venerdì 27 dicembre 2024

White noise

di Don DeLillo
Penguin Books, New York

I shopped for immediate needs and distant contingencies. I shopped for its own sake, looking and touching [...] I began to grow in value and self-regard. I filled myself out, found new aspects of myself, located a person I'd forgotten existed. Brightness settled around me[...] I traded money for goods. The more money I spent, the less important it seemed. I was bigger than these sums. [...] These sums in fact came back to me in the form of existential credit.
L'interesse per questo libro nasce in primis... dal titolo! Il rumore (bianco, ma non solo) è uno degli argomenti fondamentali di ogni corso di Elettronica (ma non solo), e l'uso che ne avrebbe fatto DeLillo mi incuriosiva. Lo acquistai un dicembre di più di una ventina di anni fa, in una libreria di Washington vicina all'hotel dove si teneva la conferenza IEDM e... lo misi da parte dopo aver letto l'arcano Ratner's star. Ci sono libri da prendere alla lontana, da avvicinare con un po' di diffidenza, e poi da leggere con circospezione, cercando di non perdersi nel... rumore di fondo (il gioco di parole è fin troppo ovvio) per seguire una trama, scoprendo che alla fine trama e sottofondo, segnale e rumore, si compenetrano. Ma andiamo con ordine.

Il libro è diviso in tre parti. Nella prima (titolo evocativo Waves and radiation) si racconta la vita quotidiana della famiglia di Jack Gladney, un singolare "collega", chairman of the department of Hitler studies (p. 4), che insegna Advanced Nazism, a course of study designed to cultivate historical perspective, theoretical rigor and mature insight into the continuing mass appeal of fascist tyranny (p. 25; immagino avrebbe un certo successo anche dalle nostre parti...). Jack e famiglia, con i figli adolescenti che vengono da precedenti matrimoni e dimostrano un livello improbabile di maturità, conducono una vita "tipicamente americana", o meglio occidentale, regolata da televisione (siamo nell'era pre-Internet e pre-telefonini), radio, tabloid, e supermercato, dove (p. 19):
Most of all I like the packages themselves. You were right, Jack. This is the last avant-garde. Bold new forms. The power to shock. [...] I'm happy there. I read the TV listings, I read the ads in Ufologist Today. I want to immerse myself in American magic and dread.
Memorabile l'analogia (pp. 37-38) che Murray (un collega di Jack, appassionato di cultura popolare e che ricerca sempre interpretazioni profonde di ogni dettaglio, in bilico tra l'acume ed il ridicolo) pone tra il supermercato e l'interregno tra morte e rinascita nella cultura tibetana, un luogo sempre uguale dove ci si ricarica spiritualmente: Here we won't die, we shop. But the difference is less marked than you think. Nel supermercato si è subissati di rumori, annunci, colori, etichette da leggere (le uniche cose che ormai, secondo Murray, leggono i suoi colleghi all'università), waves and radiation, appunto. Le stesse cose, psychic datasacred formulas, sono emanate dalla TV (pp. 50-51). Tutti i protagonisti sono immersi in questi codici, vero "rumore bianco" che agisce da costante controcanto alle vicende, e tentano a loro modo di decifrarli, da Jack che si interroga sul significato numerologico dell'ora a cui si è svegliato a Babette che legge gli oroscopi, da Denise che consulta i manuali di medicina fino alla polizia che si rivolge ad una sensitiva per ritrovare due dispersi (che saranno poi rinvenuti in un supermercato). La televisione ha anche un ruolo rassicurante, mostrando in continuazione disastri che attirano la nostra attenzione a patto che accadano altrove, reinforzando la nostra condizione di privilegiati (p. 66):
For most people there are only two places in the world. Where they live and the TV set. If a thing happens on television, we have every right to find it fascinating, whatever it is.
Questa condizione comincia a sgretolarsi nella seconda parte, costituita da un solo capitolo, quando il deragliamento di un treno rilascia una nube tossica che si avvicina alla città. Il buon Jack non riesce a crederci e continua a negare che ci possano essere conseguenze (p. 114):
These things happen to poor people who live in exposed areas. Society is set up in such a way that it's the poor and the uneducated who suffer the main impact of natural and man-made disasters. [...] I'm a college professor. Did you ever see a college professor rowing a boat down his own street in one of those TV floods?
Alla fine la famiglia deve evacuare, e durante il viaggio Jack scende dall'auto a fare il pieno di benzina, rimanendo esposto alla nube tossica. Nel campo profughi un anonimo operatore dietro ad un computer lo avvisa che la contaminazione è importante, ma che gli effetti non sono noti: potrebbe morire, forse a breve, forse tra molti anni o decenni. Dopo nove giorni, i Gladney possono rientrare a casa e la vita riprende il solito ritmo.

Siamo alla parte finale e la trama si movimenta. Jack scopre un contenitore di Dylar, una medicina sconosciuta che la moglie Babette assume di nascosto, e la fa analizzare nel laboratorio universitario. Saputo che si tratta di un neurofarmaco, confronta Babette, che confessa di essersi offerta volontaria per il test del Dylar, un farmaco sperimentale che dovrebbe inibire la paura della morte. Per via degli effetti collaterali, la sperimentazione su umani è vietata, ma Babette è terrorizzata dalla paura di morire e stipula un accordo privato con il responsabile del progetto. Per convincerlo a portare avanti il test, offre qualcosa di più della sua adesione, in una stanza d'hotel, per diversi mesi, finché il tutto non si interrompe perché il farmaco non ha effetto. Ora Jack vorrebbe provare il Dylar, vista la diagnosi che gli è stata fatta, ma le pillole rimanenti sono state distrutte e Babette non vuole rivelare il nome del contatto, che tuttavia Jack recupera fortuitamente. Stretto tra la gelosia e la paura, lo incontra per ucciderlo, gli spara, ma alla fine lo salverà portandolo in un ospedale d'emergenza gestito da suore.

