoci: non sono cose inventate. È ormai risaputo (e non è scomodo dirlo) che le grandi battaglie isontine sono state delle carneficine, che l'impreparazione militare (soprattutto nel 1915, ma non solo) è costata migliaia di vite umane, che decisioni scellerate di generali (o anche semplici malintesi) sono state pagate a carissimo prezzo dalle truppe, e così via. Fa quindi bene l'autore a ricordare una serie di episodi tragici (con alcune interessanti denunce tratte da l'Avanti! dell'immediato dopoguerra), a rimarcare l'inadeguatezza (e anche la criminale colpevolezza) di alcuni figuri o il cinismo di Governo e Comando italiani verso i prigionieri di guerra, lasciati morire di fame per scoraggiare le diserzioni (tutti fatti peraltro ben noti).

Quello che non funziona è l'unilateralità. Tutto, ma letteralmente tutto, è piegato alla teoria dell'autore, senza che ci sia il minimo sforzo di stabilire una verità storica, di valutare spiegazioni alternative o anche solo di confrontarsi con quello, molto simile, che accadeva in altri teatri di guerra: sempre e solo un esercito formato da soldati comandati da imbecilli. Per questo è fondamentale leggere questo libro avendo accanto qualche altro riferimento, ad esempio questi due libri tra i tanti disponibili, su cui verificare alcune affermazioni. Ed i problemi nascono subito, già dal primo capitolo, dove leggiamo (p. 14)
E la riscossa di Vittorio Veneto esiste soltanto sulla carta perché, in quella settimana [...] non ci fu nessun assalto e nessuno sfondamento. Gli italiani avanzarono perché gli austriaci si stavano ritirando
Vado a prendere il libro di Pieropan: inizio della battaglia il 24 sul Grappa, primi tentativi sul Piave il 26, passaggio del fiume tra il 28 e il 29 per causa della piena e della resistenza nemica. Le perdite italiane (morti, feriti, dispersi) nell'ultima battaglia ammontano a quasi 37000 uomini (p. 848); certo molto meno dei circa 143000 dell'XI battaglia o dei più di 200000 inglesi di Passchendaele (anche loro comandati da asini?), ma non sono comunque troppi per una battaglia soltanto sulla carta? Gli ammutinamenti delle truppe ci furono (perlopiù di quelle ungheresi), ma nei giorni successivi, dopo che Caviglia era penetrato nello schieramento nemico. Ma Vittorio Veneto evidentemente non va giù a Del Boca, se alla fine del libro riporta una famosa fesseria di A. J. P. Taylor secondo cui (p. 213) a Vittorio Veneto gli italiani sbucarono dietro i francesi e gli inglesi. Facciamo due conti: 61 divisioni totali, di cui 1 francese e 2 inglesi; non serve aggiungere altro.
Il tono non cambia negli altri capitoli: si procede molto per aneddoti e divertenti pettegolezzi, meno per fatti. Si irride alla politica italiana del 1914, ma - a proposito di fedeltà e di cialtronate - non si ricorda che il gen. Conrad progettava un attacco a tradimento all'Italia già nel 1908, quando i due Paesi erano ben lontani dalla guerra, sfruttando la situazione conseguente al terremoto di Messina, per non parlare delle balle raccontate all'Italia la settimana prima dell'ultimatum a Belgrado (ancora Pieropan, p. 26). Si evidenziano tentennamenti, divisioni e quant'altro dando a tutti del somaro, ma non si dice che quello che affonda un accordo tra Italia e Austria non sono i continui rilanci dell'Italia, ma l'indisponibilità/impossibilità dell'Austria a cedere territori "etnicamente italiani" (come si diceva allora) pena la disgregazione dell'Impero, mirando invece a dilazionare l'inevitabile entrata in guerra dell'Italia con l'Intesa nella speranza di vincerla prima.
Un altro banale esempio del modo di procedere del libro lo troviamo a p. 45, dove leggiamo del gen. Caneva che
era nato a Udine e veniva dall'esercito austriaco. Se Vienna aveva lasciato che si congedasse, non doveva valere granché...
Ma che razza di deduzione è? E cosa avrebbero dovuto fare? Metterlo in galera per non farlo congedare (peraltro come sottotenente)? Pretendere di scrivere un libro scomodo farcendolo di insinuazioni è disarmante. E possiamo continuare con Cadorna, uno dei bersagli preferiti di Del Boca insieme a Badoglio ed al Re. Non ho simpatia per alcuno dei tre, ma nonostante il vergognoso bollettino a valle di Caporetto vorrei spendere due parole sul primo (gli altri sono oggettivamente indifendibili). A p. 68 si legge
Alla vigilia di Caporetto, [...] ai reparti italiani vennero ritirate le licenze, sospesi i permessi e raddoppiati i turni di servizio. Lui [Cadorna], dopo aver dato disposizioni ferree perché nessuno si muovesse dal suo posto, partì per Vicenza in una vacanza.
Il problema è che non è vero! Ancora Pieropan, dopo aver spiegato le vere ragioni del trasferimento a Vicenza, definisce questa ipotesi (p. 381) come dovuta a certa saggistica di parte, o quantomeno votata ad inguaribile pressappochismo. E ad un giudizio reiterato fino alla nausea di incapacità e criminalità degna del plotone di esecuzione (comprensibile se proferito dai soldati in prima linea, meno da uno storico a distanza di un secolo), preferisco quello assai più argomentato di Isnenghi/Rochat, di cui riporto la conclusione (p. 198):
Non ha senso addebitargli la strategia offensiva, gli orrori della trincea, gli esiti deludenti delle grandi battaglie: se si doveva fare la guerra, non era possibile farla diversamente. Gli si deve riconoscere la fermezza nella condotta della guerra e nello sviluppo dell'esercito; ma [...] la fiducia in sé, necessaria per comandare, divenne chiusura e disprezzo verso l'esterno. [...] L'aspetto più negativo (e più triste) [...] fu l'incapacità di rispettare i soldati, oggetto soltanto di repressione e di denunce, non mai di interesse e di riconoscimenti.
Si potrebbe continuare all'infinito, sulla Strafexpedition, su Caporetto, ecc. ecc., ma credo che il senso sia chiaro. Mi soffermo solo su un ultimo aspetto divertente, ovvero una certa idiosincrasia di questo libro per i nomi. Si comincia a p. 54 con il forte di Lucerna (che è invece Luserna, dove tra l'altro l'autore si dimentica di ricordare che anche gli austriaci spararono sui loro soldati all'apparire della bandiera bianca), ma poco prima (p. 50) era spuntato il fucile Metterli (che sarebbe poi Vetterli). A p. 146 compare il generale inglese Thomas Woodrow Wilson, che è il nome dell'allora Presidente degli USA, che diventa William di nome nell'indice finale, e che non compare nemmeno negli altri libri, dove c'è un Henry Hughes Wilson che dovrebbe essere finalmente quello giusto (ma di cui Robertson non era certo il secondo; altro svarione). E terminiamo con un Alessandro Diaz a p. 210 e, alla pagina precedente, con la fine anticipata della guerra: l'8 giugno 1918, a guerra finita... Speriamo che le edizioni successive abbiano corretto almeno queste leggerezze!

