domenica 20 aprile 2025

Carema DOC Riserva 2017 Cantina Produttori Nebbiolo di Carema

Mi è capitato di recente di assaggiare due vini dealcolati, visto il gran parlare che se ne fa. Il primo era una specie di imitazione del Prosecco, troppo dolce per i miei gusti, ma tutto sommato meglio di quello che mi aspettavo (che non era granché). Galvanizzato da questa esperienza, ho acquistato un rosso dealcolato. Risultato: pessimo! Una specie di succo d'uva dolcissimo che non aveva niente, ma proprio niente, del sapore del vino, segno che c'è ancora parecchio da lavorare in questo ambito. Sono quindi subito tornato a Canossa, o meglio... a Carema, stappando subito una bottiglia che avevo acquistato in occasione di un viaggio in Val d'Aosta. Carema è infatti l'ultimo paese del Piemonte che si incontra prima di entrare nella Vallée, lungo la Statale 26 da dove si possono osservare le pergole che decorano il fondovalle.

Nonostante la superficie vitata sia di soli tredici ettari, i (piccoli) produttori sono più di quanto ci si aspetterebbe, e un centinaio di essi oggi aderiscono alla Cantina Produttori Nebbiolo di Carema, fondata nel 1960, quindi prima del riconoscimento della DOC nel 1967. La cantina produce otto vini, di cui cinque rossi, un rosato, un bianco e un metoto classico. A parte un assemblaggio di vari vitigni, un Canavese Nebbiolo e un Carema 2018 ormai esaurito, restano i due Carema, base e riserva, entrambi da uve Nebbiolo al 100% e con affinamento in botte grande per almeno 12 mesi (su un totale di 36 per il Riserva).

Il colore è di un bel granato con qualche tenue riflesso arancio, un po' per vocazione, un po' per gli anni. Ma il dubbio che il tempo passato in cantina sia stato eccessivo comincia a svanire alzando il bicchiere al naso: con qualche esitazione, si affacciano sentori di frutti di bosco, note speziate e accenni floreali. All'assaggio il vino è morbido, con alcool e acidità ben bilanciati ed i toni speziati che emergono nel finale. Un buon vino "di territorio", come si dice, che interpreta quell'angolo di Piemonte che non è ancora Vallée, ma gli assomiglia parecchio...


Gradazione: 13,5°
Prezzo di acquisto: 17 €

martedì 8 aprile 2025

Il pilastro Micheluzzi della Marmolada - 2: Walter Stösser

Stösser e Kast (Da [2], p. 77).
Lo schizzo delle vie sul pilastro tratto
dall'articolo di Stösser.

Dopo aver seguito Tita Piaz nel suo lungo lavoro in difesa di Micheluzzi nella prima parte, è ora il momento di guardare l'altro lato della vicenda, ovvero il racconto della salita di Stösser. Purtroppo non sono riuscito a reperire gli articoli pubblicati su Bergsteiger, ma solamente quello che si può leggere sull'Annuario del club alpino austro-tedesco del 1933 [1]. Anche in questo caso, la traduzione è merito di diversi siti ed il sottoscritto ha solo svolto un lavoro di revisione e di assemblaggio.

L'articolo sull'Annuario del DOeAV del 1933

Lo spigolo sud-ovest della Marmolada
di Walter Stösser, Pforzheim

Quando ripenso ai giorni trascorsi in montagna, la gioia dei ricordi si stende su esperienze sia belle che cupe. Ma c'è uno splendore speciale che si diffonde nelle belle giornate nelle Dolomiti. È perché sono state loro a incutere timore nel cuore del giovane ragazzo di Baden, a farlo rabbrividire davanti alla creazione primordiale, a insegnargli a comprendere il mormorio delle oscure foreste di montagna, l'ululato delle tempeste di foehn che si rincorrono, è perché lo hanno condotto per la prima volta nel silenzio di infiniti circhi rocciosi, lo hanno fatto salire nella luce ridente e giubilante, lo hanno lasciato combattere e vincere, gli hanno regalato momenti pieni di pura felicità in vetta? Oppure è l'abbondanza di colori, le linee che non lasciano mai che l'occhio si stanchi di immergersi in tutto lo splendore? È diventata per me una terra di desiderio, una terra di felicità e di pace. L'Alto Adige, la mia patria montana!