Nella seconda e terza parte appare evidente come la morte e la paura di morire siano il principale tema del libro: la morte fa capolino già dalle prime pagine, quando i ricchi borghesi portano i figli all'università e Babette si chiede cosa sia la morte a quel livello di reddito, compare costantemente nel testo, ed i due discutono su chi morirà prima (cap. 20). Come gli rivela Murray (cap. 37), Jack ha proiettato sulla figura di Hitler la sua paura di morire, perché (p. 287)
helpless and fearful people are drawn to magical figures, mythic figures, epic men who intimidate and darkly loom [...] The overwhelming horror would leave no room for your own death
ma alla fine senza successo: la realtà (o almeno, la realtà che viene raccontata dalla tecnologia medica) sbriciola queste credenze assieme all'immagine che il professore si era costruito di sé, con la toga, gli occhiali scuri e le iniziali finte del nome (emblematico di ciò è il discorso con il tecnico al campo profughi, dove Jack vorrebbe indossare il suo abito accademico). Non potendo/volendo votarsi alla tecnologia o alla fede né possedendo la spavalderia di Orest (che entra in una gabbia di serpenti per sfida), si affida ad una suggestione del solito Murray secondo cui la violenza è una forma di rinascita (p. 290) e uccidere è un modo per controllare la propria morte, evocando una "sostituzione" di ruolo tra assassino e vittima. Ma anche questo piano fallisce (anzi, si ribalta, perché proprio la ferita lo spinge a salvare Mink), e nemmeno la suora del convento, che professa di non credere nell'ultraterreno ma di recitare una parte affinché il mondo possa consolarsi all'idea della fede, fornisce una soluzione. Non resta che tornare alla vita di prima e accettarla.

Tra i molti altri temi che scorrono tra le pagine val la pena di citare il ruolo della tecnologia: da un lato, è una minaccia oscura che raccoglie dati e sa tutto su di noi (la prima edizione del libro è del 1985, molto in anticipo sulle recenti preoccupazioni al riguardo), senza però fornire informazioni utili, come il responso nel campo profughi o gli esiti degli esami e dei colloqui con i medici, iniziati alla tecnologia e sempre assurdamente ambigui. Ma essa ha anche una funzione rassicurante di "integrazione", come quando Jack si reca ad uno sportello Bancomat e inserisce la sua carta ed i codici, ricevendo le informazioni desiderate (p. 46):
Waves of relief and gratitude flowed over me. The system had blessed my life. I felt its support and approval. The system hardware, the mainframe sitting in a locked room in some distant city. What a pleasing interaction. I seemed that something of deep personal value, but not money, not that at all, had been authenticated and confirmed. [...] The system was invisible, which made it all the more impressive, all the more disquieting to deal with. But we were in accord, at least for now. The networks, the circuits, the streams, the harmonies.
Altri esempi ovvi sono la nube tossica e la modifica del paesaggio e dei colori, contrapposta allo stesso Dylar, technology with a human face (p. 211), che, sebbene non funzionante oggi, potrebbe esserlo un domani (p. 308):
Dylar failed, reluctantly. But it will definitely come. Maybe now, maybe never.
Bisogna poi notare come DeLillo già si era accorto che la pervasività della tecnologia non avrebbe scalfito la fede nell'irrazionale, perché proprio la complessità della tecnologia la rende assimilabile al magico (si veda l'argomentazione di Heinrich alle pp. 146-7). E quindi, ecco i predicatori, le "notizie" sulle prove di vita ultraterrena, di reincarnazione, UFO, gli oroscopi, le argomentazioni formalmente solide, ma in realtà risibili dello stesso Heinrich che si rifiuta di decidere se stia o meno piovendo (pp. 22-24) e che sciorina teorie complottiste (cap. 23) che oggigiorno gli varrebbero un incarico politico. Heinrich for President!

Un ultimo cenno è anche dovuto all'adattamento cinematografico di Noah Baumbach del 2022, non del tutto riuscito. Se dal punto di vista visuale il film rende molto bene la frenesia dello shopping e la catastrofe della nube, mi pare che manchi un collegamento convincente, per chi non ha letto il libro, tra gli eventi narrati ed il tema fondamentale della paura della morte, che pur viene ribadito numerose volte.


P.S. un gruppo musicale ha mutuato il nome da quello (fittizio) della sostanza tossica, Nyodene D.

lunedì 23 dicembre 2024

Treni 2218 e 2275 (Bergamo-Milano Lambrate): ritardi novembre-dicembre 2024 e riassunto annuale

Fig. 1: distribuzioni cumulative dei ritardi su scala lognormale per il
treno 2218 (8:02) nei trimestri novembre-dicembre dal 2015 al 2024.
Fig. 2: Ritardi nei bimestri in esame per il treno 2218 (8:02).
Fig. 3: come in Fig. 1, ma per il treno 2275 (17:41).
Fig. 4: come in Fig. 2, ma per il treno 2275 (17:41).
Tempo di bilanci di fine anno, dopo ben un decennio di raccolta dati! Ma come al solito, iniziamo con un paio di articoli pubblicati qua e là. Il primo è una lettera di un mio omonimo a MerateOnline e parla della linea Milano-Lecco, ma si attaglia perfettamente anche alla "nostra". L'autore ricorda alcuni concetti che sembrano ovvi, e lo sono, e proprio per questo sono sistematicamente ignorati, ovvero che utilizzare la puntualità media sui treni è "patetico" (io avrei usato l'ormai celeberrima definizione fantozziana per il famoso film sovietico) perché i convogli pieni di pendolari e quelli quasi deserti intorno a mezzogiorno o alla sera non devono avere lo stesso peso, e che la politica locale evita accuratamente di lamentarsi del servizio scadente per via dell'appartenenza di partito. Il secondo articolo riporta dati di Regione Lombardia secondo i quali le soppressioni dei treni sarebbero responsabilità di Trenord per ben il 77%, a fronte del 21% imputabile ai gestori delle infrastrutture (leggi Rfi). L'articolo non può fare a meno di notare come le intemerate di Fontana & Co. contro Rfi appaiano assolutamente fuori luogo, e come il problema principale sia - guarda un po'! - proprio Trenord!

Bimestre novembre-dicembre 2024
Veniamo quindi all'ultimo bimestre di quest'anno, iniziando dal treno 2218. La distribuzione dei ritardi è mostrata in Fig. 1: puntualità al 3% e al 23% entro 5' di ritardo, con massimo ritardo di ben 101' il 15/11, per guasto alla linea e presenza di idioti sui binari. Ad onor del vero, la distribuzione si "raddrizza" un poco rispetto agli ultimi anni, a parte gli evidenti tre casi disastrosi (due per problemi infrastrutturali, uno per guasto). La rappresentazione sintetica dei ritardi in Fig. 2 evidenzia ancora una diminuzione dei ritardi al 50 e 90% (quest'ultimo un po' fortuito, visto che siamo proprio sullo "spigolo" della distribuzione in Fig. 1), ma un lieve aumento del dato medio, probabilmente "colpa" del dato singolo di 101' già citato.