Resta giusto il tempo di notare che le considerazioni dell'autore non si fermano alla Grande Guerra; c'è spazio anche per le campagne d'Africa e per l'Italia di oggi, i futuristi, Dario Fo, e chi più ne ha, più ne metta. Riassumo: il libro contiene degli spunti interessanti e riporta fatti che è bene ricordare, ma è un libro a tema, che alla fin fine risulta altrettanto noioso di quelli improntati ad una stolida propaganda ai quali si vorrebbe contrapporre.

lunedì 8 novembre 2021

Ristorante Belvedere

Tortelli di zucca
Faraona al forno alle olive
Torta morbida al cioccolato e amaretti
Loc. Santa Lucia ai monti 12
Valeggio sul Mincio (VR)

Dal punto di vista gastronomico, Valeggio è conosciuta per la pasta ripiena, ed assai numerosi sono i pastifici ed i ristoranti dove la si può gustare. A ciò dovremmo aggiungere il vino coltivato nelle colline moreniche dei dintorni, parte delle DOC Custoza e Bardolino, ed ovviamente la vicinanza con la Valpolicella. Trovandoci a transitare per la zona, decidiamo quindi di fare una breve deviazione e ci dirigiamo al ristorante Belvedere. L'ora e la stagione ci impediscono di gustare il panorama richiamato dal nome del locale, e non ci resta che accomodarci direttamente al tavolo.
Il locale è accogliente e sembra un misto tra tradizionale e moderno, con i pavimenti in graniglia ed alcuni muri con mattoni a vista, ed altri particolari come il soffitto o i faretti che non sempre si intonano perfettamente. Qualche quadro ci ricorda che siamo nella zona delle battaglie risorgimentali, purtroppo non molto fortunate per le truppe italiane. La cucina è quella caratteristica del territorio (poi c'è la fiorentina, ma è un peccato veniale...), con predilezione verso le carni. Sette-otto scelte per portata.
Iniziamo con un antipasto di carne salata con fagioli (purtroppo non fotografata per via della fame che ce l'ha fatta sbranare) davvero delicatissima; così tanto che me la sono mangiata senza nemmeno un filo d'olio di condimento!
Tra i primi la fanno da padrone i tortelli, declinati in brodo, burro e salvia, e di zucca, o in alternativa i classici bigoli. Io non resisto alla tentazione dei tortelli di zucca in brodo, con una sfoglia sottilissima, molto gustosi e piacevoli.
La lista dei secondi piatti include il pollo alla griglia (pare sia una specialità del posto), la classica carne di cavallo, e del manzo. Io però mi oriento su un piatto che non mangio molto spesso, ovvero una faraona al forno con olive. Ottimamente cotta e molto saporita, è un'ottima alternativa ai piatti più comuni.
La proposta dei dolci include una torta di mele, millefoglie, gelati e sorbetti. Io scelgo una torta morbida al cioccolato ed amaretti molto buona, che conclude degnamente la cena.
La cantina è ben fornita, e ruota ovviamente attorno ai vini della zona e della Valpolicella. Scegliamo due Ripasso (Monti Gabri di Tenuta S. Antonio e I quadretti di La Giaretta), troppo forti per i tortellini ma ottimi con le carni... e del resto, chi poteva sapere all'inizio che avremmo scolato due bottiglie in tre, quando tutti i commensali si sperticavano in affermazioni del tipo: io bevo solo un bicchiere...