Quando nel 1925 giunsi per la prima volta in questo paese da favola, naturalmente furono le vie più facili quelle su cui salii per raggiungere le vette. Ma con l'amore per questi giganti unici di roccia cresceva l'abilità e con l'abilità crescevano i traguardi. Nel 1925 salii sulla vetta della Marmolada pieno di orgoglio. La comoda cresta ovest ci ha portato in cima, e siamo scesi attraverso il ghiacciaio fino a Fedaja. Il fatto che un giorno avrei potuto dominare la parete sud era impensabile per me allora, che avevo visto le montagne per la prima volta all'età di 25 anni. Eppure, solo due anni dopo, questa e molte altre classiche salite dolomitiche erano diventate nostre. L'anno successivo, quando una cima dopo l'altra cadeva lungo le vie più difficili, i miei occhi improvvisamente scrutavano la roccia non solo là dove era già stata domata da altri, ma erano fin troppo felici di indugiare dove nessuno era mai andato prima: cercavamo problemi.

È stato allora che per un'intera estate portai con me l'immagine di un gigantesco pilastro, il possente pilastro della parete sud della Marmolada. Ma l’estate finì troppo in fretta. Dalle pareti nord del Pelmo e della Civetta abbiamo osservato la Regina delle Dolomiti. Ma la speranza di una soluzione a quello che forse è il problema più grande delle Dolomiti doveva essere portata da un lungo inverno a una nuova estate.

Poi arrivò la notizia: il 6 e 7 settembre 1929 le due guide dolomitiche Micheluzzi e Perathoner scalarono la Marmolada con Christomanos attraverso il pilastro della parete sud. “La direttissima della parete sud della Marmolada”, come chiamavano questa salita gli italiani. Il problema era stato risolto.

Ma nemmeno per un momento ho vacillato nei miei progetti futuri. Anche se il problema era stato risolto, non saremmo più stati i primi, ma avremmo voluto essere i secondi a conquistare il pilastro. Perché non è stata solo la voglia di salire su vie che nessuno aveva mai percorso prima ciò che mi avvicinava alla Marmolada. È stata la salita incomparabilmente audace che mi ha affascinato.

L'estate del 1930 fu quindi dedicata soprattutto alla vetta della Marmolada. Il 2 agosto siamo andati a Canazei in Val di Fassa. Fritz Schütt di Mannheim, che mi ha accompagnato in montagna per tre anni, era con me. La sera stessa siamo saliti al Rif. Contrin, perché il giorno dopo volevamo salire lo spigolo. Ma non siamo andati oltre il Passo dell'Ombretta. Nebbia fitta - tempesta di giaccio - pioggia - neve - siamo tornati al capanno come dei barboncini innaffiati.

La mattina dopo alle 3 siamo tornati al Passo dell'Ombretta. Il tempo era bello, anche se c'era neve fresca ben sotto il passo. La stessa parete sud era coperta di bianco su terrazze e cenge. Regnava il freddo più amaro, come raramente avevo sperimentato nelle Dolomiti. Nonostante tutto, abbiamo osato tentare la via e siamo saliti per circa 100 m fino ad una placca liscia, leggermente inclinata, delimitata a sinistra da una fessura rivestita di ghiaccio - Impossibile! Dopo quattro ore di lavoro i quindici metri ghiacciati erano stati aggirati. Si raggiunse rapidamente la prima terrazza. Tuttavia le prospettive di successo della salita erano nulle, visto che il ghiaccio cresceva con l'altitudine. Si ritorna! Quasi all'attacco, una pietra mi è caduta in testa. Risultato: forte perdita di sangue e una ferita di 5-6 cm nel cuoio capelluto. Il mio amico Fritz ha prestato il primo soccorso, insieme all'ostessa del rifugio e ad una guida. Non ho seguito le cure mediche che mi erano stato consigliate per la preoccupazione che la mia libertà di movimento fosse ostacolata da una prescrizione medica. La guarigione è andata bene.

