mercoledì 9 marzo 2016

Bergamo-Milano Lambrate: ritardi gennaio-febbraio 2016 (2608/10809)

Distrib. cumulativa dei ritardi a gennaio-febbraio 2016 e
confronto con il 2015
Valori medio, al 50% (mediano) e al 90% delle distribuzioni per il 2608.
Come sopra, ma per il 10809.
Sembra incredibile, ma forse ci avviciniamo a lenti, lentissimi passi verso una quasi-normalità, almeno per quanto riguarda la puntualità dei due treni che mi devo sorbire tutti i giorni. Se confrontiamo i risultati per il primo bimestre dell'anno con i loro analoghi nel 2015, non si può non rabbrividire al pensiero delle ore buttate vie nell'anno appena finito e sperare che la situazione non si ripeta. Il miglioramento più marcato è certamente nel pomeriggio, dove peggiorare sarebbe stato veramente difficile. La "coda" dei ritardi è più o meno dimezzata (dalla curva gialla alla rossa) e siamo quasi giunti al fatidico limite del 90% entro 5 minuti.
Meno marcato il miglioramento del treno mattutino, che però partiva da una situazione migliore. Anche qui però (dalla curva azzurra alla blu) si nota uno spostamento della distribuzione verso sinistra di un paio di minuti circa, con un aumento del caso pessimo, da confermare o meno nei prossimi mesi.
L'andazzo, per così dire, "storico" delle nefandezze è aggiornato nelle figure seguenti, relative ai due treni. Per ogni mese si riportano i valori al 50% e al 90% delle distribuzioni, insieme alla media: il 2608 pare aver raggiunto più o meno una condizione stazionaria, con un po' di variazioni statistiche nella coda e tra un mese e l'altro.
Più regolare il 10809, che si stabilizza su valori accettabili, anche se peggiori di quelli registrati a dicembre 2015 e probabilmente irripetibili.
Certo, è assurdo dover essere contenti di treni che arrivano anche a 15' di ritardo, ma questa è la situazione da cui partiamo. Se questi trend proseguiranno come auspicabile, sarà ora di cominciare a preoccuparsi seriamente del comportamento delle "code". Poi, naturalmente, ci sono mille altri problemi, ma sono argomenti per altre sedi.

giovedì 3 marzo 2016

Bella e cattiva + Messalina + Sasso in faccia

Sul 1° tiro di Bella e cattiva.
Teo sul 2° tiro.
Sul 3° tiro.
Teo sul 4° tiro.
Teo sul 2° tiro di Miss Messalina.
Sul 3° tiro.
Val di Ledro - Parete del Ponale
Parete SE


Qual è l'unico posto del nord Italia dove si può sperare di arrampicare anche con previsioni meteo pessime? Ovviamente, la valle del Sarca, e lì ci dirigiamo speranzosi. Con una piccola deviazione ci portiamo direttamente sopra il lago, in val di Ledro, dove sono state recentemente attrezzate diverse vie a carattere sportivo, ottime (anche) in caso di tempo incerto. Ma ancora una volta, la Valle non ci tradirà!
Accesso (Bella e cattiva e Messalina): da Riva del Garda si prende la strada per la Val di Ledro, che sale ad imboccare una lunga galleria. Alla sua uscita si nota sulla sinistra la vecchia strada del Ponale, che si deve imboccare (non fate inversione di marcia, ma proseguite e parcheggiate oltre sulla sinistra, tornando indietro a piedi). Si passa sotto una vecchia galleria e si superano due sbarre, lasciando sulla sinistra il sentiero di accesso alla falesia. Un centinaio di metri oltre la vecchia sbarra si prende un sentiero sulla sinistra, in corrispondenza di una vecchia rete paramassi. Si segue il sentiero tenendo la destra, evitando le deviazioni verso le pareti, fino ad una svolta in corrispondenza di un muretto a secco. Subito dopo ancora a destra e, al bivio successivo, a sinistra. Si supera la scritta all'attacco di "Settimo cielo" e si continua fino al punto dove si diramano le due vie (scritte alla base).
Relazione (Bella e cattiva): bella via (e decisamente non cattiva) che sale un bel diedro appoggiato verso destra per poi piegare a superare un paio di muretti. Chiodatura ottima e soste a fix; portare solo rinvii e il necessario per le soste. Grado obbligato 5b.
1° tiro: passo iniziale sbilanciante, poi più facile nel diedro fino al passo finale un po' delicato che porta alla sosta. 20m, 6b (passo), 9 fix. Sosta su due fix.
2° tiro: ancora nel diedro a doppiare uno spigolino per proseguire in traverso fino alla sosta. 20m, 5b, 9 fix. Sosta su due fix con maglia-rapida e chiodo.
3° tiro: salire il diedro di rocce un po' rotte (attenzione!) poi un poco a sinistra ad infilarsi tra due massi (passaggio un po' ricercato) per proseguire su facile placca fino alla sosta. 25m, 5c (passo), 9 fix. Sosta su due fix.
4° tiro: in bel traverso verso destra a risalire poi un breve muretto con uscita su presa (per noi) ripiena di terra bagnata. Si prosegue poi su facile terreno fino alla sosta. 20m, passo di 6a/6a+, 5 fix. Sosta su due fix.
5° tiro: si sale sopra la sosta e per gradoni si raggiunge il sentiero. 20m, 4a, II; 4 fix. Sosta sull'ultimo fix o da attrezzare all'uscita.
Discesa (Bella e cattiva): seguire il sentiero verso sinistra (rispetto alla direzione di salita) perdendo quota ad uno o due bivi, giungendo in breve nei pressi del parcheggio.
Relazione (Messalina): via meno bella della precedente, ma con due tiri simpatici. Anche qui, chiodatura ottima e stesse raccomandazioni della precedente.
1° tiro: salire dritti il muretto, spostarsi a sinistra e proseguire su rocce più appoggiate. 20m, passo di 5c/6a, 8 fix. Sosta su due fix.
2° tiro: su breve placca appoggiata fino sotto al muretto, per spostarsi a sinistra a doppiare uno spigolino e proseguire fino alla sosta. 20m, 5b, 6 fix.
3° tiro: per bella placca fino alla sosta. 15m, 5b, 5 fix.
4° tiro: seguire una stretta placca per portarsi a destra e continuare per rocce più facili sino alla sosta. 25m, 5a, 5 fix. Sosta su albero.
Discesa (Messalina): salire brevemente nel bosco fino ad incontrare il sentiero; indi, come sopra.
Accesso (Sasso in faccia): conviene concatenarla con una delle vie sulla parete precedente, e da qui descrivo l'accesso: usciti da una delle due vie, procedere lungo il sentiero verso sinistra. Ignorare una prima deviazione a destra (si intravede una parete giallastra) e prendere la seconda, che porta in breve ad un'altra parete giallastra dove vi sono diverse vie brevi e monotiri (cartello con nomi).
Relazione (Sasso in faccia): via nello stile delle precedenti, con primi passi un po' unti ma su ottime prese. Breve, ma decisamente consigliata.
1° tiro: in verticale su ottime prese, poi ci si sposta a sinistra con un passo delicato e si prosegue per rocce un po' più facili fino alla sosta. 30m, 6a, 11 fix. Sosta su due fix con catena e moschettone di calata.
2° tiro: si sale brevemente puntando poi a sinistra (lievemente a destra sale una variante che non abbiamo provato) e risalgono delle placche con buone prese. Un passo finale più impegnativo porta alla sosta. 30m, 6a+ (un passo), 10 fix.
Discesa (Sasso in faccia): è possibile scendere in doppia, ma conviene usare il sentiero posto pochi metri sopra la sosta se non si ripetono altre vie sulla stessa parete. Lo si segue verso sinistra per poi abbassarsi e ritrovarsi infine sul sentiero delle discese precedenti.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