Il conto: 188 € per
2 antipasti
3 primi
3 secondi
2 contorni
2 dessert
1 caffè
1 bottiglia di acqua
2 bottiglie di vino (44 €)
2 grappini (9 €)

giovedì 4 novembre 2021

Alto Adige DOC Pinot noir 2013 Alois Lageder

Alto Adige e Pinot nero sono un connubio classico, fatto da un territorio bellissimo, con montagne da scalare, terme con Aufguss da frequentare, borghi da visitare, cucina e vini da assaggiare, e da un vino che qui ha trovato, senza nulla togliere alle pregevoli realizzazioni che spuntano sempre più numerose nella penisola (e ovviamente altrove), una patria d'elezione.
Tra i numerosi Pinot noir altoatesini degni di nota, spicca quello della cantina di Alois Lageder, che produce vini da una novantina di anni circa, e che da diversi decenni lavora in regime biodinamico i vigneti di proprietà, raccogliendo inoltre le uve da diversi viticoltori della zona.
La produzione riflette il territorio, con i classici Pinot bianco, Chardonnay, Traminer, Sauvignon, e gli immancabili Lagrein, Schiava, e ovviamente Pinot noir. Di quest'ultimo, la cantina produce tre esemplari: la linea base, il Mimuet, ed il Krafuss (parzialmente affinato in barriques). La versione base compie la macerazione in acciaio ed affina per 12 mesi in botti grandi e cemento.
Il Pinot noir non è vino da grande invecchiamento, ma otto anni sono un tempo ragionevole, ed apro la bottiglia senza indugi, ricordando la prima volta che assaggiai questa etichetta in un ristorante della Val di Fassa. Il colore è il classico rosso rubino, invitante, cristallino, con solo qualche riflesso granato.
Al naso si sentono piacevolmente i caratteristici frutti rossi, ma è all'assaggio che sembra quasi di bere il territorio altoatesino, con tutto il suo fruttato e delle note speziate e di terra, di sottobosco. Tannini morbidi, rotondi, in buon equilibrio, per un vino ancora fresco e piacevolissimo da bere, con una buona persistenza. Uno dei migliori Pinor nero dell'Alto Adige!

Gradazione: 13°
Prezzo: 14 €

sabato 30 ottobre 2021

Treni 2218 e 2275 (Bergamo-Milano Lambrate): ritardi settembre-ottobre 2021

Fig. 1: distribuzioni cumulative dei ritardi per il treno 2218 delle 8:02
nei bimestri settembre-ottobre dal 2015 al 2021.
Fig. 2: Andamento mensile dei ritardi per il treno 2218 (8:02).
Fig. 3: Come in Fig. 1, ma per il treno 2275 delle 17:41.
Fig. 4: Come in Fig. 2, ma per il treno 2275 delle 17:41.
La segnalazione del bimestre è relativa ad un articolo apparso su MilanoToday, Perché così Trenord è un disastro perenne, relativo allo sciopero di domenica 24 ottobre, che ha il solo difetto di avere un titolo fin troppo generoso. Riporto un paio di passi salienti: con la nascita di Trenord il monopolio ferroviario venne soltanto spostato (da nazionale o regionale), e di innovativo c’è solo il fatto che con i soldi dei contribuenti ai lavoratori vennero accordati trattamenti di maggior favore rispetto agli altri ferrovieri italiani, prima ancora di aumentare la produttività di sistema dell’azienda, sempre sotto di 20 punti rispetto a quella di aziende ferroviarie europee. E ancora: Il costo del treno/km lombardo è anche il più alto d’Italia. Da allora, nonostante tutto questo, si contano una decina di scioperi all’anno, e una crescita esponenziale dei disservizi (ritardi e soppressioni dei treni).

Che il servizio sia ben peggio che disastroso lo sanno da sempre i pendolari, e ne ha avuto ulteriore conferma - di cui avrebbero volentieri fatto a meno - chi è salito sui due treni in esame in questo bimestre, il peggiore degli ultimi sette anni! Le cose cominciano male già dalla mattina, come si vede in Fig. 1: puntualità al 7% e al 27% entro 5', ritardo massimo di 23 minuti; di fatto solo nel 2018 (anno dell'incidente di Pioltello) i ritardi erano stati così alti. Anche i ritardi alla partenza (non mostrati) sono aumentati in questo bimestre, a dimostrare che è tutto il servizio che è inqualificabile.
Il dato è evidente anche dallo "storico" di Fig. 2: gli ultimi due mesi vedono un aumento di tutte le metriche, con il 10% peggiore che riesce pure a superare in quarto d'ora di ritardo in entrambi i mesi.

Come se questo non bastasse, passiamo al viaggio di ritorno. Qui ci sarebbe veramente da denunciare qualcuno: treno sempre, perennemente in ritardo; una cosa mai vista. La curva è completamente insensata, assai peggiore del solito, pur penoso, andazzo. Puntualità al 16% e al 51% dopo 5' (era sempre sopra il 70%), con ritardo massimo di 53 (cinquantatré!) minuti. Mai, dico MAI si è visto un disservizio simile tra ritardi, cancellazioni e scioperi, su un treno vetusto che dovrebbe essere dismesso invece di continuare a fare danni. 
L'ultima figura permette di notare come il drastico peggioramento si sia verificato ad ottobre, mese in cui il treno è arrivato puntuale tre, dico TRE volte, collezionando ritardi sopra i 10' per ben DIECI giorni, ovvero praticamente la metà dei 21 giorni lavorativi.

