sabato 13 marzo 2021

Treni 2218 e 2275 (Bergamo-Milano Lambrate): ritardi gennaio-febbraio 2021

Fig. 1: Distribuzioni cumulative dei ritardi per il treno 2218 (ex 2608
delle 8:02) nei bimestri gennaio-febbraio dal 2015 al 2021.
Fig. 2: Andamento mensile dei ritardi per il treno 2218 (8:02).
Fig. 3: Come in Fig. 1, ma per il treno 2275 (ex 10809 delle 17:41).
Fig. 4: Andamento mensile dei ritardi per il treno 2275 (17:41).
Pare che Trenord sia diventata un po' (troppo!!) suscettibile nei confronti di chi fa notare come il servizio fornito lasci alquanto a desiderare (per usare un eufemismo). Attendiamo quindi fiumi di denunce nei confronti di quell'infinità di persone che su TripAdvisor relegano Trenord alla poco invidiabile posizione n. 1170 su 1280 alla data di oggi. Viene davvero la curiosità di vedere cosa vi sia di peggio, ma lo lascio scoprire a voi.
Limitandoci ai due treni su cui butto via ore, giorni, secoli di ritardo, la novità più grande è che... hanno cambiato numero! Per chi, invece, non si preoccupa di numeri, di pubblicità, di compensi più o meno lauti, diciamo subito che le cose non sono cambiate.

Il 2218 migliora rispetto al bimestre dello scorso anno (ci mancherebbe!), ma resta sempre lontano da standard decenti: come indica la Fig.1, la puntualità è al 14%, il ritardo entro 5' raggiunge solo il 62% dei treni, il massimo ritardo è pari a 15' (il 41% del tempo di percorrenza!).
Se guardiamo l'andazzo "storico" di questo treno (Fig. 2), vediamo che siamo più o meno tornati al solito livello, in cui anche la media è superiore ai 5', e con la curva verde ben lontana dalla fascia gialla in cui dovrebbe risiedere.

Spostiamoci ora al viaggio di ritorno. Il primo bimestre 2020 era talmente penoso che era difficile fare peggio, ma in questo caso (Fig. 3) si potrebbe dire che si torna su valori quasi (quasi!!) accettabili: puntualità al 27% ed al 78% entro 5' di ritardo; massimo ritardo - e qui non ci siamo proprio - di ben 22 minuti, il 50% di un pietoso tempo di percorrenza di ben 44' (7' più che al mattino!).
Lo storico dei ritardi evidenzia la solita altalena della curva al 90%, da cui traiamo la sorprendente conclusione che cambiare numero ad un treno non è sufficiente ad aumentarne la puntualità (e speriamo che lo capiscano anche a Trenord). Si vede anche un tiepido miglioramento a febbraio, ma vi dico subito che a marzo se ne è persa ogni traccia.

Nota: i dati sono raccolti personalmente o da app Trenord. Per correttezza, bisogna specificare che i ritardi sopportati dai pendolari su questi due treni non sono indicativi dei ritardi complessivi, che sta ad altri raccogliere e rendere pubblici. Idem per i rimpalli di responsabilità tra Trenord, Rfi, e quant'altri. Qui si cita Trenord in quanto è ad essa che i poveri pendolari versano biglietti ed abbonamenti, e ai quali dovrebbe rispondere del servizio.

martedì 9 marzo 2021

Nella luce del sacrificio

di Giuliano Donati Petteni
Orobiche, Bergamo, 1940 (1a ed. Bolis, 1928)