Se il dato del 2218 ha alcuni aspetti positivi, lo stesso non si può dire per il 2275: puntualità all'11% e al 43% entro 5'; numeri bassini, ma ormai da considerare quasi decenti, vista la situazione generale. Massimo ritardo di 44' il 26/11, ancora per presenza di deficienti sui binari. Il treno è stato fermato a Verdello, e i poveracci a bordo sono arrivati a Bergamo con il successivo 2237. Questa pratica ricorrente ad assurda si è verificata ben cinque volte nel bimestre, per non parlare del 4/11, quando il 2275 (in ritardo per l'attesa del treno dal deposito!!!) è stato fermato a Verdello dopo che il 2237 era passato; immagino che i pendolari siano ancora lì...
La Fig. 4 indica che la lieve riduzione della coda al 90% del 2023 era un fuoco di paglia: il 10% dei treni continua ad arrivare con ritardi assurdi di circa mezz'ora (di fatto, si giunge a Bergamo col 2237), mentre la media è lievcemente aumentata rispetto al 2023, ed è di circa 10' (su un tempo di pecorrenza di 45').

Chiudiamo questa parte con il capitolo sulle cause dei ritardi, come riportate dall'app di Trenord. Sei sono relative a guasti o problemi ai treni, tre a guasti all'infrastruttura. Ci sono poi sette segnalazioni legate a problemi di altri treni (che sono in gran parte di Trenord), per finire con lo sciopero del 5/11 e gente sui binari il 26/11. Ci sono poi due giorni con ritardi superiori ai 10' in cui tutto tace.

Fig. 5: Come Fig. 1, ma per tutto il 2024 (no agosto).
Fig. 6: Come Fig. 3, ma per tutto il 2024 (no agosto).
Ore di ritardo annue.
Riassunto annuale
Detto riassunto potrebbe... riassumersi in poche parole: nessuna variazione rispetto agli ultimi due anni! Le curve per il 2024 sono infatti pressoché sovrapposte a quelle del 2022 e 2023, e non è certo una buona notizia! Vediamo i dati di dettaglio: per il 2218, la puntualità è al 2% e al 38% entro 5'; massimo ritardo di 101', proprio in questo bimestre: nuovo record assoluto che polverizza i 93' del 2022; evviva!
Da un punto di vista puramente statistico, si può notare come la distribuzione abbia uno "spigolo" intorno ai 15' di ritardo, oltre i quali la dispersione aumenta considerevolmente. Immagino (ma posso sbagliare...) che in questi casi il treno abbia perso del tutto il suo slot e debba rompere le scatole agli altri convogli in circolazione... sono le famose "esigenze del regolatore", che deve arrabattarsi alla meno peggio.

Conclusioni simili si possono trarre per il 2275: puntualità all'11% e al 49% entro 5', massimo ritardo di "soli" 58' il 4/3. Anche in questo caso i dati sono sovrapposti a quelli del biennio precedente, e anche qui si vede uno spigolino verso i 30', che corrisponde probabilmente ai casi in cui si è arrivati a Bergamo con il 2237.

L'ultima figura illustra le ore totali di ritardo accumulate durante gli undici mesi di rilevazione. Come si vede, i ritardi sono enormi e non accennano minimamente a diminuire. Del resto, dopo che si sono alzati scandalosamente i limiti entro cui Trenord eroga un rimborso, perché preoccuparsi dei ritardi? È un problema dei pendolari, non di Trenord!
Auguri a tutti per un migliore 2025!


Nota: i dati sono raccolti personalmente o da app Trenord. Per correttezza, bisogna specificare che i ritardi sopportati dai pendolari su questi due treni non sono indicativi dei ritardi complessivi, che sta ad altri raccogliere e rendere pubblici. Idem per i rimpalli di responsabilità tra Trenord, Rfi, e quant'altri. Qui si cita spesso Trenord in quanto è ad essa che i poveri pendolari versano biglietti ed abbonamenti, e ai quali dovrebbe rispondere del servizio.

venerdì 20 dicembre 2024

Garda DOC Marzemino Rovadus 2021 Averoldi

Non me ne vogliano gli abitanti del Veneto, dove pare ci sia la maggiore superficie vitata a Marzemino, ma per me questo vitigno è sempre stato sinonimo di Trentino e dei dintorni di Isera (da assaggiare quello di Letrari). Ho quindi accolto con una certa curiosità (oltre al piacere, ovviamente) il regalo di questa bottiglia, un Marzemino lombardo della zona del Garda.
La cantina Averoldi è attiva da generazioni nella zona delle Valtenesi, e produce vini tipici del territorio con raccolta manuale delle uve e metodi tradizionali. La produzione di vini fermi (ma ci sono anche brut, un passito e una grappa) consta di tre bianchi e un rosato, cui si affiancano due rossi a base Groppello (da provare il Notorius) e questo Marzemino... tralasciando come al solito due rossi che passano in barrique.

Il Rovadus (nome di un antenato della famiglia Averoldi) è in realtà un assemblaggio di Marzemino (90%) e Sangiovese (10%), affinato in acciaio. Il colore è rosso con tendenze violacee, tipico del vitigno, mentre al naso si percepiscono note floreali e di frutti rossi. Molto piacevole e vivace all'assaggio, con un po' di mineralità e un finale amarognolo che coprono i 13° del vino ed invogliano a versarne ancora. Da abbinare (anche) a piatti di pesce!


Gradazione: 13°
Prezzo: N/A

domenica 8 dicembre 2024

Locanda del Menarost

Tagliolini con finferli.
Diaframma di manzo.
Tortino di ricotta.
Via Giuseppe Compagnoni 24
Milano

Sarà anche vero che "i milanesi non esistono più", ma per fortuna sopravvive ancora la loro cucina! Non lontano da piazzale Susa si trova la Locanda del Menarost (ovvero girarrosto, anche se pare che il termine dialettale sia anche usato per indicare le persone che continuano a "menarla", appunto), aperta nel 2012; un piccolo locale piuttosto frequentato (obbligatorio prenotare, come peraltro ovunque a Milano) e arredato in maniera piacevolmente retrò, con anticaglie del secolo scorso che riempiono le pareti, ma che in cucina non fa mai mancare i piatti principali della tradizione meneghina, accanto ad altre proposte lombarde.
Il menù inizia con l'elenco delle aziende (lombarde o del piacentino) da cui la locanda reperisce i prodotti, per passare poi alla lista vera e propria, dove saltiamo gli antipasti (salumi ed i classici mondeghili) e ci concentriamo sui primi: risotto alla zucca o ai porcini, tortelli di zucca, tagliatelle allo stracotto, per finire con i tagliolini con finferli freschi e guanciale su crema di pinoli, che ordino senza troppa esitazione. Porzione più che onesta per un piatto semplice ma gustoso (i colori delle fotografie sono falsati dalla luce artificiale).