La domanda senza risposta è sempre la stessa: ma per quanto ancora i pendolari dovranno sopportare (e pagare!) un non-servizio come questo?

Nota: i dati sono raccolti personalmente o da app Trenord. Per correttezza, bisogna specificare che i ritardi sopportati dai pendolari su questi due treni non sono indicativi dei ritardi complessivi, che sta ad altri raccogliere e rendere pubblici. Idem per i rimpalli di responsabilità tra Trenord, Rfi, e quant'altri. Qui si cita Trenord in quanto è ad essa che i poveri pendolari versano biglietti ed abbonamenti, e ai quali dovrebbe rispondere del servizio.

mercoledì 27 ottobre 2021

Vuoto d'aria + Via del rifugio

Sul 1° tiro di Vuoto d'aria
Teo sul 2° tiro
Sul 3° tiro
Sul 2° tiro della Via del rifugio
Teo sul 3° tiro
tracciato delle vie Vuoto d'aria (arancio) e Del rifugio (rosso)
Porte Neigre (gruppo del Catinaccio)
Parete S

Accesso: fino a poco tempo fa si poteva prendere la navetta per il rif. Gardeccia. Ora che il servizio è sospeso, bisogna salire a piedi, lasciando l'auto a Muncion (pochi parcheggi), oppure utilizzare la seggiovia. In questo caso si prendono i primi due tronchi della seggiovia che da Pera di Fassa porta a Pian Pecei (A/R ben 13€) e da qui si segue il sentiero per il rifugio Gardeccia (non prendere il sentiero panoramico al bivio con l'indicazione, ma tenere la destra). Dal rifugio si prosegue su sterrato verso i rifugi Vaiolet e Preuss. Le due vie si sviluppano sulla parete sottostante i rifugi, a destra, ben evidente dalla strada. Quando iniziano i tornanti, si taglia verso destra e si raggiunge la parete. Vuoto d'aria attacca a destra, dopo aver guadato e risalito brevemente il torrente (ometti). La Via del rifugio attacca invece più a sinistra, in corrispondenza di un marcato diedro.
Relazione (Vuoto d'aria): bella via in stile plaisir, adatta per le giornate di tempo incerto. Chiodatura ottima a fix; portare solo rinvii e cordini per collegare le soste.
1° tiro: salire lungo il diedro e spostarsi verso destra, continuando poi in verticale fino alla sosta. 25 m, 4b, nove fix. Sosta su un fix con anello.
2° tiro: spostarsi a destra e superare un diedrino, proseguire per placca verso destra e salire in direzione dello spigolo dove si sosta. 30 m, 4c, undici fix. Sosta su due fix con anello.
3° tiro: salire lungo la placca puntando alla spaccatura centrale tra due massi strapiombanti. Superarla e sostare sulla sommità del torrione. 30 m, 5a, nove fix. Sosta su due fix con anello.
4 tiro: traversare il "ponte tirolese" su corde statiche e sostare subito dopo.
5° tiro: salire verso destra in direzione di una forcella, proseguire e sostare presso un masso sulla destra. 30 m, II, quattro fix. Sosta su due fix.
Discesa: raggiungere i rifugi ed imboccare il sentiero che riporta al rifugio Gardeccia.
Relazione (Via del rifugio): via di carattere identico alla prima, ma leggermente più difficile.
1° tiro: salire la placca, prima dritto e poi a destra, uscendo poi tramite delle lame (fare attenzione) sul terrazzo di sosta. 30 m, 4c, nove fix. Sosta su due fix e cordone con maglia-rapida.
2° tiro: salire la placca a sinistra della sosta e passare uno spigolino, salire (passo-chiave ben protetto) e continuare sul muro uscendo in cima al pilastro dove si sosta. 25 m, 6a+ (passo), dieci fix. Sosta su due fix con moschettone e maglia-rapida.
3° tiro: salire lungo lo spigolo e superare un camino, uscendo alla sosta sulla sinistra. 25 m, 5a, otto fix. Sosta su due fix e maglia-rapida.
4° tiro: superare la paretina sopra la sosta e proseguire per un canalino erboso, portarsi a sinistra (sosta possibile) e salire una rampa erbosa fino alla sosta. 30 m; 5a, I; quattro fix, una sosta su due fix e cordone. Sosta su due fix e maglia-rapida.
5° tiro: salire lungo la cresta fino all'anticima, abbassarsi e salire alla terrazza erbosa dove si trova la sosta (masso sulla destra). 25 m, II, due fix. Sosta su due fix.
Discesa: come sopra.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

sabato 23 ottobre 2021

Giallo cromo

La prima edizione italiana del 1932
L'edizione Einaudi del 1958
di Aldous Huxley
Monanni, Milano 1932
Traduzione di Cesare Giardini