Il giorno successivo, con un tempo tristemente torbido, siamo saliti per la terza volta al passo per recuperare la nostra corda, che si era incastrata durante la discesa e che avevamo lasciato appesa a causa dell'incidente.

Il 6 agosto il tempo era relativamente buono. Ma ormai ci era chiaro che lo spigolo della Marmolada esigeva come prima condizione una serie di belle giornate. Così ci siamo rivolti ad un altro compito. Attraverso le pareti sud-occidentali della Cima Ombretta abbiamo scoperto una nuova, avventurosa via verso la vetta occidentale. Questa giornata, come nessun'altra, ci ha garantito non solo il guadagno in termini alpinistici, ma anche di cibo e vestiario: in vetta abbiamo trovato 2 lattine di carne, cibo militare in scatola del 1915, il cui contenuto era ancora in ottime condizioni. Infine, scendendo, trovammo una giacca che, a quanto pare, non era uscita da molto tempo dalle mani del sarto. Purtroppo chi l'aveva persa stava già aspettando dolorosamente la sua proprietà giù al Contrin, così la nostra speranza di poter affrontare lo spigolo della Marmolada con l'elegante abito è andata in fumo.

Dato che la situazione meteo continuava ad essere avversa, abbiamo deciso di rimandare del tutto il nostro piano per la Marmolada, sospendendolo fino a quando non ci fosse stato un radicale miglioramento. Dopo che il 17 agosto abbiamo raggiunto lo spigolo ovest dell'Antelao nelle condizioni più difficili ma con il tempo più bello, i nostri pensieri si sono finalmente rivolti di nuovo allo spigolo della Marmolada. Il tempo stava scadendo. I giorni inizialmente previsti per le Dolomiti erano finiti. Anche i piani delle Alpi occidentali dovevano essere realizzati. Ma il tempo sembrava davvero cospirare contro di noi. Quando arrivammo a Canazei, la tempesta ci inseguì attraverso Passo di Costalunga nella Val di Fassa, così che con il cuore pesante rinunciammo per un anno allo spigolo e proseguimmo fino a Bolzano, per passare da qui alle Alpi Occidentali.

Eppure, pochi giorni dopo ci ritrovavamo al Rif. Contrin. Avevamo ricevuto notizia dalle Alpi Occidentali che la quantità di neve fresca rendeva disperata ogni possibilità di salita. Nelle stesse Dolomiti il tempo era notevolmente migliorato. Cosa c'è di più naturale che ritornare al Rif. Contrin per un ultimo tentativo allo spigolo della Marmolada?

Così la sera del 22 agosto abbiamo camminato attraverso la valle di Contrin sul sentiero che ormai ci era familiare. Il 25 agosto abbiamo ripercorso lo stesso itinerario, non da vincitori. Per la prima volta, la montagna è stata più forte di noi. Eppure non eravamo dominati dal sentimento di sconfitta, perché la battaglia che abbiamo combattuto qui era più grande di una vittoria in vetta.

* * *

Ci sono strani pensieri che mi muovono mentre, il 23 agosto, inciampo ancora una volta sul ripido sentiero verso il Passo dell’Ombretta. L'oscurità incombe davanti a noi come un muro inquietante. La luce delle lanterne della zona della Marmolada danza come un fuoco fatuo davanti e dietro di noi. Proseguiamo in silenzio. I nostri piedi troveranno sicuramente il sentiero che è stato percorso così spesso.