Alla voce I secondi della Locanda, il menù si butta sulla carne (ma c'è un'opzione vegetariana): stinco di maiale, rognone di vitello, tartare di manzo e un poco noto (per me) diaframma di manzo con cavolo nero, uvetta e pinoli. Considerato un taglio povero, il diaframma è in realtà molto ricco di ferro, con un sapore intenso e un po' selvatico, anche se non ha la delicatezza dei tagli più comuni. Anche questa porzione è decisamente generosa, ed è un'ottima scelta se non siete familiari con questo taglio e volete "sperimentare".
Da citare poi la presenza nel menù dei piatti della tradizione, ovvero risotto allo zafferano, cotoletta alla milanese e ossobuco con risotto.

La lista dei dolci è piuttosto tradizionale, con i classici tiramisù, torta di mele, pere cotte. L'unica voce particolare che vado ad assaggiare è un tortino di ricotta di pecora con cioccolato e prugne caramellate, piacevolmente saporito.

La lista dei vini è piuttosto ampia, con una predilezione per le etichette lombarde. I miei gusti mi portano verso la Valtellina, dove assaggiamo un Alpi Retiche di una piccolissima azienda dal nome accattivante, Pizzo Coca. Uve nebbiolo (vabbè, chiavennasca) al 100%, 13° affinati in acciaio, è un ottimo accompagnamento per la cena.

Il conto: 120 € per:
2 primi
2 secondi
2 dessert
1 caffè
1 bottiglia di acqua
1 bottiglia di vino (24 €)
2 bicchieri di vino da dessert (15 €)

martedì 26 novembre 2024

Boicottiamo il cretino + I tre soci

Sul 1° tiro di Boicottiamo il cretino.
Teo sul 2° tiro.
Teo sul 5° tiro.
Sul 2° tiro de I tre soci.
Teo sul 3° tiro.
Tracciati delle vie Boicottiamo... (azzurro) e
I tre soci (rosso).
Cima alle Coste (antiscudo)
Valle del Sarca

Accesso: da Arco si procede verso Sarche, superando Dro e giungendo in vista della parete di Cima alle Coste. Al termine di una zona alberata sulla sinistra si prende la strada per il lago Bagatoli (indicazioni), seguendola e parcheggiando sulla curva appena prima di una sbarra (NON scendere a destra ai parcheggi privati dell'oasi). Si segue lo sterrato fino ad una deviazione sulla destra (indicazione Antiscudo) che porta in breve alla base della parete. Per la via Boicottiamo il cretino (va bene, ma chi? Ce ne sono tanti in giro...) si tiene la sinistra, in leggera salita, fino all'attacco (scritta). Per I tre soci ci si porta invece a destra, costeggiando la parete fino alla scritta con nome.

Relazione: vie in completo stile plaisir, con ottima chiodatura e su buona roccia, breve avvicinamento e facile discesa. Cosa volere di più se cercate una giornata tranquilla? Volendo essere rompiscatole, l'unico "neo" è l'ultimo tiro de I tre soci, quasi tutto in A0 su placca liscia come l'olio: peccato che non si sia trovata un'altra soluzione.

Boicottiamo il cretino: sale sul lato sinistro della parete, vicino ad un diedro. Resta un po' bagnata dopo le piogge. Tutte le soste su due fix e cordone tranne dove indicato.
1° tiro: salire per la rampa iniziale, continuare lungo la placca e raggiungere la sosta sulla sinistra. 20 m, 6b (un passo), undici fix. Sosta su due fix e cordone con maglia-rapida.
2° tiro: seguire la costola sulla destra e superare due muretti. 20 m, 6a, nove fix.
3° tiro: salire lungo la fessura ad arco e spostarsi a destra verso la sosta. 12 m, 6b, otto fix.
4° tiro: superare il muretto appena a sinistra della sosta e salire per facili rocce verso destra fino alla sosta. 12 m, 6a, cinque fix.
5° tiro: salire in obliquo a destra, superare una paretina e sostare. 25 m, 5a, quattro fix. Sosta su albero.

Discesa: seguire la traccia verso sinistra e tagliare la placconata, raggiungendo un sentiero che si segue in discesa e riporta sullo sterrato, da cui si risale. Se si vuole raggiungere l'attacco della seconda via senza scendere e risalire, è anche possibile tagliare il fianco della parete quando è possibile. Tuttavia, la traccia è praticamente inesistente; soluzione consigliata solo agli amanti delle ravanate.

I tre soci: sale a destra per fessura e placche, con un bel 2° tiro. Tutte le soste su due fix e cordone tranne dove indicato.
1° tiro: salire per rocce un po' rotte fino all'altezza di una cengia (secondo fix). Qui traversare a destra, superare un risalto roccioso e proseguire fino alla sosta. 30 m, 5c, sei fix. Sosta su tre fix e cordone.
2° tiro: salire la breve placca a destra della sosta, continuare lungo la bella fessura e traversare verso la sosta a destra per lame e rocce appoggiate. 30 m, 6a/+, undici fix.
3° tiro: salire dritti per rocce appoggiate e superare un muretto. 25 m, 5b, cinque fix.
4° tiro: salire lungo uno spigolo fino alla sosta. 25 m, 5c, sette fix.
5° tiro: salire per breve fessura, superare una placca liscia (A0), traversare a destra e tirare un paio di rinvii uscire in sosta. 25 m, 5b e A0, undici fix.
6° tiro: seguire la corda fissa verso sinistra fino alla sosta su albero. 25 m.

Discesa: come la precedente.