Si entra nel mondo - continuava Dionigi - pieni di idee preconcette su tutto. Si ha una filosofia e si cerca di adattare ad essa la vita. Non sarebbe meglio vivere prima e adattare poi la filosofia alla vita?... La vita, i fatti, le cose sono tremendamente complicati; le idee, anche le più difficili, ingannevolmente semplici. Nel modo delle idee, tutto è chiaro; nella vita, tutto è oscuro, imbrogliato. C'è dunque da meravigliarsi se una persona è poi infelice, orribilmente triste?
Questo libro è il primo scritto da Huxley, ed ha esattamente un secolo. Non credo che si possa definire un capolavoro, ma contiene diversi spunti interessanti, ed in un certo senso vi si può trovare traccia delle tematiche dell'Huxley più maturo.
La trama in senso stretto è piuttosto semplice, per non dire inconsistente: Dionigi (che manterrà il nome originale Denis nelle edizioni successive alla prima), un poeta combattuto tra l'idea di avere del genio e quella del fallimento, è invitato a trascorrere un periodo di vacanza a Crome, una villa di campagna. Lì vi troverà altri ospiti: il pittore Gombauld, un razionalista cinico che attacca pezze a tutti gli ospiti, un giornalista che scrive banali best-seller, un dongiovanni, e tre donne: una, quasi sorda, fa da apparente spettatrice e registra tutto in un diario (che sarà una rivelazione per Denis); Mary, la caricatura della donna "moderna", con idee conseguenti, ovviamente appassionata solo di arte moderna, che si convince di doversi liberare della propria verginità ma non sa bene con chi farlo, e Anne, una bella fanciulla un po' vanesia che suscita le passioni di Denis e Gombauld. E, naturalmente, i padroni di casa: lui intento a scrivere la storia della villa, lei appassionata di spiritismo che fa oroscopi su calcio e cavalli.
Il libro segue il goffo corteggiamento di Denis per tre settimane, ma in realtà il ruolo principale lo giocano le discussioni tra gli ospiti, ognuno dei quali rappresenta un punto di vista diverso, che spaziano dal futuro dell'umanità alla fine del mondo e al Giudizio universale, l'arte e l'ispirazione, sesso e moralità, fino ai racconti sulla storia della villa propinati dall'anfitrione (che forse si potevano accorciare). In tutto ciò, Huxley si burla delle mode del tempo e della società, ma senza troppa cattiveria, guardando tutto sommato i suoi personaggi con simpatia e istillando arguzia e leggerezza anche nelle conversazioni apparentemente più "pesanti".
Tuttavia, visto in retrospettiva, è facile leggere nelle argomentazioni del razionale Scogan un anticipo della riflessione che Huxley, e non solo lui, svilupperà più avanti sui fallimenti della società (pensate ai sermoni sulla prossima fine del mondo), sul futuro e sul ruolo della scienza (p. 47)
Una generazione impersonale si sostituirà all'orribile sistema della Natura. Entro vaste incubatrici di Stato, file sovrapposte di bottiglie fecondate forniranno al mondo la popolazione di cui ha bisogno. Il sistema familiare sparirà; la società, colpita alle radici, cercherà nuove fondamenta [...]
Così, le vicende di Denis e degli altri protagonisti si possono rivedere in un'ottica pessimistica, dove gli individui che popolano la "società" di Crome restano isolati e incapaci di agire. Paradigma di ciò è ancora Denis, cui ogni iniziativa va irrimediabilmente storta e che si pentirà subito dell'unica, risibile, azione che riuscirà a portare a termine (p. 267):
Egli si abbandonò al proprio destino, irrimediabilmente, fatalisticamente. Ecco il risultato dell'azione, del voler fare qualche cosa di decisivo. Ah! Se egli avesse lasciato andare le cose per la loro china! Se avesse...
Infine, è d'obbligo un richiamo alla realtà: Crome è in effetti la residenza di Garsington, dove la padrona Ottoline Morrell riceveva artisti e letterati dell'epoca, con cui peraltro se la prendeva a morte dopo che questi la trasfiguravano nelle loro opere in termini non proprio edificanti (a parte Priscilla di questo romanzo, l'altro caso notissimo è Hermione in Donne innamorate di Lawrence).
Dimenticavo... e il titolo? Quello originale è Crome yellow, un gioco di parole che in italiano non riesce benissimo tra il nome della residenza ed il colore (chrome yellow), che potrebbe evocare il tono elegiaco della narrazione, indicando il sole che splendeva sulla tenuta in quelle settimane d'estate.

Un recensione ''seria'' del volume si può trovare qui:
Aldous Huxley's 'Crome Yellow' - Pt I
Aldous Huxley's 'Crome Yellow' - Pt II

giovedì 21 ottobre 2021

Dimai

Teo sul 4° tiro.
Sul 6° tiro.
Sull'8° tiro.
Teo sul 9° tiro.
Sull'11° tiro.
Sull'11° tiro.
Punta Grohmann (gruppo del Sassolungo)
Parete S