Salute ottima, freddo, neve, tormenta, fucilate, cannonate, pericoli, fatica. Comincio a nutrire dei dubbi quando penso che l'uomo chiama se stesso "Re del Creato". L'uomo è più bestia delle bestie... quando ci si mette.
Non ricordo con precisione dove mi sono imbattuto in questo libro per la prima volta; probabilmente figurava nella bibliografia di uno dei numerosi libri sulla Grande Guerra in Adamello e sui fratelli Calvi che ho letto nel corso degli anni. Inoltre, la dicitura Xilografia di A. Vitali relativa all'immagine in copertina mi incuriosiva, anche se certamente l'esito di questa incisione è assai lontano dagli altissimi livelli abitualmente espressi nelle opere di Alberto Vitali. Tuttavia, il vago senso di diffidenza che emanava dal titolo ha fatto sì che il libro sia rimasto a decantare per un congruo numero di anni prima della lettura.
Per capirne la genesi bisogna andare alla data della prima edizione: il 1928, decennale della Vittoria. In Italia (ma non solo) fioccano commemorazioni, libri (ad es. la collana del TCI sui Campi di battaglia), monumenti, tutti conditi da un mare di retorica. In questo contesto si colloca il libro, che ha però la particolarità (chiamiamola anche pregio, se vogliamo) di limitarsi all'ambito locale, di voler essere un'opera sui combattenti bergamaschi della Grande Guerra. Oggi siamo subissati di libri a carattere locale, la maggior parte dei quali assolutamente inutili, ma un secolo fa questo tipo di editoria non era così diffusa, ed il libro di Donati Petteni è forse il primo che racconta simili storie.
Nel capitolo di apertura l'autore si propone di illuminare figure che chiama eroi oscuri, i tantissimi che fecero il loro dovere (e anche più) perdendo la vita, e che furono poi dimenticati nelle celebrazioni ufficiali. Spuntano nomi, fotografie, racconti, come fossero ricordi famigliari. Dopo questo tributo si passa ai nomi più famosi, con quattro capitoli sui fratelli Calvi. Anche qui, potrebbe essere questa la prima volta che la loro storia viene raccontata, seppure in diversi libri di memorie (ad esempio quello di Cavaciocchi del 1923 o di Patroni del 1924) se ne parla con riferimento all'Adamello (ed il libro di Patroni sui Calvi è pure del 1928). Oggi questi capitoli risultano tra i meno interessanti, in virtù delle numerose pubblicazioni successive.
Il motivo opposto, ovvero l'essere sfuggiti alla frenesia editoriale del secolo seguente, fa guadagnare interesse al resto del libro: dopo un breve ricordo di Cesare Battisti a Bergamo si passa a Carlo Locatelli, alpinista e fratello del più noto Antonio, di cui sono riportate numerose lettere a mo' di diario di guerra, interrotte appena prima dell'ultima sua azione a Cima Presena. Si ritorna poi nel quasi-anonimato: chi ha mai sentito nominare Antonio Palvis, sottotenente della Brigata Toscana (il 78° reggimento era dislocato a Bergamo; c'è ancora la colonna commemorativa davanti alla ora demolita caserma Montelungo)? E così si continua, ancora con nomi del tutto ignoti, poco più che ragazzi nelle fotografie in cui si atteggiano a uomini. Questa parte si chiude con il ricordo personale dell'autore relativo alla propria ferita sul fronte del Piave.
Il libro potrebbe finire qui, ma vi sono aggiunti due capitoli finali non del tutto coerenti: il primo sul Comitato d'azione, ovvero il comitato composto da mutilati ed invalidi di guerra che sviluppò una capillare opera di propaganda dopo Caporetto, di cui si parla anche nel libro di Delcroix; l'ultimo parla di Fiume, naturalmente dal punto di vista della partecipazione bergamasca, dove segnalo solo il nome di Tullia Franzi.
Non mancano nel libro le dolenti note: ovviamente la retorica, gli eroi, i cavalieri antichi, il Calvario; ovviamente la mamma, invocata in ogni dove, a detta dell'autore, da parte dei soldati (Lo portano all'ospedale [...] se ne va poco a poco [...] sognando certo della madre che l'attende), i cui sentimenti si riducono al binomio patria-famiglia, senza alcun'altra connotazione o desiderio. Molto più interessanti delle chiose dell'autore sono gli stralci delle lettere, dove tutta questa enfasi non si trova, e che lasciano solo un po' di sconcerto, tanto lontano è il modo di pensare ed i "valori" che ne trasudano.

Una parola finale è dovuta alla noiosa preazione di Antonio Locatelli, che si dipana tra una noiosa agiografia dei bergamaschi e quelle che oggi sarebbero considerate delle vere e proprie gaffe nei confronti dell'autore, che soffriva di intossicazione da iprite contratta durante la guerra (e che lo porterà alla morte nel 1930). Qui è definito indifeso contro il tallone della sorte, resuscitato non so come, uno a cui ogni anno le forze scemano e che vive in povertà dignitosa. Locatelli lo scrive per enfatizzare il contrasto con il suo ingegno e produzione letteraria, ma proprio la malattia dell'autore rende questi giudizi ancora più inopportuni, specialmente nella prefazione ad un suo libro!