Avvertenza: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

sabato 23 novembre 2024

Treni 2218 e 2275 (Bergamo-Milano Lambrate): ritardi settembre-ottobre 2024

Fig. 1: distribuzioni cumulative dei ritardi (scala lognormale) per il
treno 2218 (8:02) nei bimestri settembre-ottobre dal 2015 al 2024.
Fig. 2: Ritardi nei bimestri in esame per il treno 2218 (8:02).
Fig. 3: come in Fig. 1, ma per il treno 2275 (17:41).
Fig. 4: come in Fig. 2, ma per il treno 2275 (17:41).
Confesso che avevo completamente scordato l'appuntamento con il bimestre dei ritardi, ma poco importa: la situazione è più o meno sempre la stessa, se non peggio! Inizio come al solito con un articolo che racconta per l'ennesima volta le condizioni di viaggio in questa Regione, non senza una nota comica quando scrive che la qualità discutibile del servizio avrebbe indotto persino il governatore lombardo Attilio Fontana ad alzare la voce. Chissà che paura a Trenord! Ricordiamo solo che i disservizi ci sono da sempre, che Fontana presiede la Regione che ha (tra l'altro) benedetto la modifica delle condizioni di rimborso, rendendolo un miraggio (sempre per citare l'articolo), e che è lautamente pagato non per alzare la voce, ma per risolvere i problemi (idem dicasi per l'AD di Trenord).

Ciò detto, veniamo alla tratta di nostro interesse, iniziando dal 2218. Puntualità al 5% e al 48% entro cinque minuti; massimo ritardo di "soli" 27', il 4 ottobre per un guasto alla linea. Andamento solito (Fig. 1) sbilanciato a destra, ma lievemente migliore dei ultimi anni, con la curva che si "raddrizza" un pochino.
L'andazzo storico di questo bimestre si vede in Fig. 2, dove si può apprezzare il miglioramento rispetto agli ultimi tre anni. Si tratta di una variazione non incredibile, ma come al solito non ci resta che sperare che si continui così (anche se nessuno ci crede).

Se il 2218 regala una minima soddisfazione, il 2275 è completamente allo sbando! Puntualità all'8% e al 42% entro 5'; massimo ritardo di 55' il 30 settembre per sciopero. La distribuzione dei ritardi (Fig. 3) è pessima, con la metà superiore completamente sbilanciata e di gran lunga la peggiore da dieci anni a questa parte (evviva!), con il treno che è stato cancellato per quattro giorni consecutivi! Anche in questo bimestre, i problemi del 2275 sono tutti tra Porta Garibaldi e Lambrate, e solo raramente il ritardo si accumula tra Lambrate e Bergamo. Vogliamo (metaforicamente) bombardare Porta Garibaldi e far partire questo maledetto treno da Lambrate?
Lo storico dei ritardi è riportato in Fig. 4, che ben evidenzia come dopo il 2019 i ritardi siano sempre, costantemente, aumentati, superando i livelli del 2018, ma senza nemmeno la scusa dell'incidente di Pioltello! In cinque anni si sono accumulati in media (cioè ogni giorno) 10' di ritardo, e ora siamo a 15' circa; il 2275 si candida a diventare il treno peggiore di tutta la Lombardia! Ma ora che Fontana alza la voce, vedrete che tutto funzionerà a meraviglia.

Per quanto riguarda le giustificazioni: su diciotto notifiche, undici appaiono riconducibili direttamente a Trenord (ovvero problemi ai treni: guasti, controlli, cancellazioni senza spiegazione, ecc. ecc.), quattro a Rfi (guasti alla linea o agli scambi), due alle "esigenze del regolatore" (ovvero problemi di gestione del traffico, quindi possibile responsabilità di altri convogli di Trenord) e una allo sciopero del 30/9. Bisogna notare però che ci sono altri cinque casi con ritardi di almeno 10' su cui non è stata fornita spiegazione. Siccome tutti conoscono il famoso detto sull'esattezza del pensar male, valutate voi di chi possa essere la responsabilità...


Nota: i dati sono raccolti personalmente o da app Trenord. Per correttezza, bisogna specificare che i ritardi sopportati dai pendolari su questi due treni non sono indicativi dei ritardi complessivi, che sta ad altri raccogliere e rendere pubblici. Idem per i rimpalli di responsabilità tra Trenord, Rfi, e quant'altri. Qui si cita Trenord in quanto è ad essa che i poveri pendolari versano biglietti ed abbonamenti, e ai quali dovrebbe rispondere del servizio.

giovedì 21 novembre 2024

Clivus

Teo sul 1° tiro.
Sul 2° tiro.
Sul 4° tiro.
Teo sul 5° tiro.
Sul 10° tiro.
Tracciato della via.
Ma perché quando sono arrivati qui durante l'apertura non hanno buttato giù le doppie invece di proseguire?
Ma no dai, magari salendo migliora... il muretto qui sopra sembra bello...

Quando arriverete alla prima sosta sarete colti dal medesimo dubbio di Teo. Bene: non sottovalutate questo istinto e pensateci bene prima di abbandonarvi all'ottimismo come il sottoscritto. Il terreno di salita non migliorerà, anche se troverete delle sezioni interessanti ed un tiro molto bello. Nel complesso, però, si trova di meglio in valle...

Accesso: da Arco raggiungere Ceniga e parcheggiare in una delle due aree sulla destra. Prendere la strada di fronte al primo parcheggio (via Al ponte), superare il Sarca e seguire a destra verso il Maso Lizzone. Qui salire a sinistra e seguire il sentiero che porta verso le pareti. Ignorare una deviazione a sinistra in corrispondenza di un ometto (porta al Sentiero degli scaloni che si percorrerà in discesa) e continuare sempre verso destra fino a costeggiare la parete e incontrare la scritta con il nome della via.