Accesso: parcheggiare a Passo Sella e scendere verso la val Gardena (qualche sporadico parcheggio), tenendo una scorciatoia sulla sinistra che conduce verso il rif. Valentini (possibilità di parcheggio a pagamento). Continuare lungo la strada sterrata (sbarra), puntando alla stazione di arrivo della seggiovia. Per via di uno sterrato e una traccia si raggiunge l'evidente crinale, che si segue in direzione della Punta Grohmann. Giunti ad una sella sotto la parete (qui conviene cambiarsi) si seguono gli ometti che portano a risalire il primo tratto, fino ad una terrazza inclinata con una piccola nicchia. Qui si può attrezzare una sosta su friend (se si trova il punto giusto).
Relazione: via storica (del 1908) che sale la parete S della Punta Grohmann scovando un percorso senza particolari difficoltà (agli occhi di oggi). Definito "magnifico itinerario" nella guida del Sassolungo di Tanesini del 1944, è oggi una cavalcata abbastanza lunga ma non difficile. Si tratta comunque di un itinerario da non sottovalutare, sia per la lunghezza di salita e discesa, sia perché è richiesta una minima capacità di orientamento. Il tratto-chiave ormai è protetto a fittoni, ma per il resto la chiodatura è abbastanza essenziale: utili friend per integrare. Il percorso nella prima parte non è obbligato, e ci sono diverse possibilità di sosta. La roccia è ottima, con i soliti tratti in cui è d'uopo fare attenzione.
1° tiro: salire tenendo la sinistra fino alla sosta. 30 m, II. Sosta su anello cementato.
2° tiro: portarsi ancora verso sinistra, superare un colatoio nero e salire alla sosta. 30 m, II. Sosta su anello cementato. Se lo concatenate con il prossimo, fate attenzione agli attriti.
3° tiro: salire brevemente e portarsi alla sosta sulla sinistra. 15 m, II. Sosta su anello cementato.
4° tiro: salire dapprima dritti, per poi portarsi a sinistra verso un vago spigolino. Salirlo e raggiungere la sosta in una nicchia sulla sinistra. 30 m, III+. Sosta su due chiodi.
5° tiro: salire in obliquo a sinistra, puntando ad una nicchia nera soprastante un canale dove si sosta. 45 m, II. Sosta su anello cementato.
6° tiro: salire a destra della sosta lungo una spaccatura e continuare, prima a sinistra e poi a destra, fino alla sosta su una terrazza sulla destra. 40 m; IV-, III+; un chiodo. Sosta su anello cementato. Più a sinistra c'è una nicchia con la sosta su anello cementato della via Harrer.
7° tiro: seguire la vaga cengia verso destra e salire poi in obliquo verso destra fino a raggiungere un evidente colatoio, sostando all'imbocco di un canale nerastro. 45 m; III, IV-; due chiodi (uno con cordone), un cordone in clessidra. Sosta su cordone in clessidra. Se ci si sposta troppo a destra lungo la cengia iniziale si trova una sosta intermedia (chiodo e cordone in clessidra).
8° tiro: salire lungo il canale e portarsi poi sulla sinistra verso un diedro. Salirlo fino ad uno strapiombo, uscirne sulla destra e superare un paio di salti fino alla sosta, sotto uno strapiombo. 45 m; III, IV; un chiodo, un cordone in clessidra. Sosta su cordone in clessidra.
9° tiro: traversare a destra e salire la rampa verso sinistra sino alla sosta nel camino. 20 m; IV, 4a; un chiodo con cordone, tre fittoni. Sosta su due chiodi (uno con anello).
10° tiro: salire il camino che si allarga poi a canale, continuare per un secondo camino ed uscire poi a sinistra alla cengia di sosta. 40 m; IV, III, IV; una sosta intermedia su due chiodi. Sosta su due chiodi e spuntone da attrezzare.
11° tiro: spostarsi a sinistra e salire il pilastro, continuando poi dritti fino ad una parete dove si sosta in una nicchia. Appena prima, sulla sinistra, c'è un terrazzo con ometto. 50 m, III. Sosta su due chiodi.
12° tiro: spostarsi a destra e doppiare lo spigolo, salendo per rocce nere a sinistra di un canale. Ignorare una sosta su clessidra e continuare tenendo un po' a sinistra. In prossimità di un camino spostarsi a sinistra e sostare presso una forcella. 55 m; IV, III, II; un cordone in clessidra. Sosta da attrezzare su clessidra (in basso).
13° tiro: continuare in verticale e poi lungo la cresta fino al suo termine. Salire verso la parete di fronte e sostare. 55 m; III, II, I. Sosta su un fix.
14° tiro: salire a destra della sosta, tenendo a destra. Salire per un camino e proseguire fino ad una terrazza. 35 m, IV-. Sosta su cordone in clessidra.
15° tiro: salire puntando ad una parete nera, salirla e proseguire per rocce rotte. 60 m; III, I, III. Sosta da attrezzare su spuntone.
Discesa: raggiungere la sommità e seguire gli ometti che portano in direzione del Sassolungo. Si scende una paretina (II) e si continua lungo un vago spigolo, traversando poi a destra (tutte le direzioni sono ora riferite alla direzione di discesa, ovvero viso a valle) per un colatoio (ometti). Ci si abbassa alla sosta di calata (cordoni in clessidra e maglia-rapida).
1a calata: 15 m, fino ad una forcella. Salire indi la paretina di fronte (ometti sulla sommità) e scendere brevemente dal lato opposto, traversando poi a destra fino alla sosta (anello cementato).
2a calata: 15 m, fino ad una forcella. Seguire poi una rampa fino ad un intaglio. Da qui è possibile calarsi (sosta sulla sinistra con cordone con maglia-rapida su spuntone) oppure scendere (II) fino alla sosta non evidentissima posta sulla sinistra (anello cementato).
3a calata: 20 m, sulla sinistra, fino alla sosta successiva (due chiodi cementati con anello). Possibile concatenare con la prossima.
4a calata: 25 m, fino ad una terrazza. Da qui, alzarsi leggermente fino ad uno spuntone con la sosta (cordini e maglia-rapida).
5a calata: 25 m, sulla destra, entrando in un camino dove si trova la sosta (cordoni in clessidre con maglia-rapida). Possibile concatenare con la prossima.
6a calata: 20 m, fino ad un terrazzo. Qui si sale verso sinistra e si scende per un canale fino alla sosta (anello cementato).
7a calata: 25 m, lungo il canale. Al termine, seguire gli ometti verso sinistra, scendendo poi fino alla sosta successiva (cordini con maglia-rapida su spuntone).
8a calata: 30 m, lungo il canale di sinistra.
Al termine si segue una cengia in salita e ci si abbassa, sempre seguendo gli ometti, fino a giungere alla forcella tra la punta Grohmann e le Cinque dita. Da qui si scende lungo il canale sulla destra e poi per l'interminabile ghiaione, traversando infine per prati fino al Passo.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