domenica 7 febbraio 2016

Eugenio Vinante e le sue vie in Val di Scalve

L'album fotografico di Eugenio Vinante.
La lista di salite compilata da
Eugenio Vinante.
La relazione della prima salita di
Eugenio Vinante.
Eugenio Vinante (a destra) con
Bruno Cacciamognaga.
Eugenio Vinante in ospedale a Vicenza.
Questa storia inizia con una email; o meglio, con un commento su un social network. Il commento è di Gianpaolo Vinante, che mi informa di essere in possesso di documenti relativi al suo parente, l'alpinista Eugenio Vinante, su cui da tempo cercavo invano notizie. Eugenio Vinante si può annoverare a buon diritto come uno degli alpinisti italiani di punta degli anni '30, ma è stato poi pressoché dimenticato e solo recentemente gli si sta restituendo il posto che merita nella storia dell'alpinismo. E così, un pomeriggio, vicino a Padova, prima di abbandonarci ad una cena memorabile, io e Matteo restiamo increduli a contemplare un bellissimo album fotografico dove le immagini di famiglia e della vita militare si mischiano a quelle di montagne più o meno riconoscibili, dalle Dolomiti alle Alpi centrali; montagne vissute d'estate e d'inverno, arrampicando e sciando, fino alle ultime fotografie all'ospedale di Vicenza, dove nulla nel contegno di Eugenio lascia intuire l'impari lotta contro la cancrena. E documenti, relazioni, una lista di salite, tutto conservato perfettamente, tutto che rivive davanti a noi grazie alla disponibilità, cortesia e affabilità di Gianpaolo e della sua famiglia, a cui è dovuto un sentitissimo ringraziamento. Tutte le fotografie qui riportate appartengono al suo archivio e sono riprodotte previa autorizzazione. Importante: se desiderate riprodurre le fotografie, mandatemi una richiesta e vi farò sapere il prima possibile, soprattutto se si tratta di opere a scopo di lucro!

Cenni biografici
Eugenio Vinante nasce il 17 luglio 1908 a Vicenza, in contrada Santa Lucia, da Giuseppe Vinante, falegname, e Santa Tomba. Non ci sono molte informazioni sull'inizio della sua carriera alpinistica, ma la prima "escursione alpinistica" riportata nella lista da lui stesso compilata è del 1921, mentre la prima salita da capocordata risale al 1925. Del 1927 la prima via nuova alla Guglia degli operai nel gruppo del Pasubio (vedi relazione tratta dalla RM del CAI, p. 248, 1934). Le montagne vicentine sono il teatro delle salite di Vinante, istruttore presso il CAI locale, fino all'ascensione al Sigaro Dones del 15 maggio 1930, che sposta il baricentro della sua frequentazione alle montagne lecchesi e bergamasche; è pertanto lecito supporre che il suo trasferimento a Milano, forse per lavoro, sia avvenuto in quell'anno o nel precedente. Nella città meneghina lavora sempre come falegname, dapprima da dipendente e successivamente in proprio, e si sposa. Ma, come ricorda Gianpaolo, "mi diceva il nonno che, se il tempo era bello, erano più le volte che Eugenio chiudeva il negozio per andare in montagna che quelle che lavorava...". Abita in viale Premuda 10 e aderisce al Gruppo Escursionisti Vittoria, dal nome del quartiere milanese di residenza, con sede in via Morosini.
Nei cinque anni successivi, Vinante compie le sue imprese più note sulle montagne lecchesi, con le vie sul Sasso di Sengg e dei Carbonari e quella sullo Zuccone Campelli. Tuttavia, la salita più notevole è certamente la prima invernale insieme a Bruno Cacciamognaga alla parete Fasana del Pizzo della Pieve, dal 24 al 27 gennaio 1935, dopo due tentativi precedenti. Il diario dell'ascensione, redatto successivamente dallo stesso Vinante, racconta delle difficoltà della salita e del principio di congelamento ai piedi fino all'arrivo in vetta:
"La neve cadeva incessante, fittissima, ed il vento soffiava con tanta violenza che scarsamente ci permetteva di rimanere in piedi. La gioia e la soddisfazione regnavano visibilmente nei nostri occhi pienamente soddisfatti della conquista e desiderosi di altre prossime e più dure scalate".
Purtroppo non sarà così: a seguito del congelamento agli arti inferiori (contratto per la generosità che lo spinse a dare al compagno di cordata il paio di calze di ricambio) gli saranno amputate le dita dei piedi, con l'eccezione di un alluce, e Vinante sarà curato all'ospedale di Lecco e Milano prima e Vicenza poi. Nonostante le cure, le condizioni peggiorano e tre anni dopo, il 22 gennaio 1938, muore a Vicenza non ancora trentenne. La salita del '35 suscita scalpore ed è riportata dal Corriere della Sera, ma - incredibilmente - non viene menzionata dagli organi più o meno "ufficiali" del CAI, come la Rivista Mensile e Lo Scarpone, ed è presto dimenticata. Forse Vinante non viene creduto, visto che in occasione del necrologio si scriverà assai succintamente (RM vol. LVII del 1938, n. 5, alla sezione Infortuni alpinistici) di "tentativo" alla parete.
Il diario dell'ascensione è stato di recente pubblicato su Alpinismo pionieristico a Lecco e in Valsassina di Buzzoni, Camozzini e Meles (ed. Bellavite, 2015), e a lì rimando per una lettura complessiva. Quello che invece mi interessa raccontare qui è un altro aspetto dell'attività alpinistica di Vinante, anche questo ingiustamente dimenticato, ovvero le sue vie in Val di Scalve, le prime aperte da capocordata, che allargano lo spettro della sua frequentazione alle montagne bergamasche.