Relazione: Via che esplora il lato sinistro della parete dell'Anglone, appena dopo il sentiero degli scaloni. Tuttavia, se la parete vista dal basso sembra regalare un itinerario interessante, la realtà è un po' diversa: il percorso si svolge per lunga parte su terreno facile, ma friabile, intervallato da qualche sezione interessante su roccia buona (molto bello l'ottavo tiro). La chiodatura è ottima e ravvicinata nei tratti più impegnativi, ma distanziata in quelli facili e friabili (a volte per l'oggettiva difficoltà di chiodatura), dove è d'obbligo fare molta attenzione; necessaria un po' di esperienza su questo tipo di terreno, oltre ad una certa passione per le ravanate. Tutte le soste sono su due fix con anello e cordone tranne ove indicato.
1° tiro: superare il muretto (ostico passo iniziale) e continuare su rocce friabili, salire un corto diedro sulla destra e proseguire ancora su roccia friabile fino alla sosta. 40 m, 6a+/b (passo iniziale), sei fix.
2° tiro: percorrere i primi metri un po' friabili e salire per il bel muro (con un passo in A0), uscendo a sinistra e proseguendo fino alla sosta. 30 m, 6a+, dodici fix (uno con cordone).
3° tiro: partenza delicata su placca, spostarsi a sinistra e continuare ancora per placca e vago diedrino fino ad una placchetta finale che conduce in sosta. 30 m, 5c, sette fix.
4° tiro: salire lungo la lama, traversare a sinistra e raggiungere la sosta. 15 m, 4c, quattro fix. Sosta su albero con cordone
5° tiro: raggiungere la parete e salire verso sinistra, rimontare sulla placca a destra (breve tratto friabile) e continuare per placca delicata  fino alla sosta. 15 m, 6a+, sette fix.
6° tiro: risalire il pilastrino a sinistra della sosta, traversare a destra e uscire su roccia friabile per raggiungere la sosta. 20 m, 5c, cinque fix.
7° tiro: salire in obliquo verso destra su roccia friabile fino a raggiungere una parete rocciosa dove si trova la sosta. 35 m, IV; un fix, tre cordoni in clessidra, un cordone su pianta. Sarebbe stato più logico attrezzare la sosta alla base della parete.
8° tiro: traversare a destra su placca e raggiungere un bel diedro. Salirlo (ignorare una variante a fix verso destra), traversare appena sotto un tetto ad arco e uscire su buone prese, per salire poi alla sosta. 30 m, 6a+, tredici fix (due con cordone), un cordino su radice. Tiro molto bello, ma attenzione all'attrito delle corde.
9° tiro: salire per un diedrino (alla base c'è la sosta della variante al tiro precedente), uscendo a destra dove sono presenti dei grossi blocchi dall'aspetto poco stabile (fare MOLTA attenzione). Continuare brevemente e tenere la sinistra sotto una cornice, salendo poi alla sosta. 35 m, 5b; cinque fix, una sosta intermedia.
10° tiro: spostarsi a destra per salire la fessura-camino, uscendo per un canalino erboso. Aggirare le piante lasciandole a sinistra e raggiungere la sosta. 25 m, 5b; quattro fix, un cordino su radice. NON aprite la scatola metallica con il libro di via perché è diventata casa di una nutrita colonia di irascibili formiche rosse!

Discesa: procedere fino ad incontrare uno sterrato che si segue verso sinistra fino ad uno slargo. Proseguire per sentiero e scendere a sinistra per il sentiero degli scaloni, che in breve riporta al Maso Lizzone.


Avvertenza: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

domenica 10 novembre 2024

Locanda dei buoni e cattivi

Lo spazio esterno.
Tagliatelle rosse con ragù di pollo.
Ghisadu di manzo.
Tortino al cioccolato.
Via Vittorio Veneto 96
Cagliari


La Cooperativa dei buoni e cattivi è una cooperativa sociale che aiuta i giovani con diverse fragilità a ritrovare una strada attraverso il lavoro nella locanda o nel ristorante, a cui si uniscono un circolo e un punto ristoro. Il ristorante ha uno spazio interno e un dehor, dove ci sediamo. La cucina utilizza prodotti locali e si ispira ai piatti della tradizione sarda, con pane e pasta fatti in casa. Menù abbastanza semplice, con quattro antipasti e primi, e qualche scelta in più per i secondi.

I primi includono una vellutata di pomodori (opzione per vegetariani) e tre scelte di pasta, tra cui scelgo senza esitazione le tagliatelle rosse di pasta con ragù di pollo sfumato al Vermentino e profumato al limone; nome lunghissimo, ma piatto assolutamente meritevole, con il sapore un po' rustico delle tagliatelle che si sposa benissimo con la leggerezza del pollo e il sentore di limone.

Tra i secondo figurano un paio di scelte di mare (fritto e zuppa), una vegetariana, e tre di carne (arrosto di maiale, polpette di pecora e hamburger). Purtroppo le polpette su cui punto sono finite, ed al loro posto vi è un ghisadu di manzo in rosso con patate arrosto su letto di pane carasau, che assaggio con curiosità: il ghisadu (ovvero cotto in umido) è uno spezzatino tipico della Sardegna, giunto qui dalla Spagna. La carne è tenerissima, ed anche questo piatto sparisce in un batter d'occhio; unico neo - ma più che neo è una caratteristica di questo tipo di cotture - è il sapore molto intenso del sugo che va a coprire un po' quello della carne. Parere assai positivo del "local" Francesco anche sull'arrosto di maiale.

Meno entusiasmante, ma è quasi una costante per me, la lista dei dolci: millefoglie, crema al mascarpone, biancomangiare (che forse sarebbe stata la scelta più consona), e l'onnipresente tortino al cioccolato, che scelgo senza troppa convinzione. Onesto, ma niente di particolare.

La lista dei vini non è particolarmente ampia, ma giustamente focalizzata su produttori sardi; purtroppo però, la scelta è penalizzata dalla mancanza di una persona competente che sappia fornire qualche indicazione sui produttori meno noti e sulle etichette in lista (questa scarsa considerazione per il vino si ritrova ormai di frequente nei ristoranti, da nord a sud). Visti i secondi di carne, vado a pescare un Cannonau biologico Scillaras della cantina Antigori; una scelta più che soddisfacente. Interessante la scelta di amari di produzione regionale, che stavolta non abbiamo assaggiato: un motivo per ritornare!

Il conto: 100 € per:
1 antipasto
2 primi
2 secondi
2 dessert
1 caffè
1 bottiglia di acqua
1 bottiglia di vino (22 € circa)

martedì 24 settembre 2024

Cirò DOC classico superiore 2017 Cataldo Calabretta

Non ci sono molte informazioni su questa cantina: il sito è ad oggi vuoto, e le poche righe che si trovano qua e là raccontano una storia di quattro generazioni e di una recente conversione al regime biologico, con la coltivazione della vite con la tecnica dell'alberello (più laboriosa, ma con risultati migliori) ed il recupero di vasche in cemento per l'affinamento di vini ottenuti limitando l'uso di anidride solforosa e senza uso di lieviti. Poco... ma molto, si potrebbe dire!