sabato 16 ottobre 2021

Via delle placche nere

Relazione originale (da Pareti)
Sul 2° tiro.
Sul 3° tiro.
Sul 4° tiro.
Teo sul 4° tiro.
Tracciato della via (azzurro). In rosso Delenda Carthago,
in giallo Maze.
Prima Torre del Sella
Parete S

Il punto è questo: gli alpinisti si incazzano (con ragione) quando le vie classiche sono riattrezzate a fix senza il consenso dell'apritore. Ma che dire del contrario? Una via aperta a spit può essere "riattrezzata" in ottica classica, rimuovendo gli spit? A me pare una stupidaggine; eppure, succede anche questo. L'incipit di questa vicenda viene da Matteo, che ritrova in un vecchio numero di Pareti la relazione di una via aperta da Cipriani e Vidali nel 1991. Andiamo quindi a darle un'occhiata, ma sopra la prima sosta non vediamo traccia di spit (quelli a destra sono di un'altra via). Decidiamo allora di seguire l'itinerario indicato come Grande placca (e apritori ignoti) nella guida di Bernardi Arrampicare in Val Gardena e dintorni, vol. 3, p. 154. Salendo, ci rendiamo però conto che le soste sono le stesse, che l'itinerario coincide in diversi tratti, e troviamo pure qualche avanzo di vecchio spit rimosso. Non resta che pensare ad un discutibile restyling, del quale nessuno conosce l'autore, e soprattutto le motivazioni.
Accesso: dal passo Sella si prende il sentiero che parte dietro l'hotel Mariaflora e si sale in direzione della Locomotiva. Prima di raggiungerla si prende a destra e si traversa fin sotto la parete S della prima torre. Qui è possibile giungere anche tenendo a destra sul sentiero iniziale e poi risalendo per traccia verso sinistra. Giunti sotto la parete, si supera l'evidente diedro obliquo della via Trenker e si continua fino ad una targa nerastra. La via attacca poco a sinistra della targa (in realtà, a guardare la relazione originale viene il sospetto che l'attacco sia ancora più a sinistra).
Relazione: bella via che sale la parete della Torre per placche e muretti, sempre su roccia ottima tranne l'ultimo tiro. Le difficoltà non sono elevate ed i tratti più impegnativi sono chiodati; utile comunque qualche friend per integrare. La via originale esce lungo la Trenker; è possibile percorrere una variante di uscita (aperta da Bernardi?) che si sposta sul pilastrino di destra.
1° tiro: salire più o meno dritti per rocce facili fino ad una zona più erbosa. Qui spostarsi a sinistra verso un canalino che si sale fino alla sosta. 55 m; III, IV-, II, III; un fix. Sosta su due chiodi e cordone. Verso destra sale l'untissima via Fiechtl.
2° tiro: rimontare una lama a sinistra della sosta, continuare per una fessura appena a sinistra e portarsi a destra verso la sosta. 20 m; IV, V, IV-; due chiodi. Sosta su due fittoni, vicino alla vecchia sosta su due spit, cordino e maglia-rapida.
3° tiro: salire a destra della sosta seguendo poi una lama. Spostarsi a sinistra (attenzione ad un pilastro dall'aspetto assai instabile) e continuare per una fessura giallastra, uscendo poi a sinistra ad una cengia dove si sosta. 20 m; IV, V+, V; tre chiodi (uno con cordino). Sosta su un fittone, con vecchia sosta su due spit, cordone e maglia-rapida.
4° tiro: salire un diedrino appena a destra della sosta e proseguire fino ad una lama. Continuare per divertente placca a buconi, prima a sinistra e poi a destra, fino alla sosta. 25 m; V+, IV, V-, IV; tre chiodi, tre cordoni in clessidra, un nut incastrato. Sosta su un fittone e cordone in clessidra con vecchio spit.
5° tiro: salire in verticale fino alla cengia, dove si sosta sulla sinistra (in comune con la via Trenker). 30 m; IV, III; due chiodi (uno con anello). Sosta su due chiodi cementati. E' possibile anche salire tenendo la destra e sostare sotto il pilastro su un chiodo e una clessidra.
Variante di uscita (Bernardi?):
6° tiro: traversare a destra lungo la cengia, doppiare lo spigolino e proseguire (facile, ma molto esposto) fino ad una fessura, che si sale raggiungendo la sosta. 35 m; II, VI- (passo), IV; un chiodo con cordino. Allungate eventuali protezioni veloci. Sosta su cordone in clessidra.
7° tiro: salire a destra della nicchia e continuare prima a sinistra e poi a destra, uscendo su facili rocce. 30 m; IV, III+; un chiodo. Sosta su chiodo cementato. Attenzione alla roccia nella prima parte del tiro.
Uscita originale (via Trenker):
6° tiro: traversare brevemente sulla cengia e salire verso destra puntando al diedro, uscendo per facili rocce e raggiungendo la sosta. 40 m; I, IV-; due chiodi. Sosta su chiodo cementato.
Discesa: seguire la traccia a destra (rispetto alla direzione di salita) fino a ritrovarsi sul sentiero che riporta alla base della parete. Un paio di brevi sezioni di II possono essere superate con calate in corda doppia.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

