martedì 29 gennaio 2019

Osteria Ai burattini


L'interno del locale.
Il vassoio del pane.
I paccheri con le sarde (agoni).
Lo stufato di pecora con polenta.
La torta di mele e cannella.
Via Madaschi 45
Adrara S. Martino (BG)


Le mie visite alla zona del lago d'Iseo si svolgono perlopiù di giorno e si limitano alle falesie della zona... o forse no. Se la passione per il pesce di lago mi aveva già condotto presso l'ottimo ristorante , oggi è la volta di spostarsi leggermente nell'entroterra, via dalle zone più frequentate, tra le belle colline che fiancheggiano il Sebino. Il ristorante ai burattini è ubicato in un vecchio edificio ristrutturato, dove il rassicurante spessore dei muri vi proteggerà da internet, whatsapp e simili amenità per permettervi di dedicarvi ai piaceri del palato. Due sale arredate in stile moderno (con i soliti deprecabili quadri astratti) con qualche avanzo di decorazioni natalizie. Cucina bergamasca, quindi prevalentemente di terra, con qualche attenta rivisitazione e un'attenzione costante e lodevole all'indicazione della provenienza delle materie prime, quasi tutte della zona (fanno ovvia eccezione il riso - dal pavese - e il manzo piemontese - dal cuneese).
Il cesto del pane - fatto in casa - costituisce la prima piacevole sorpresa, grazie a dei buonissimi grissini e ad una strepitosa focaccia di cui riusciremo anche a strappare un bis. Saltiamo - a malincuore - gli antipasti, limitandoci ad osservare i vassoi di salumi che si indirizzano verso i tavoli vicini, per pescare dalla lista dei primi i paccheri di semola di grano duro con pomodorini, pesto di basilico fatto in casa e sarde essiccate del lago d'Iseo (che in realtà sono agoni, pesci d'acqua dolce simili alle sarde). Piatto molto saporito con l'unico rimpianto dato dall'esiguità (sei) dei paccheri presenti sul piatto...
Per il secondo ci allontaniamo dalla sponda del lago: scelgo uno stufato di pecora gigante bergamasca (una razza autoctona; leggete qui) con polenta di mais rostrato rosso di Rovetta (qualche informazione qui). La carne è decisamente magra e delicata e la polenta saporita, ruvida; da provare. La stessa polenta accompagna uno stracotto di cervo con carne altrettanto morbida e gustosa. Chiudono la cena un'onesta torta di mele e cannella e una buona (relata refero) crostata ai frutti di bosco (o erano lamponi?).
Una nota finale sulla cantina: la lista dei vini è sostituita genialmente da una piccola saletta adibita a cantina, dove i clienti possono scegliersi la bottiglia (con etichetta col prezzo ben evidente). Selezione di bottiglie della zona, tra bergamasca e bresciano, ma spazio anche al resto della penisola. Sempre allergico alla barrique, alla fine si finisce su un Dolcetto d'Alba Lodoli 2017 di Cà del Baio che ha il solo difetto di un tenore alcolico un po' troppo elevato (problema ormai comune a tantissimi vini).

venerdì 11 gennaio 2019

Lambrusco reggiano DOP cuvèe Bollino rosso 2017 Caprari

La mia frequentazione del Lambrusco, ancorché certamente non assidua, deve molto alle bellissime giornate (e serate) passate a Bismantova e dintorni, dapprima sempre e rigorosamente presso il ginepro quando vi regnava Roberto, ora in luoghi un po' più sparpagliati. L'incontro con la realizzazione di Caprari lo devo invece ad un ristorante di Reggio Emilia dove ci fermammo una sera a cena in attesa che si esaurisse una coda infinita nell'autostrada verso Milano. Nome ben impresso nella memoria, bottiglia non più ritrovata dalle mie parti (sì, lo so che esiste il commercio online; grazie...) fino a poco fa.
Bottiglia ed etichetta da... "bollicine", con la dizione "metodo Charmat" (i.e., rifermentazione in autoclave) in evidenza, insieme all'anno (1924) di fondazione della cantina, a Montalto (sulla strada per Bismantova...). Nel bicchiere, un bel rosso rubino con qualche riflesso violaceo e una spuma rosata che svanisce rapidamente.
Avviciniamo il bicchiere: frutta rossa, lamponi, ciliegie in evidenza. All'assaggio, ancora frutta, fragole in particolare, e una curiosa nota finale di banana. Un vino fresco che accompagna alla perfezione la cucina tipica emiliana, ma che sarei ben curioso di assaggiare come abbinamento ad una... pizza!

domenica 6 gennaio 2019

Torta di mele (facile facile)

Fig.1
Fig.2
Fig.3
Se non siete ancora stanchi delle feste natalizie e dei dolci, se volete chiudere questo periodo con una torta di facilissima preparazione, da assaggiare magari con una tazza di tè di Natale, cosa meglio di una classica torta di mele?