La cantina produce un Ansonica e un passito, oltre ovviamente ai Cirò, nelle declinazioni di rosso, bianco e rosato. Questo Cirò rosso superiore nasce da uve Gaglioppo al 100% e proviene da vecchie viti di oltre 40 anni. Il vino dovrebbe affinare per 10 mesi nelle suddette vasche, ma in giro si trovano anche informazioni diverse sulla durata della permanenza. Il colore è ormai granato, a testimonianza dei sette anni trascorsi in bottiglia, ed il vino si presenta chiuso, poco convinto di uscire dal vetro in cui riposava. Bisogna quindi coccolarlo un poco, e aspettare che si decida: pian piano emergono i frutti rossi e un po' di liquirizia e violetta. All'assaggio si percepisce una struttura ancora ben solida, con tannini morbidi e una buona persistenza.
Da riprovare assolutamente un po' più giovane!


Gradazione: 13,5°
Prezzo: 12 €

martedì 10 settembre 2024

Asti-Aiolfi (con variante Pellicioli-Bergamelli)

La relazione originale (LS 18, 1944).
La variante (Annuario CAI BG 1954, p. 72)
Sul 1° tiro.
Bruno sul 2° tiro.
Tracciato della via.
Presolana orientale
Parete S

io me li immagino Randolfo Asti e Carlo Aiolfi in cima al Visolo nell'estate del 1944, con l'Italia spaccata in due ed il nord ancora sotto il governo-fantoccio della Repubblica di Salò. Non so se la salita sia un modo per riappropriarsi della libertà o un semplice momento di svago, ma sono lì. E, guardando la Presolana orientale, non possono non notare l'evidente direttrice di salita ed il pilastro staccato. Da qui, infatti, la linea è evidente ed invitante, molto più di quanto non appaia dal basso. Il 15 agosto salgono la via, e la relazione è pubblicata su Lo Scarpone n. 18 del 16 ottobre 1944 (e riportata nell'Annuario 1944 del CAI BG), con schizzo dell'itinerario invero alquanto approssimativo.
Passano dieci anni e anche Leone Pellicioli guarda la Presolana orientale. Nel 1954 vi apre la Pellicioli-Spiranelli e decide che la linea diretta della Asti-Aiolfi che si vede dal Visolo deve essere percorsa per intero, raddrizzando quella deviazione a sinistra dei primi salitori. Detto fatto!

Accesso: dalla Val Seriana verso il passo della Presolana; parcheggiare sulla destra in un largo spiazzo poco prima di raggiungerlo, appena prima di una chiesetta (cartello "Cantoniera della Presolana"), seguire la strada che si stacca di fronte fino al secondo tornante e lasciarla per proseguire lungo il sentiero, raggiungendo la baita Cassinelli o rif. Carlo Medici (indicazioni). In alternativa, parcheggiare qualche centinaio di metri prima sulla destra, nei pressi dell'Hotel Spampatti, e seguire la strada di fronte e subito il sentiero a destra (indicazioni per baita Cassinelli), che sale nel bosco e si congiunge con il precedente. Superare la malga Cassinelli e risalire il ghiaione (segnavia 315 per il bivacco Città di Clusone e Grotta dei Pagani), fino a giungere all'altezza della parete dello Spigolo Longo. Qui salire per una delle tracce sulla destra, raggiungendo l'attacco di Echi verticali. Proseguire in salita, superando l'attacco di Spigolando e il cordino di Emmentalstrasse, e continuare fino ad un tratto attrezzato che supera il canale Bendotti. Poco dopo si giunge davanti alla parete della Presolana orientale, dove sale la Pellicioli-Spiranelli. Si continua ancora risalendo una paretina (corda fissa) fino a giungere in vista dell'ultimo tratto di parete, dove sono evidenti due grosse nicchie. Quando il sentiero si allontana dalla parete, lasciarlo e traversare a sinistra (vaga traccia) puntando alla loro verticale. Si vedono ora altre due nicchie nerastre alla base: la via attacca tra le due (chiodo visibile).

Relazione: via con percorso molto logico e difficoltà contenute su roccia quasi sempre buona (tranne nel canalino del terzo tiro dove bisogna fare un po' d'attenzione). Il vero limite di questa via è il suo sviluppo, che di fatto è di un centinaio di metri circa e che difficilmente giustifica l'avvicinamento, a meno di non salire anche Ultimo sole o qualche linea che consenta un veloce rientro tramite calata. La chiodatura è buona, ma qualche friend è utile per integrare qua e là.
1° tiro: salire e spostarsi a sinistra, poi dritti fino ai due chiodi ravvicinati e ancora a sinistra ad una lama che si risale. Un ultimo traverso a sinistra porta ad un diedro che si attraversa per salire alla sosta. 30 m; IV, V+, V; quattro chiodi (uno con maglia-rapida), un cordone in clessidra. Sosta su tre fix con cordoni e maglia-rapida. Poco oltre c'è la sosta originale.
2° tiro: raggiungere la sosta originale e salire portandosi verso l'evidente fessura alla sua destra, che si segue fino ad un terrazzo dove si sosta. 25 m; V+, IV+; un chiodo. Sosta su cordone in clessidra. La via originale prosegue a sinistra.
3° tiro (variante Pellicioli-Bombardieri): salire dritti per bel muretto lavorato e lama, entrando in un vago diedro-fessura con roccia ed erba che si segue fino al termine, dove si cerca uno spuntone minimamente stabile per la sosta. 25 m; IV+, V+, IV+; un chiodo, un cordone in clessidra. Sosta da allestire su spuntone.
4° tiro: salire le facili rocce fino al terrazzo di sosta. 25 m, II. Sosta (della via Ultimo sole) su due fix con cordone e maglia-rapida, e fix singolo.

Discesa: dovrebbe essere possibile scendere in corda doppia lungo Ultimo sole, ma non abbiamo provato. In alternativa, proseguire per facili rocce fino a poco sotto la vetta, dove si può traversare a destra fino a congiungersi con il sentiero di discesa (bolli rossi) che si segue fino alla bocchetta del Visolo (passi di II). Da qui si può scendere a destra, ritornando sul sentiero percorso in salita, oppure salire al Visolo e scendere dall'altro versante, giungendo direttamente nei pressi della baita Cassinelli.