venerdì 15 ottobre 2021

Doctor Scintilla

Alberto sul 1° tiro.
Sul 2° tiro.
Teo sul 4° tiro.
Sul 5° tiro.
Teo sul 7° tiro.
Sull'8° tiro.
Piz Ciavazes
Parete NO

Accesso: da passo Sella ci si porta al parcheggio in corrispondenza della prima curva verso la Val Gardena. Lì parte il sentiero per la ferrata delle Mesule. Si supera la quarta torre del Sella e si prosegue fino ad una specie di canale (oltre cui c'è l'attacco della ferrata). Prima di raggiungerlo, si lascia il sentiero e si sale verso la parete, giungendo in breve all'attacco, appena a destra di una fessura obliqua (scritta e chiodo con cordino).
Relazione: via molto bella che sale la parete del Piz Ciavazes per placche lavorate e qualche muretto. La roccia ottima, le difficoltà mai estreme e non continue, accoppiate alla chiodatura ottima nei passi più impegnativi e un po' più lunga nei tratti facili, ne fanno una via piuttosto ripetuta. Tutte le soste sono su due fix, maglia-rapida e cordone tranne ove indicato. Portare eventualmente qualche friend per integrare i tratti più facili. Contare 5h circa. Fare molta attenzione alla discesa (vedi).
1° tiro: salire a destra del pulpito, superare una placca e continuare fino alla sosta sulla sinistra. 30 m, 6a+ (un passo); sei fix, un chiodo con cordone.
2° tiro: salire a sinistra della sosta, superare un diedrino ed un breve strapiombo per salire un bel diedro fessurato e sostare sulla destra. 25 m, 5c, sette fix.
3° tiro: salire dritti fino ad una cengia e spostarsi verso destra per salire un vago diedro fino alla sosta. 40 m; III+, 4a; due fix, un cordone su spuntone.
4° tiro: portarsi sulla parete di sinistra e salire la placca fino ad una cengia, superare un muretto e sostare in una nicchia gialla. 50 m, 5c (passo); nove fix, un chiodo.
5° tiro: superare un breve strapiombo sulla destra e proseguire per muretti. 20 m, 6a, sei fix.
6° tiro: salire la placca sulla sinistra fino ad uno strapiombo giallo. Ignorare il chiodo sulla destra e portarsi ancora a sinistra, salendo fino alla sosta. 35 m, 5c, sette fix.
7° tiro: salire dritti per brevi camini e diedri fino ad una cengia dove si sosta a destra. 25 m; IV; un fix, un cordone in clessidra. Sosta su due spit e un fix con cordoni.
8° tiro: portarsi in obliquo verso destra, doppiare un vago spigolino e salire alla sosta. 15 m, 5a, tre fix. Sosta su due fix e cordone.
9° tiro: salire a destra della sosta superando un muretto, spostarsi ancora a destra e salire lungo una sequenza di fessure che piegano leggermente a sinistra. Seguirle fino all'altezza della sosta, che si raggiunge traversando a destra. 55 m, 6a, sette fix (uno con cordone). Sosta su due fix con cordone.
10° tiro: spostarsi a destra e salire il primo canale che si incontra, sostando al termine, prima di attraversare il ghiaione. 30 m, un fix; IV, III. Se, come noi, sbagliate canale, dovete poi proseguire per un tratto del ghiaione verso sinistra, con molta attenzione, puntando ad una sosta su masso.
Discesa: fare molta attenzione a muoversi sul ghiaione perché si rischia di far precipitare a valle e/o sulle eventuali cordate sottostanti macigni di dimensioni anche ragguardevoli. Meglio non procedere in cordata. Dalla sosta si segue una traccia (ometti e bolli) che sale verso sinistra e si infila in una larga conca, per congiungersi con il sentiero della ferrata delle Mesule. Lo si segue in discesa e si percorre l'infinita ferrata che riporta alla base, poco oltre il punto di attacco (1,5h circa).

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.