Due fotografia della Presolana.
La corna delle Pale.
Le relazioni delle salite al Corno delle Pale e
alla Cima di Moren.
Il tracciato della via al Corno delle Pale.
Eugenio Vinante in arrampicata.
Le vie del 1933 alla Corna delle Pale e a Cima Moren
Eugenio Vinante ben conosceva le montagne bergamasche, come testimoniato dalle fotografie della Presolana e dall'ascensione lì compiuta il 31 aprile 1933, anche se non risulta che si sia mai cimentato da par suo con la "Regina delle Orobie". Invece, la sua attenzione si sposta poco più a est, in Val di Scalve, e proprio lì inizia la sua serie di "prime". In Valle, le salite "classiche" (tralasciando le prime facili ascensioni) iniziano con Vitale Bramani (parete NO del Cimone della Bagozza con Gasparotto e Camplani nel 1930, parete NNE con Forgiarini e Alessio nel 1931, parete NE della Corna delle Pale con Fasana, Camplani e Sala nel 1930). Vinante vi giunge nella settimana di agosto del 1933, probabilmente sabato 12 o domenica 13, e nelle giornate del 14 e 16 apre due vie nuove con Luigi Puttin (il 15 sale al pizzo Camino). Anche queste due vie sono dimenticate e non compaiono, ad esempio, nella guida di Saglio delle Prealpi comasche varesine bergamasche: Puttin infatti scrive le relazioni, ma non le manda né al CAI nazionale né alle Sezioni di riferimento (Bergamo o Milano). Le invia invece al periodico "Roccia", un effimero concorrente de Lo Scarpone, che le pubblica il 2 settembre 1933 sotto il titolo "Giovani forze all'alpinismo sportivo". Il titolo è ben giustificato: nella lettera di accompagnamento, i due alpinisti prendono apertamente posizione nella disputa tra l'alpinismo "spirituale" e quello "sportivo", schierandosi decisamente a favore di quest'ultimo: sono quindi attenti alle dinamiche che percorrevano il mondo alpinistico dell'epoca e ai suoi sviluppi. Ecco le relazioni:


PRIMA ASCENSIONE PARETE NORD DEL CORNO DELLE PALE, COMPIUTA IL 14 AGOSTO 1933 DA VINANTE EUGENIO E PUTIN [sic] LUIGI

Con l'intenzione di tentare la parete Nord del Corno delle Pale, e possibilmente qualche altra, siamo andati ad accantonarci alle baite alte del Negrino, dove la vista spaziava sulle ardue Pareti del gruppo di cima Camino. Dalle relazioni sulle ascensioni al Corno delle Pale, fatte sia per la Parete Sud, e per la Parete Nord-Ovest, risultava che la Parete Nord era inviolata. Anche le informazioni avute dagli abitanti dei luoghi confermavano la sua verginità.
L'impressione che si fa osservandola, è che sia impossibile salire per quella verticale muraglia. Il giorno 13 salimmo per allenamento al Corno di San Fermo, per la Parete Nord-Ovest, con tre ore di divertente arrampicata. Tale salita ci risulta una variante alla via normale.
Visto che si era andati benissimo, decidemmo di tentare l'indomani l'ardua parete. Appena spuntata l'alba ci mettemmo in cammino, dapprima sugli ultimi pascoli, poi su per i ghiaioni che scendono dalla parete fino ad uno spuntone staccato di una ventina di metri, ottimo posto di osservazione alla parete, e per una piccola colazione che dovrà essere anche l'ultima fino a sera, dopo esserci cambiate le scarpe e legati in corda, andammo all'attacco che si trova alla base di un costolone, che scende un po' obliquo dalla vetta e che serve di direzione. Costruito l'ometto si attacca subito per rocce difficili e anche rotte. Di questo mi fa avvertito l'amico mio Vinante che fa da capo-corda. Si sale per rocce malsicure e con passaggi difficilissimi per una cinquantina di metri, fino ad una specie di terrazzino inclinato, che sarà l'ultimo posto dove si potrà tirare il fiato tranquillamente (ometto). Di lì, con una traversata ci si porta in piena parete con pochi appigli dove ci si alza per altri 50 metri fin sotto ad uno strapiombo. Con una difficile manovra di corda, ci si porta a sinistra, poi a destra, fino a salire sopra lo strapiombo. Una fessura obliqua a sinistra permette di salire fino ad un lastrone alto un dieci metri: occorsero ben quattro chiodi per superarlo, dopo di che, con una traversata a sinistra si monta sullo spigolo del costolone, che si segue fin sotto ad un camino di un 60 metri. Per uscire dal camino chiuso da uno strapiombo, bisogna uscire a sinistra in una paretina che solo a metà è percorsa trasversalmente da una fessura, permentente [sic] di impiantare un chiodo che deve fare da appiglio, indi la mano destra, spostandosi orizzontalmente più che sia possibile, riesce a trovare una fessura che permette di passare su rocce più sicure sebbene a picco, fino ad una specie di caverna dalla quale si esce traversando a destra. Da questo punto fino alla cresta, una sessantina di metri, la parete si addolcisce un po', permettendo di salire più speditamente. Inutile dire il mio entusiasmo per la dura battaglia felicemente superata. In totale abbiamo impiegato 9 ore per superare i 400 metri circa della parete, e impiegando 20 chiodi, di cui due lasciati. Calcoliamo la salita intorno al 5° grado.