Avvertenza: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

sabato 7 settembre 2024

King line

Edo sul 1° tiro.
Sul 6° tiro.
Tracciato della via (rosso). In azzurro la via Solo per Bruna.
Rocca Castello
Parete E

Accesso: si risale la val Maira fino a Chiappera (fraz. di Acceglio), si superano le case e si prosegue fino al bivio successivo dove si sale verso destra. La strada sale per circa 4,5 km con tratti asfaltati e sterrati, ma ben percorribili, fino ad un parcheggio (Grange Collet; cartello di divieto di accesso). Qui si prende il sentiero che mena al Colle Greguri (poco dopo la partenza, tenere la destra e passare il torrente su un ponte; non puntare alle baite), con bella vista sulle pareti ovest di Rocca e Torre Castello. Dal Colle, ove si può visitare un bunker della seconda guerra mondiale, a ricordare l'idiozia di chi voleva alcune migliaia di morti per sedersi al tavolo del vincitore, si scende lungo il sentiero fino al quarto tornate. Da qui si segue una traccia che porta all'attacco, a sinistra di un tetto obliquo (via Rinaudo). Fix visibili e targhetta con nome.

Relazione: bella via diretta che sale la parete E della Rocca per muretti articolati e un diedro centrale. La chiodatura è buona a fix, solo un poco distanziata qua e là, ma la via è percorribile in tutta tranquillità, senza utilizzo di friend, anche perché le difficoltà indicate sono quasi sempre limitate a pochi passi per tiro; tuttavia - come al solito - portatene un paio se non siete a vostro agio. La roccia è ottima ed il percorso sempre ovvio. Tutte le soste sono attrezzate con due fix, catena ed anello di calata.
1° tiro: salire dritti fino ad un terrazzino (secondo fix un po' alto), spostarsi a sinistra e continuare per lame fino alla sosta. 30 m, 5c, sette fix.
2° tiro: salire il diedrino sopra la sosta, uscire a sinistra in placca e continuare per placche intervallate da terrazzini fino alla sosta. 35 m, 5b, sei fix.
3° tiro: salire la placca e la fessura verticale, uscendo su un terrazzino grazie ad una lama. Risalire un pilastro staccato, portarsi sulla parete e raggiungere la sosta sulla sinistra. 30 m, 5b, sei fix.
4° tiro: salire dritti per placca fino ad un vago diedrino, poi per diedro più facile fino alla sosta. 30 m, 5c, sette fix.
5° tiro: salire per i diedri a sinistra dello spigolo fino ad un terrazzo, dove si continua per diedro fino alla sosta. 40 m, 5a, sei fix.
6° tiro: uscire dal diedro e raggiungere la parete sulla sinistra. Salire la bella placca e sostare sullo spigolo a sinistra. 30 m, 5b, sei fix.
7° tiro: salire brevemente lungo lo spigolo, portarsi a destra e salire per placca fino ad una lama che consente di raggiungere la sosta finale. 25 m, 6a (un passo), sei fix.

Discesa: in corda doppia lungo la via:
1a calata: 50 m, fino alla sosta del 5° tiro.
2a calata: 35 m, fino alla sosta del 4° tiro (oppure 55 m fino a quella del 3°).
3a calata: 55 m, fino alla sosta del 2° tiro (o del 1° tiro se partite dalla S3).
4a calata: 55 m, fino a terra (o 30 m se partite da S1).


Avvertenza: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

venerdì 23 agosto 2024

Lupetti

Stefano sul 1° tiro.
Sul 2° tiro.
Stefano sul 7° tiro.
Sulla cresta finale.
Tracciato della via (azzurro), Il rosso la via
Carlo Rossano superiore.
Corno Stella (gruppo dell'Argentera)
Parete SO

Accesso: da Cuneo a Borgo san Dalmazzo e poi per la valle Gesso, superando la mitica falesia di Andonno e proseguendo fino al Gias delle Mosche, dove si parcheggia. Da qui in poco meno di due ore si raggiunge il rif. Bozano, ottima base per le arrampicate nella zona, con vista sulla parete NO del Corno Stella. Da dietro il rifugio si segue l'incredibile "strada" lastricata realizzata nel 2016 che passa dalla base dello Zoccolo del Corno Stella e diviene poi sentiero che risale il ghiaione a destra. La traccia raggiunge la parete del Corno in corrispondenza di un camino-fessura a sinistra, con corda fissa (un po' malandata) visibile. Si sale quindi verso sinistra (III) fino ad una traccia, che si segue fin quasi alla fine. Giunti sotto un tetto rossastro che sale verso sinistra, si raggiunge la base della parete dove parta la via (targhetta metallica e fix visibile; 45' circa dal rif. Bozano).

Relazione: via molto bella su roccia ottima, con chiodatura distanziata. I tiri-chiave sono il terzo ed il quinto, mentre il passo di 6a+ del quarto tiro sfoggia protezioni in stile-falesia e si supera agevolmente. Friend poco utili, ma forse qualcosa si riesce ad usare nel terzo tiro. Tutte le soste sono su due fix con anelli di calata.
1° tiro: salire la placca e portarsi a destra del tetto, superarlo verso sinistra e salire per diedro alla sosta. 50 m, 6a, otto fix.
2° tiro: salire per placche e piegare verso destra quando queste divengono più verticali, superando un muretto prima della sosta. 40 m, 5b, cinque fix.
3° tiro: salire il muretto sopra la sosta e proseguire per uno spigolo fino alla sosta. 40 m, 6a, otto fix.
4° tiro: salire a destra fino alla vena di quarzo, superare il breve strapiombo e proseguire su rocce facili, prima a sinistra e poi dritto, fino ad una placchetta prima della sosta. 30 m, 6a+ (passo), cinque fix.
5° tiro: salire a superare un muretto ed un diedro, continuando per placche fino alla sosta. 40 m, 6a, otto fix
6° tiro: passo delicato in partenza, poi proseguire per facili placche tenendo un po' la destra fino alla sosta su cengia. 40 m, 6a (passo iniziale, poi più facile), cinque fix.
7° tiro: salire e portarsi a destra, superare un muretto e proseguire su cengia fino alla sommità. 40 m, 5c, quattro fix.

Discesa: scendere a sinistra (rispetto alla salita) per traccia con ometti fino alla base dell'evidente placca che emerge tra gli sfasciumi. A quest'altezza, identificare un ometto e una corda fissa che in breve deposita alla sosta di calata lungo Esprit libre:
1a calata: 45 m, saltando una sosta.
2a calata: 40 m, saltando una sosta.
3a calata: 45 m, saltando una sosta.
4a calata: 50 m, fno alla sosta di partenza della Carlo Rossano. Da qui si può scendere lungo il canale, ma è più comodo fare un'altra calata.
5a calata: 60 m, fino al sentiero nella parte bassa delle cengia mediana. Da qui, seguire il sentiero fino ad una sosta.
6a calata: 50 m, fino alla base (o due calate da 25 m).


Avvertenza: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.