Ingredienti:
  • zucchero: 100 g
  • farina: 100 g
  • burro: 100 g + il necessario per lo stampo
  • uova: due
  • mele: due (tre se piccole), tendenzialmente golden o renette
  • limone: uno (solo la scorza grattuggiata)
Preparazione:
  • togliete il burro dal frigo in anticipo in modo che si ammorbidisca;
  • sbucciate le mele e fatele a fettine (eliminando il torsolo);
  • montate il burro ammorbidito con lo zucchero;
  • aggiungete le uova;
  • aggiungete la buccia di limone;
  • se volete, frullate alcune fettine di mela e aggiungetele all'impasto; renderanno la torta più morbida;
  • aggiungete la farina setacciata e lavorate il composto (Fig. 1);
  • imburrate fondo e bordi di una tortiera o usate la carta da forno, o entrambi;
  • versate l'impasto nella tortiera e decoratelo con le fettine di mela (Fig. 2);
  • cuocete in forno a 180°C per 30' e sfornate (Fig. 3).
Fate attenzione alle dimensioni dello stampo: il mio è di 24 cm di diametro e la torta risulta piuttosto bassa; se preferite uno spessore maggiore, usate uno stampo più piccolo (o aumentate le dosi...). Io avrei anche aggiunto un po' di cannella (e invero anche altre spezie), ma mi è stato intimato di limitarmi all'essenziale; voi, sentitevi liberi...

sabato 5 gennaio 2019

Bergamo-Milano Lambrate: ritardi novembre-dicembre 2018 e riassunto annuale (2608/10809)

Distribuzioni cumulative dei ritardi per il treno 2608 (8:02) nei
bimestri novembre-dicembre dal 2015 al 2018.
Lo schifosissimo 2608 del 12/12/18.
Andamento mensile dei ritardi per il treno 2608.
Distribuzioni cumulative dei ritardi per il treno 10809 (17:43) nei
bimestri novembre-dicembre dal 2015 al 2018.
Andamento mensile dei ritardi per il treno 10809.
Distribuzioni cumulative dei ritardi per il treno 2608 (8:02)
negli anni 2015-2018.
Come sopra, ma per il treno 10809 (17:43).
Ore di ritardo annuali per i treni 2608 e 10809.
Per quanto mi riguarda, il 2018 è stato uno dei peggiori anni dell'ultimo mezzo secolo. Dovendo qui limitarmi ai dati dei consueti, vergognosi ritardi di Trenord/Rfi, non si può purtroppo trarre diversa conclusione. Cominciamo a guardare il bimestre conclusivo: per il 2608 il dato più indicativo è che, incredibilmente, è riuscito ad arrivare in orario per ben due giorni in due mesi, portando la puntualità ad uno strabiliante 6% circa (era più del 20% l'anno scorso)! Entro i 5' di ritardo giunge sì e no il 24% dei treni. Il peggioramento drammatico rispetto agli anni scorsi è evidente dal marcato spostamento a destra (ovvero, ritardi maggiori) della curva. Il grafico è pietosamente tagliato a 30' di ritardi ed evita così di mostrare il regalo di pre-S. Lucia delle ferrovie, con ben 71' di ritardo!
I ritardi iniziano già alla partenza, almeno 10' in attesa del 5033 da Lecco quando c'è un treno pronto che potrebbe partire in orario (come faceva prima). Viene da pensare che vi sia del dolo...
Se andiamo a vedere lo "storico", c'è da piangere (ma ci sarebbe ben altro da fare, a partire dai vertici): il finale d'anno è ancora peggiore del già pessimo andazzo dei mesi precedenti; viene da chiedersi fino a quando si possa arrivare, quale sia il limite oltre il quale ci si decida a buttare questa gestione alle ortiche (per non dire di peggio).
Le considerazioni per il 10809 sono solo lievemente migliori: mentre nel 2608 sono tutti, dico tutti i treni ad essere in ritardo, il 10809 ha quasi recuperato una situazione normale, raggiungendo più o meno gli stessi valori dell'anno scorso (ma in peggioramento rispetto agli anni precedenti!) per circa il 60% dei treni, mentre il resto fa tranquillamente 20-30' di ritardo, spesso per cancellazioni del treno. Lo storico mostra un miglioramento nel mese di dicembre; vediamo cosa succederà con l'anno nuovo.