PRIMA ASCENSIONE PARETE NORD-OVEST DI CIMA ERGHEM [in realtà Cima di Moren], COMPIUTA IL 16 AGOSTO 1933 DA VINANTE EUGENIO E PUTIN [sic] LUIGI

La parete nord-ovest di cima Erghem si stacca nettamente dal groviglio di creste, spuntoni, canali, per alzarsi verticalmente per un 150 metri, che con gli altri 250 sottostanti attrassero subito la nostra attenzione. Decidemmo di farla il mercoledì 16.
Lasciato il sentiero che sale al pizzo Camino, a metà ghiaione, si attraversa questo fino a montare sull'altro che scende dalle rocce di cima Erghem; lo salimmo fino all'imbocco di un camino obliquo a destra, e si decide di attaccarlo, dato che la direzione di esso pareva finire proprio sotto la sopraddetta parete. Con una bella e non difficile arrampicata percorremmo i primi 250 metri fino sotto alla parete. Attaccammo subito, ma si vide ben presto che la lotta doveva essere dura. Salimmo direttamente fino ad uno strapiombo che ci costrinse ad una traversata per poter montare sopra ad una costola che permetteva di salire, sebbene con difficoltà. Ma se fino allora si potè salire, ora pareva che la parete si chiudesse senza nessuna via apparente di uscita. Bisognava decidere subito, se tornare indietro o proseguire, chè in quella ridicola e pericolosa posizione in cui si era non si poteva stare. Con una abilità straordinaria, Vinante riusciva a traversare, fino a che un piccolo appiglio permise di piantare un chiodo. Adesso si trattava di salire verticalmente per una paretina di 10 metri, avarissima di appigli, fino ad una crestina. Quando sentii Vinante in cima, tirai un sospirone: l'impossibile era fatto. Ora toccava a me, che avevo l'ordine di levare i chiodi (figurarsi che delizia!). Ad ogni modo mi trovai anch'io in cresta con l'amico.
Le ultime due corde, sebbene difficili, furono fatte con più tranquillità, e a mezzogiorno in punto eravamo in vetta, impiegando ore 4 a compiere l'intera salita. La prima parte, cioè un lunghissimo caminetto, si sale abbastanza facilmente con difficoltà sul terzo grado; nella seconda parte, cioè sulla vera parete, le difficoltà sono fortissime. Abbiamo lasciato tre chiodi.

La relazione apparsa su Lo Scarpone
relativa alla salita alla cima Baione.
La via del 1934 alla cima di Baione
Nel settembre del 1934 Eugenio Vinante torna in Val di Scalve, stavolta con Bruno Cacciamognaga, diciannovenne, e Mario Enriconi, per salire la parete NO di cima Baione. L'impresa non è semplice ed impiega la cordata per due giorni, con uso maggiore di chiodi rispetto a tutte le salite precedenti. Classificata di V (ma "con passaggi di VI" secondo alcune relazioni), testimonia del livello raggiunto da Vinante, ed è probabilmente la via su roccia più impegnativa insieme a quella del mese successivo sullo Zuccone Campelli. Fortunatamente, stavolta la relazione viene inviata a Lo Scarpone (anche perché Roccia non esiste più) che la pubblica a gennaio 1935 (anno V, n. 1), dopo aver dato la notizia della salita sul n. 18 del 1934. Ecco la relazione (poi ripresa nella guida di Saglio a p. 311):

Alla Cima Baione
Abbiamo dato, a suo tempo, notizia di una nuova via compiuta nei giorni 8 e 9 settembre u. s. da Eugenio Vinante (C.A.I. Vicenza), Cacciamugnaga [sic] Bruno (C.A.I. Milano) e Mario Enriconi, tutti del G. E. Vittoria alla Cima Baione. Ne diamo ora la relazione tecnica:
Da Schilpario si sale verso il passo di Vivione; giunti alla prima malga dopo le miniere, per sentieri che s'inoltrano nella pineta, si sale verso la parete della Cima Baione. Dopo un'ora si arriva al ghiaione e attraversandolo all'alto rasentando le rocce si raggiunge l'attacco situato al centro del massiccio donde si erge una parete. La si attacca proprio nel mezzo salendo per 15 mt. e si arriva, per facile roccie [sic] e piegando leggermente a sinistra ad un pianerottolo. Si supera 25 mt. di parete con una leggera deviazione a destra s'imbocca un caminetto a dietro, di 15 mt. circa, che al termine, con una arditissima attraversata a a sinistra (chiodo) permetterà di riprendere la salita per la parete. Dopo 40 mt. si arriva sotto ad uno strapiombo (chiodo). Lo si supera e orizzontalmente a sinistra ci si porta all'inizio di un canalone.
Questo lo si lascia, e si sale per 20 mt. a sinistra fino ad imboccare un caminetto di 30 mt. All'uscita di esso si dovrà superare una parete di 40 mt. che data la sua friabilità ha ostacolato la salita presentando difficoltà massime.
Qui si osserva che in detta parete vi sono dei grossi spuntoni e massi enormi che minacciano di cadere. In più alla fine della parete vi è uno strapiombo che è difficile da superare.
Obliquando leggermente a destra per 30 mt. si raggiunge una placca nera, strapiombante (chiodo) che verticalmente si supera per una fessurina. Orizzontalmente si gira a destra per 10 mt. (chiodo) salendo per 35 mt. per roccie [sic] miste (Bivacco). Il giorno dopo superammo la sovrastante paretina e per altri 80 mt. si sale per una specie di caminetto raggiungendo un'anticima formante un pizzo (ometto). Qui la fatica ha termine. Percorrendo la cresta poi si raggiunge la vetta (libretto in memoria di Guido Minardi caduto in quella zona il 16 agosto scorso).
La difficoltà di detta ascensione, a seconda dei salitori, è di 5.o grado, altezza 350 mt. circa; furono impiegate 22 ore effettive ed adoperati 40 chiodi circa, dei quali 4 lasciati in parete.

L'articolo apparso su Lo Scarpone
per la morte di Luigi Puttin.
La morte di Luigi Puttin in Presolana
Luigi Puttin, anche lui vicentino e residente a Milano, è tra i compagni stabili di cordata di Vinante: in val di Scalve, sul Sasso dei Carbonari e al Sasso di Sengg. Domenica 7 ottobre 1934 muore in Presolana durante una calata a corda doppia. Questo il resoconto pubblicato su Lo Scarpone, anno IV, n. 20 del 16 ottobre 1934.

Tragedia sulla Presolana - Luigi Puttin
Una mortale sciagura avvenuta sul massiccio della Presolana (che, purtroppo, ha già mietuto varie vittime sulle sue rocciose pareti) ci ha privati di un amico, di un giovane appena ventiquattrenne, nel fiore della vita e dell'attività: Luigi Puttin.
La disgrazia è avvenuta domenica scorsa, 7 corrente, verso le ore 17. Il Puttin, con un compagno ed una signorina, aveva in tale giornata raggiunta felicemente la vetta e quindi i tre si accingevano alla discesa per la quale, data la ripidità della parete che intendevano superare, si richiedeva in alcuni punti l'uso della corda doppia. La disgrazia avvenne appunto durante una di queste calate nel canalone Salvadori. Siccome dei tre il Puttin era il più abile, scendeva per ultimo, dopo aver assicurato dall'alto, con la corda, i compagni. A quanto risulta ad un certo punto la corda, alla quale il Puttin era appeso, si sarebbe staccata dallo spuntone a cui era assicurata; il giovane quindi precipitò nel vuoto per circa 10 [?] metri, fino ad un pianerottolo sottostante rimanendo ucciso sul colpo.
I due compagni superstiti, in preda alla più tragica angoscia, dopo aver constatato che lo sventurato non dava segni di vita, discesero a Castione per dare l'allarme. Due guide locali partirono subito pel recupero della salma, riuscendo a rintracciarla malgrado l'oscurità ed effettuando il pietoso trasporto a Castione, ove il misero corpo venne fatto segno a commossi omaggi da parte di quella popolazione.
Anche negli ambienti alpinistici milanesi e lecchesi dove il Puttin era conosciuto (egli apparteneva infatti al Gruppo Escursionisti Vittoria di Milano ed alla Sezione del C.A.I. di Lecco) la sciagura ha destato unanime rimpianto, data anche la giovane età della vittima.
Il Puttin era animato da una passione per la montagna quale raramente è dato vedere. Di modeste condizioni trovava purtuttavia modo di andare sulle sue montagne con tenacia e volontà indomabili. Egli era particolarmente affezionato al nostro giornale, che aveva seguito fin dai primi tempi di vita. Ricordiamo le sue lettere infiammate dall'amore per i monti adorati che egli ci inviava da Bolzano, allorché prestava servizio militare, dolendosi soltanto di non poter effettuare nessuna ascensione e di doversi accontentare dell'ammirazione da lontano... Ripresa la vita civile, ritornò con entusiasmo e tenacia alla sua attività preferita, riuscendo a farsi notare negli ultimi tempi per le sue imprese.
I funerali sono seguiti il 10 scorso in Prato (Clusone), ove per volontà dei famigliari la salma è stata inumata. Commovente e numerosa è stata la partecipazione ad essi di tutta la popolazione, e dei camerati ed amici del povero Puttin, accorsi da Milano e da Lecco. Il nostro giornale - che aveva fatto deporre una corona d'alloro sul feretro - era rappresentato dal dott. Silvio Saglio.
Agli angosciati famigliari le nostre più sentite, fraterne condoglianze.

Il necrologio de
Lo Scarpone.
Il necrologio di Eugenio Vinante
Mentre la Rivista Mensile dedica alla morte di Vinante solo poche righe nel numero di marzo 1938, Lo Scarpone del primo marzo 1938 pubblica un necrologio firmato da Enrico Coppi in cui spicca una bella testimonianza di chi doveva conoscerlo bene. Ecco la trascrizione:

Il 22 gennaio moriva all'ospedale di Vicenza Eugenio Vinante, di appena 29 anni, noto arrampicatore, che il 27 gennaio 1935 tentò, insieme con Bruno Cacciamugnaga del Gruppo Escursionisti Vittoria di Milano, la scalata della parete Fasana del Pizzo della Pieve (Grigne). Dopo quattro giorni di lotta tremenda contro il ghiaccio e la tormenta, i due alpinisti erano stati tratti in salvo da squadre di soccorso di Lecco. Purtroppo un principio di congelamento aveva colto agli arti inferiori il Vinante che dovette anche subire l'amputazione di un piede. Una cancrena progressiva lo ha straziato per tre lunghi anni stroncando alla fine la sua giovane esistenza.
Chi si avventura tra le gole dei monti nei pressi della parete di Pizzo della Pieve sentirà ripetersi come un'eco il nome di Eugenio Vinante. Il suo spirito si aggira tra quelle impervie rocce e le gelide nevi che furono a lui familiari e purtroppo fatali.
Chi ebbe la fortuna di conoscere Eugenio Vinante conserva di lui il ricordo più bello e incancellabile.
Vera tempra di alpinista, venne dalla sua Vicenza nella nostra città per lavorare in legno. Non gli rimanevano che le ore libere da dedicare alle sue montagne e in compagnia di pochi amici; spesse volte anche solo; usando i mezzi che le ristrette condizioni finanziarie gli permettevano, si portava su su fino alle cime più ardue dove soltanto la sua passione aveva sfogo.
Il destino però non fu con lui generoso sebbene il suo cuore d'oro meritasse altra sorte. Alludo alla sua ultima impresa che gli costò la vita dopo tre anni di martirio e di pene rese da un tremendo male inarginabile.
Ma egli tutto sopportò serenamente mentre nei suoi occhi si rispecchiava il bel cielo azzurro ed il bianco candido delle nevi delle sue montagne.
La sua ultima ascensione, compiuta con l'allora diciannovenne Bruno Cacciamugnaga, fu la parete del Pizzo della Pieve nelle Grigne. Questa parete già aveva fatto parlare di sé alcuni anni prima quando nel tentativo di prima scalata invernale da parte di Cattaneo e Veronelli, i due animosi avevano trovato la morte per una disgrazia in prossimità della vetta. Da allora non se ne parlò più né alcun altro ritentò l'impresa.
Fu il Vinante che, dopo alcuni tentativi logistici, diede l'attacco decisivo che lo portò alla vetta, conducendo così a termine un'impresa che raggiunse fasi veramente drammatiche e che malgrado alcune polemiche incresciose rimarrà memorabile.
Come per tutti coloro che fanno della propria opera atto di fede, i giovani lo seguivano, si sentivano trascinati dal suo amore per la montagna, come i discepoli dal maestro. Egli ebbe del maestro il disinteresse dell'opera compiuta, disinteresse che sapeva arrivare al sacrificio. Ricordiamo come - nella tragica seconda notte passata sul ghiaccio - egli, capocordata, insistette perché il compagno diciannovenne indossasse, a riparo dal gelo, le sue uniche calze di lana per ricambio, particolare non indegno di essere ricordato, perché fu quell'episodio che segnò l'inizio del suo male tremendo, il congelamento degli arti inferiori. Ma ciò non importava; egli era il capo, egli doveva soffrire.
Povero Vinante! Tu ora riposi in pace nella tua terra di Vicenza, ma le pareti del Baffelan e delle Grigne – su cui hai inciso episodi indimenticabili – si animano ancora del tuo ricordo. Tu vivi tra noi, cavaliere e martire della montagna per essa vissuto e morto, fulgido esempio di quella gioventù che il fascismo ha creato.
Il sacrificio – soprattutto se accresciuto e alimentato dalla sofferenza – non è mai vano: noi oggi abbruniamo gli spiriti per riprendere domani, a ciglio asciutto, il cammino verso l'alto, che tu hai segnato.