Ed è giunto il momento del riassunto annuale. Come al solito, per meglio evidenziare le sconcezze, i grafici di probabilità sono su scala normale (guardate le frequenze sull'asse verticale). Drammatico collasso di puntualità del 2608, che nell'arco dell'anno arriva al 4% (era il 34% l'anno scorso) e sale ad un miserrimo 35% con 5' di ritardo (era l'82% l'anno scorso). Da denuncia penale per sequestro di persona quanto accade nel 10% peggiore dei casi (ovvero, più di un mese l'anno!), dove i ritardi vanno dai 20' fino ad un'ora e mezza (e questo è il ritardo; per il tempo totale bisogna aggiungere 40')!
Il dato per il 10809 rispecchia un po' quanto detto sopra per l'ultimo bimestre: mentre nel 2608 c'è un peggioramento globale, qui non si verificano enormi variazioni nel 60% dei treni, ma peggiorano sensibilmente "solo" il restante 40% circa. Puntualità pari al 18% (ma era il 45% nel 2016) che sale al 63% entro 5' (era l'80% nel 2016). Anche qui, però, nell'equivalente di un mesetto all'anno si cumulano ritardi che vanno dai 40' fino a più di tre ore!
L'ultima figura riassume le ore di ritardo accumulate in un anno di malfrequentazioni ferroviarie. Se negli anni precedenti c'era stato un lieve miglioramento complessivo, i ritardi sono quasi triplicati nel 2018, arrivando a quasi quattro giorni!

Nota: i dati sono raccolti personalmente o da app Trenord. Per correttezza, bisogna specificare che i ritardi sopportati dai pendolari su questi due treni non sono indicativi dei ritardi complessivi, che sta ad altri raccogliere e rendere pubblici. Idem per i rimpalli di responsabilità tra Trenord, Rfi, e quant'altri. Qui si cita Trenord in quanto è ad essa che i poveri pendolari versano biglietti ed abbonamenti, e ai quali dovrebbe rispondere del servizio.

venerdì 4 gennaio 2019

Lo studente

di Nathaniel Hawthorne
Sellerio, Palermo, 2000

Ritornò mentalmente a quegli anni che, nonostante la sua giovane età, aveva speso in studi solitari - in conversazione con i morti - quando aveva disprezzato la possibilità di mescolarsi al mondo vivente, o di agire spinto da una qualsiasi delle sue ragioni. Si domandò il perché di tutta quella fatica distruttiva; e dov'era poi la felicità di possedere una conoscenza superiore? Aveva salito solo pochi gradini di una scala che portava all'infinito - aveva speso una vita per scoprire che, dopo mille di tali esistenze, non avrebbe saputo nulla in confronto a quello che c'era da sapere [...]; e in quel momento avrebbe preferito il sonno senza sogni dei bruti destinati a morire all'attributo più orgoglioso dell'uomo, l'immortalità.
Ci sono diversi modi di leggere questo libro. Se ci limitiamo alla trama, c'è più o meno da mettersi le mani nei capelli: è la storia di due "studenti" (uno dei quali, Fanshawe, dà il nome al titolo originale) invaghiti della stessa fanciulla (Ellen, le cui qualità sono bellezza, innocenza e... talento gastronomico, non disgiunte da una cospicua eredità futura) che dovranno strappare al "cattivo", il quale ordisce un piano assolutamente ridicolo per rapirla e si comporta da perfetto idiota quando viene scoperto da Fanshawe. L'architettura piuttosto grezza del racconto segue in buona sostanza i canoni di un blando romanzo gotico (la fanciulla, il rapimento, ecc. ecc.; il tutto trasposto nell'ambiente naturale americano), come chiaramente suggerito dal nome del decano del College attorno a cui avviene la vicenda, il dott. Melmoth, che fa sobbalzare sulla sedia chiunque abbia letto Lovecraft se non Maturin. Questa è però riscattata da alcune scene ben riuscite (la taverna, l'incontro di Fanshawe con le donne nella capanna) e dalle bellissime descrizioni di ambienti naturali che tradiscono la visione romantica del sublime e una fascinazione quasi pittorica per cielo, nuvole e luce.
Se una certa imperizia narrativa può essere imputata all'inesperienza (Fanshawe è il primo romanzo di Hawthorne, che lo pubblicò in proprio e poi se ne pentì, facendo il possibile per ritirare le poche copie ancora in commercio), questa opera prima contiene tuttavia diversi spunti interessanti, in primis per i numerosi elementi semi-autobiografici (forse più di quelli che l'autore stesso intendeva, e forse qui sta la chiave del suo rifiuto). Fanshawe è ovviamente la proiezione dell'autore (si veda l'arguto saggio di Tommaso Giartosio che chiude il libro), un giovane con una figura di cui la Natura fa dono soltanto ai suoi favoriti, ma pallido e consunto dal troppo studio, una mente superiore dedita all'inseguimento del sogno di una fama imperitura che, essendo un sogno, è più forte di mille realtà. Dopo aver conosciuto Ellen si ritrova in un dissidio tra vita ed arte, tra la vita nel mondo con lei e la vita fuori dal mondo, con lo studio, la gloria e la fama ma senza di lei. Dopo averla salvata, sceglierà la seconda, lasciando Ellen al rivale Edward che, dal canto suo, non ha mai avuto dubbi riguardo al dissidio di cui sopra! Tutto non si può avere, il dissidio non si può comporre, anche se invero la figura del dott. Melmoth sembra suggerire la possibilità di una sintesi almeno parziale.
Un commento è anche dovuto alle altre figure: dopo il salvataggio, Edward "sente" che Fanshawe ha acquisito un "diritto" su Ellen e si ritira. Lei, dipinta più o meno come una bambola senza volontà (ma è probabilmente sensato affermare che la letteratura americana del periodo è una letteratura "al maschile") approva questa scelta non dichiarata e, nonostante il carattere di Fanshawe non le si addica per una vita insieme, si sente obbligata ad essere "sua", proponendogli di portarlo su sentieri tranquilli dai quali i vostri pensieri solitari ed orgogliosi vi hanno allontanato. La risposta la sappiamo, lo stucchevole giro di cortesie e rifiuti si conclude ed Edward ed Ellen potranno così seguire la loro vita di una felicità non comune, ma senza gloria né fama: che importanza ha che [...] non abbiano lasciato alcuna traccia?