Alla fine di questa storia, resta un grande rimpianto per la sorte toccata ad Eugenio Vinante, che sarebbe potuto diventare uno dei maggiori alpinisti italiani; ne aveva le capacità e la determinazione. Lo vedo costretto a casa o in ospedale, dove raccoglie fotografie e si fa prestare una macchina da scrivere dal fratello Lauro (che aveva un laboratorio di riparazione) per fissare il diario delle sue salite, quasi sapesse che sarebbero state dimenticate, che ci sarebbero stati dei torti a cui rimediare. Eppure nelle fotografie sorride, non c'è traccia di rimpianti, di recriminazioni.
Come in parete, bisogna andare avanti.

mercoledì 20 gennaio 2016

Aglianico del Vulture DOC Martino 2003 Armando Martino

Dopo le mie "precedenti puntate" a tema Aglianico, ovvero quelle su Paternoster e D'Angelo (ma anche Taurasi di Perillo), mi ero ripromesso di scrivere del Taurasi Radici di Mastroberardino (cosa che poi ho fatto quattro anni dopo qui), ma ancora una volta ho deciso altrimenti: c'è ancora qualcuno che non conosce o non apprezza quest'ottimo vino?
E così, eccomi invece ad un'altra cantina del Vulture, la prima che ho conosciuto un bel po' di anni fa, ma di cui ho sempre avuto problemi a procurarmi bottiglie: Armando Martino. Parliamo qui del loro Aglianico "base", 18 mesi in acciaio e affinamento in bottiglia, da me bevuto, come al solito, dopo più che discreto invecchiamento.
Al bicchiere sfoggia un bel colore granato, con profumi di frutti rossi purtroppo non molto evidenti. Si riscatta in bocca, dove nascono note speziate, aromi complessi e buona acidità, a testimonianza del buon potenziale di invecchiamento di questo vino. Non molto lunga la persistenza, forse per effetto degli anni.
Oltre la qualità, c'è un altro fattore che rende questo vino decisamente interessante ed invoglia a riempirsene la cantina, ed è il suo prezzo assai contenuto: politica aziendale lodevolissima che spero continui a lungo. Sono invece assai meno entusiasta della politica aziendale della linea "premium", dove l'aglianico passa più di un anno in barrique: in fondo, non si può essere soddisfatti sempre, no?

mercoledì 13 gennaio 2016

Malizia

Sul 1° tiro.
Sul 3° tiro.
Il mio omonimo sul 5° tiro.
Teo sul 5° tiro.
Alessandro sul 6° tiro.
Tracciato della via.
Bastionata del Resegone
Parete S


Questa salita risale ormai ad un paio di mesi fa, ma qualche problema di connettività che si protrae ormai da lungo tempo ha ridotto sostanzialmente le mie possibilità di aggiornare questo sito. Nell'attesa di poter tornare a fornire ampio materiale di dileggio agl'incauti visitatori, ecco la relazione di una via molto bella e raccomandabile, in una parete che vale decisamente la pena visitare.
Accesso: sono possibili due itinerari, che partono dal piazzale della funivia dei piani d'Erna o da Erve. Questa volta abbiamo optato per il secondo, che regala una salita decisamente più bella ed appagante del primo. Si raggiunge quindi il paesino di Erve (lungo la carrozzabile si ammira lo Spedone e si apprezza l'impresa di Ruchin) e si prosegue fino al termine della strada, dove c'è una piccola rotonda e si può parcheggiare nei dintorni. Si attraversa il fiume e si segue il sentiero n. 11, superando un agriturismo ed una baita (fontana). Poco dopo c'è un bivio: noi abbiamo preso il sentiero di sinistra (Prà di Ratt), più ripido ma più rapido (scusate il calembour), percorrendo poi l'altro in discesa. Il sentiero sale velocemente (decisamente sconsigliato in caso di pioggia) fino ad una cresta, per proseguire più dolcemente con bella vista e ricongiungersi con l'altro ramo. Da qui in breve alla Capanna alpinisti monzesi, posta sotto la parete di interesse.
Dalla Capanna si seguono le indicazioni per il Passo del Fo', da dove si prende una traccia verso destra che porta in poco tempo alla parete. Qui si osserva un discreto affollamento sulla Bonatti e su Nuovi orizzonti, che sono le vie più abbordabili. Più a sinistra, dove c'è una specie di traccia che sale verso un pulpitino, si notano dei fix che risalgono un vago diedro, con alla base un fix e un vecchio cordone. In tutto poco meno di un paio d'ore.
Relazione: via molto bella che risale la parte sinistra della bastionata, vicino al diedro della via Impero. Percorso sempre ovvio con protezioni ottime a fix e chiodi (ma non siamo comunque in falesia!); inutili friend e protezioni veloci. Soste attrezzate con due fix, catena e anello di calata. Grado obbligato: 6a con tiri abbastanza continui. Via consigliata d'inverno o nelle mezze stagioni; evitare l'estate se non volete cuocere a fuoco lento.
1° tiro: si salgono i primi metri di rocce facili, ma un po' rotte e sprotette, e si prosegue nel diedro vero e proprio fino ad uscire sulla sinistra alla sosta. 30m, 5c; sei chiodi, tre fix, un cordone e un fix alla base.
2° tiro: spostarsi a sinistra della sosta fino ad una spaccatura e risalirla raggiungendo la cengia. Da qui ancora a sinistra fino alla sosta. 20m, V+, I; tre chiodi. È anche possibile salire dritti sopra la sosta fino alla cengia (difficoltà minori, ma roccia dall'aspetto un po' precario; fare attenzione se scegliete questa opzione).
3° tiro: salire il muro sopra la sosta, dapprima verso sinistra e poi riportandosi a destra; un saltino finale conduce alla sosta. 30m, 6a; undici fix, quattro chiodi.
4° tiro: seguire la cengia verso destra fino alla sosta. 10m, un passo di III-, un chiodo.
5° tiro: si sale la bella placca di movimento, forse un po' meno fisica del 3° tiro. 30m, 6a; sette fix, tre chiodi.
6° tiro: si finisce in bellezza: dritti sopra la sosta, poi a destra (attenzione ad un pilastrino appoggiato dall'aria dubbia) e ancora dritti fino alla scomoda sosta finale. 25m, 6b+ (un paio di passi); nove fix.
Discesa: in doppia sulla via. Se avete mezze corde da 60m bastano due calate; la prima fino alla cengia e la seconda fino a terra.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

venerdì 8 gennaio 2016

Bergamo-Milano Lambrate: ritardi novembre-dicembre 2015 e riassunto annuale (2608/10809)

Ritardi all'arrivo nel bimestre novembre-dicembre 2015 per i treni
2608 e 10809 nel tragitto Bergamo-Milano Lambrate.
Ritardi all'arrivo nell'intero anno 2015 per i treni
2608 e 10809 nel tragitto Bergamo-Milano Lambrate.
Ritardo medio e al 90% di prob. cumulativa per il treno 2608.
Ritardo medio e al 90% di prob. cumulativa per il treno 10809.
Ritardi 2015 in funzione del giorno della settimana per il treno 2608.
Come sopra, ma per il treno 10809.
Correlazione tra ritardo alla partenza e all'arrivo per il treno 2608.
Come sopra, ma per il treno 10809.
Siamo alla fine dell'anno di raccolta dati sui ritardi ed è tempo di guardare i risultati complessivi. Ma prima, volgiamo un'occhiata all'ultimo bimestre dell'anno e ai ritardi relativi (prima figura), sgranando gli occhi davanti ad un risultato piuttosto sorprendente: il mai-abbastanza-vituperato treno-cenerentola del rientro pomeridiano sfoggia la prestazione migliore dell'anno, limitando i danni a 5' di ritardo nell'86% dei casi e facendo meglio del treno mattutino, che peraltro riesce a raccogliere il suo peggiore ritardo dell'anno, pari a ben 35'. Ma poiché una rondine non fa primavera, i risultati complessivi subiti dai disgraziati pendolari in tutto il 2015 (seconda figura) sono assai meno incoraggianti: i ritardi alla soglia del 90% dei casi sono rispettivamente di 9 e 17 minuti circa e una riduzione dei ritardi di un fattore due o tre è necessaria per arrivare alla (peraltro autoproclamata) soglia di decenza dei 5': auguri!
L'aria che tira è osservabile nelle due figure successive, con i ritardi mensili, al solito espressi tramite il valore medio e quello che raccoglie il 90% dei casi, escludendo il 10% più sfigato. Il miglioramento rispetto ad inizio anno è innegabile (ma da confermare nel 2016), ma è vero che il processo si è arrestato dopo l'estate per il 2608, quando i risultati non sono ancora sufficienti (la linea verde deve stare sotto i 5'). Più regolare (escludendo i vergognosi due mesi estivi che ancora agitano i miei incubi) il 10809, con un lento ma costante miglioramento fino ad un ottimo dicembre 2015, il cui dato è però limitato dalle minori giornate lavorative rispetto agli altri mesi. Colto da dubbio maligno, ho poi raccolto i dati in funzione del giorno della settimana. Confesso che mi aspettavo un'esplosione di ritardo nel venerdì, giorno in cui si concentrano pure buona parte degli scioperi, ma non pare che sia così. In effetti il peggior risultato si nota al mercoledì; sarà l'effetto di essere a metà strada verso il weekend!
Per finire, trovate i grafici di correlazione tra ritardo alla partenza e all'arrivo già presentati ad aprile, aggiornati a tutto il 2015 (la linea è l'andamento a ritardo costante): praticamente impossibile riuscire a recuperare il ritardo la mattina, mentre qualcosa di meglio si fa nel viaggio di rientro, almeno per ritardi di pochi minuti.
Non ci resta che incrociare le dita per il 2016, anche se con ben poche speranze!

Nota: a seguito dei nuovi orari, il 10809 parte alle 17:48 e non 17:49, mentre l'orario teorico di arrivo a Bergamo è rimasto alle 18:28. Ho tenuto conto di ciò nei calcoli del ritardo alla partenza (peraltro non mostrati qui), anche se sui grafici compare sempre la scritta "17:49" che ha accompagnato la maggior parte dell'anno appena terminato.

mercoledì 23 dicembre 2015

Sette muri (con attacco su Orfeo)

Teo sul 1° tiro (Orfeo).
Sul 2° tiro (Orfeo).
Teo sul 4° tiro.
Sul 5° tiro.
Sul traverso del 9° tiro.
Teo sul 9° tiro.
Teo sul 10° tiro. La corda sulla destra è quella dei
"simpatici" spaccamontagne.
Tracciato della via (viola). In verde la via Orfeo,
in rosso la via Elios.
(la foto della parete è di Diego)
Parete S. Paolo - Valle del Sarca
Parete SE