Non posso però chiudere queste righe senza due parole di natura "alpinistica": la povera Ellen è portata dal "cattivone" sotto uno "strapiombo" che strapiombo non è, avendo una parte inferiore accessibile ed una superiore più scoscesa (ed infatti il testo originale dice precipice, che non implica uno "strapiombo"!). Quando il cattivo vede Fanshawe al di sopra, invece di fargli una pernacchia ed andarsene con la fanciulla, cerca di scalare il dirupo per dargliele di santa ragione, cade e ci resta secco. Il buon Fanshawe, nonostante il lungo tempo dedicato allo studio, discende invece la parete sano e salvo (poi bacia la fanciulla svenuta, ma qui è meglio soprassedere...). Cosa vogliamo valutarlo questo "dirupo" del 1828, un buon III+? E non dimentichiamoci di registrare il primo percorso, in discesa ed in solitaria, della parete: la fama di Fanshawe si estenderà almeno alla storia alpinistica!

giovedì 3 gennaio 2019

Il genovese


L'interno del locale.
Tagliolini con ricciola e porcini.
Coniglio alla ligure.
Torta di farina di castagne e carote con
mousse di chinotto.
Via Galata 35
Genova


Visitare il bellissimo centro storico di Genova in questo periodo ha forse una valenza in più, e tanti sono i posti dove rinfrancar lo spirito tra una giornata e l'altra. Questa volta non ci portiamo nella zona ormai tristemente famosa vicino al Polcevera, ma restiamo nei dintorni della stazione Brignole. Una piccola osteria che esiste da poco più di un secolo: su due piani connessi da scala a chiocciola, tavoli piccoli, spazi un poco ristretti, arredo semplice e... tricolore (tovagliolo verde, piatto bianco e tovaglia rossa). Ma i piatti si limitano, fortunatamente, alla tradizione genovese, senza spaziare troppo.
Arriva il cesto del pane rustico fatto in casa, e via. L'attacco è con degli ottimi tagliolini con ricciola e funghi porcini, a far da pendant a delle trofie con farina di castagne e pesto, entrambi molto delicati e gustosi, senza contare il buonissimo pesto.
Rigorosamente liguri (ovviamente!) anche i secondi, un classico coniglio alla ligure e delle polpette genovesi di Cabannina con formaggio (la Cabannina è una razza bovina ligure, probabilmente l'unica). Sarà che il coniglio è per me indissolubilmente legato ai sapori dell'adolescenza, ma ho apprezzato di più il primo, tenero e assai saporito, rispetto alle polpette (che pure hanno un sapore... vero, anche se per me un po' insolito).
Siamo quindi giunti al dessert: si fa largo una torta di farina di castagne e carote con mousse al chinotto in cui la mousse fa per me la vera parte del leone, ed una cheesecake di prescinseua (una cagliata genovese) e pandolce che non ho assaggiato (ma posso riportare un'impressione positiva).
Carta dei vini nteressante e ovviamente puntata sul panorama ligure. Noi scegliamo un Rossese di Dolceacqua di Terre bianche che accompagna egregiamente la cena. E alla fine, non dimenticate un bicchiere di erba luisa!