Arco, parete S. Paolo. Siamo al secondo tiro della via Orfeo. Andiamo senza fretta – l'allenamento non è al massimo in questi giorni – quando sulla strada sottostante si materializzano due figuri che ci intimano: "Scendete perché tra due ore buttiamo dei sassi sulla via!". L'ipotesi che si tratti di uno scherzo si dilegua quando ci sentiamo ripetere l'incredibile diktat, mentre assaporo l'idea di prevenirli prendendoli prima io a sassate dalla sosta; poi qualche milione di anni di evoluzione umana si fa sentire e mi limito ad inviargli un apprezzamento irriferibile. I bravi di manzoniana memoria, impegnati nell'apertura e pulizia di una via sopra di noi e incuranti del prossimo, si dileguano senz'altra cura: questa via non s'ha da fare!
Che si fa? Dopo breve conciliabolo, stabilito che non c'è possibilità di dialogo e che l'acume (si fa per dire) dei nostri interlocutori (si fa per scherzare) gli impedisce di concepire di stare compiendo una prevaricazione ingiustificabile, decidiamo di cambiare via, approfittando del fatto che una decina di metri sulla destra ne corre un'altra, sottratta alla furia degli asini spaccamontagne. Il piacere dell'arrampicata ci è stato comunque sottratto dalle scariche di sassi che si sono effettivamente susseguite per tutta la giornata a poco più di una decina di metri da noi.
Ora, la faccenda è senza importanza, ma poiché io sono il solito petulante rompiscatole, vorrei porre alcune questioni: di chi sono le pareti di arrampicata? Chi ha il diritto di scacciare da una via una cordata che la sta percorrendo? Chi apre una via (lavoro meritorio) scaricando materiale non dovrebbe evitare di farlo quando la parete è frequentata? E se proprio si vuole perseguire quest'idea perniciosa, non sarebbe stato non dico educato, che forse è chieder troppo, ma almeno intelligente mettere un avviso alla base della via? Se fossimo stati nascosti dalla vegetazione o se un'altra cordata avesse attaccato la via dopo il passaggio dell'improbabile ronda, cosa sarebbe successo?
Accesso: da Arco si prende la strada che costeggia i Colodri e si raggiunge la cappelletta di fronte al bar-pizzeria La lanterna (parcheggio più avanti sulla strada). Si segue indi il sentiero che sale verso destra, per piegare poco dopo a sinistra per una traccia (ometto) che in breve porta sotto la parete. Si prosegue ora verso sinistra fino all'attacco di "Sette muri" (scritta). Poco dopo si nota una piccola scritta blu "orfeo" con un'altrettanto piccola freccia; si risale il pulpitino (corda fissa) e si giunge in breve all'attacco (ulteriore scritta).
Relazione: la nostra combinazione si rivela abbastanza interessante, unendo i tiri più impegnativi di Orfeo con quelli di Sette muri. Le protezioni sono buone, su fix e cordoni con qualche chiodo, tranne che sul primo tiro di Orfeo, dove sono necessari friend fino al 3BD per proteggere la fessura obliqua. Tutte le soste sono su due fix (uno con anello) tranne ove indicato.
1° tiro (Orfeo): si salgono le facili rocce verso destra per piegare a sinistra su una terrazza. Si sale brevemente e, con uno spostamento delicato verso destra, si guadagna l'inizio di una fessura obliqua verso destra che si segue fino alla sosta. 40m, IV, VI; un fix, quattro cordoni in clessidra.
2° tiro (Orfeo): sopra la sosta a percorrere un bel traverso a sinistra per poi superare un breve muretto e raggiungere la sosta per rocce più facili. 25m, VI-; un fix, un chiodo, cinque cordoni in clessidra.
3° tiro (collegamento): attraversare verso destra in lieve discesa tra la vegetazione fino alla quarta sosta di Sette muri. 15m, II. Da qui in poi abbiamo seguito questa via.
4° tiro: salire fin sotto al tetto e spostarsi verso destra a seguire una fessura inclinata; uscire poi a sinistra e raggiungere la sosta. 25-30m, V+, VI; due fix, un chiodo, due cordoni in clessidra. Sosta su albero con cordone. Tiro molto bello.
5° tiro: a sinistra della sosta a risalire una zona di rocce grigie. 50m, V, V+; tre fix, due chiodi, tre cordoni in clessidra.
6° tiro: a sinistra della sosta a risalire un muretto, per proseguire poi su un pilastro con un passo non banale oltre cui le difficoltà calano. 45m, VI, VI+; cinque fix, due chiodi, tre cordoni in clessidra.
7° tiro: attraversare verso sinistra in lieve discesa, facendo attenzione a non scivolare sulle numerose foglie; 20m, I.
8° tiro: spostarsi a sinistra della sosta restando bassi, superare un breve muretto oltre il quale si prosegue su facile terreno fino alla sosta. 25m, V+, I; due fix, un cordone in clessidra, un cordone incastrato con nodo. Sosta su chiodo e fix con cordone.
9° tiro: finale sportivo della via (con gradazione di conseguenza): si sale il muretto verticale e si supera un lieve strapiombo per iniziare un bel traverso a sinistra fino alla sosta. 25m, 6a+/6b, 6a; cinque fix (tre con cordone penzolante), un cordone in clessidra. Sosta su due fix. Tiro fantastico con un paio di passi obbligati in traverso per giungere all'ultima protezione.
10° tiro: salire tenendo la sinistra fino all'altezza dello spigolo, che si risale giungendo al termine della via. 25m, 5c, 6a; sei fix. Sosta su due fix su due facce del masso di sosta.
Discesa: dalla sosta si segue la traccia verso destra che porta ad una mulattiera da seguire ancora a destra. Ad un evidente bivio conviene prendere la scorciatoia sulla destra (sassi lisciati da secoli di passaggio) che riporta sulla strada ed in breve all'auto.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

sabato 5 dicembre 2015

Torta morbida di cioccolato e castagne

Fig. 1
Fig. 2
Fig. 3.
È tempo di castagne! Cioè, siamo già abbondantemente oltre, ma dovete fare la tara all'endemico ritardo che affligge i miei già sporadici aggiornamenti. E visto che le mie preferenze dolciarie virano inesorabilmente verso il cioccolato, cosa meglio dell'unione di questi ingredienti per riprendere dimestichezza dopo un po' di tempo? Qui parliamo di una torta morbida, anche se a livello teorico non ho ben capito cosa determini la morbidezza di una base, se la proporzione di uova e zucchero, il modo in cui sono aggiunti gli ingredienti o tutto insieme. Ma non importa; alla fine basta seguire la ricetta! Preparazione banalissima come sempre, ma risultato assicurato.

Ingredienti:
  • castagne: 300-350 g
  • cioccolato fondente: 350 g
  • zucchero: 310 g
  • burro: 180 g
  • farina: 40 g + infarinatura stampo
  • uova: 5
  • aroma di vaniglia (anche in fialetta se non siete puristi)
  • sale
Preparazione:
  • togliete la buccia alle castagne, quindi immergetele in acqua bollente per togliere la pellicina;
  • Lessate le castagne per 45' in un pentolino con acqua, la fialetta di vaniglia, un pizzico di sale e 150 g di zucchero. Al termine, lasciate raffreddare. Non mettete troppa acqua una volta che le castagne sono coperte, in modo che si formi uno sciroppo non troppo liquido (Fig. 1);
  • Sciogliete a bagnomaria il cioccolato fondente spezzettato con l'aggiunta di 160 g di burro e altrettanti di zucchero. Lasciate poi raffreddare l'impasto mescolandolo ben bene;
  • rompete le uova e separate tuorli ed albumi. Unite i tuorli e 40 g di farina all'impasto e mescolate;
  • Montate a neve gli albumi con un pizzico di sale ed uniteli all'impasto, amalgamandoli per bene;
  • Imburrate e infarinate lo stampo o rivestitelo di carta da forno, o fate entrambe le cose come me, e versatevi l'impasto. Quindi pescate le castagne dallo sciroppo, sgocciolatele (ma non troppo) ed infilatele nell'impasto (Fig. 2)
  • Cuocete in forno a 180° per 45' circa e fate raffreddare (Fig. 3)
Le castagne fanno un bel contrasto con la morbidezza dell'impasto ed il risultato è assai piacevole, anche se nel mio caso sono risultate un po' durette. Può essere che questo sia dovuto al fatto che le avevo lasciate ad aspettare un poco prima di utilizzarle in questo dolce. La prossima volta aumenterò lievemente il tempo di lessatura e riferirò...

Nota: fuori stagione è possibile utilizzare castagne secche. Io ho riprovato la ricetta con quelle morbide (non avevo tempo di lasciar rinvenire le altre in acqua) ed il risultato non è stato così diverso rispetto all'uso di castagne fresche. Servono però due accorgimenti: le castagne secche perdono peso, quindi direi di utilizzarne circa 150-200 g. Inoltre, non serve lessarle a lungo. Io ho preparato lo sciroppo alla vaniglia lasciandolo restringere e vi ho immerso le castagne per una decina di minuti circa. Lo stesso accorgimento vale se si utilizzano castagne già cotte.