Dove passeremo la prossima notte? Certamente non sui morbidi materassi della baita. Beh, probabilmente ci sarà un posticino in cresta, non è necessario che sia grande. Come sarà il lavoro che ci aspetta? Certamente molto duro! Ma... "Hai preso anche il foglio per la scritta?" sento improvvisamente chiedere da Fritz. "Sì, ma ci dovrebbe anche essere un pacchetto nella parete, ha detto Micheluzzi". E poi scende di nuovo il silenzio opprimente della notte. A cosa stavo pensando? Sì, sì, sarà difficile! Ce la faremo? Ma ho già scacciato di nuovo il pensiero. Fallire dove altri hanno trionfato prima di noi? Fallire, dove altri sono saliti prima di noi? Non abbiamo forse dimostrato la nostra volontà e abilità tra le più imponenti pareti dolomitiche?

Albeggia. Il giorno avanza vittorioso sulle montagne. Ci affrettiamo rapidamente verso la cima del passo. L'alito freddo che emana la valle ci fa rabbrividire. Sui pinnacoli del Catinaccio ardono i primi bagliori del sole nascente. La valle giace sotto di noi come qualcosa di lontano, di ormai scomparso. Dalle profumate nebbie mattutine emergono i giganteschi castelli del Pelmo e della Civetta, con i loro possenti precipizi settentrionali, immagine speculare della possente muraglia lungo la quale il nostro sguardo corre ora verso l'alto. La parete sud della Marmolada!

Lì lo sguardo scivola sui punti salienti della via salita da Zagonel e Bettega con Beatrice Tomasson nel 1901, sulla via diretta alla vetta trovata dai fratelli Leuchs nella seconda salita; poi guardiamo, rabbrividendo, l'orrore dell'inquietante gola della parete sud, sotto la cui caduta massi tremavamo per la nostra vita anni fa. E infine il nostro sguardo vaga sulle pareti a lastroni del pilastro fino alla vetta che, sporgendo dalla cima del Passo, si trova a ridosso delle due gigantesche pareti che si sviluppano a est e a ovest, le pareti che custodiscono la corona delle Dolomiti, lo scintillante ghiacciaio della Marmolada.

E la nostra interrogativa ricerca in questi fianchi minacciosi, apparentemente impossibili, trova la risposta nei pochi fogli di carta che tengo tra le mani: "La direttissima della parete sud della Marmolada." La descrizione della via dei primi salitori Micheluzzi, Perathoner e Christomannos. Con l'imponente parete davanti agli occhi, sono tornati i dubbi, ricordando le condizioni che ci avevano quasi costretto a tornare indietro all'Antelao pochi giorni prima, La roccia? - La superiamo. E se è bagnata? - Anche allora! E se è corazzata di ghiaccio? - La nostra volontà e capacità si sono frantumate sul ghiaccio!

Le mie braccia e le mie gambe sono febbricitanti per il desiderio di combattere, la gioia della battaglia si irradia dai miei occhi. Così mi avvicino alla parete che mi ha già visto sanguinare una volta; e poi inizia la lotta, questa gigantesca lotta con la montagna, che troppo presto diventerà una lotta con noi stessi. Con quanta rapidità e velocità progrediamo oggi, quanto più veloci di tre settimane fa, quando dopo poche prese dovevamo strofinare le nostre dita intorpidite per il freddo e scaldarle di nuovo. In una buca leggermente a destra sotto il passo si trovano ancora i resti di una baracca di guerra. Una ripida rampa conduce all'inizio della serie di camini, che attraversa la parete a destra dello spigolo fino all'altezza della prima terrazza. Numerosi strapiombi apportano una gradita varietà. La fessura diagonale viene superata al primo tentativo.

Una strana arrampicata! Si è sdraiati, con le punte estreme degli arti sinistri incastrate in una stretta fessura, distesi su una lastra completamente liscia e inclinata di pochi gradi, facendo i più folli movimenti di nuoto, eppure con tutte queste contorsioni si riesce a malapena ad avanzare di un centimetro. Si ha la sensazione che le montagne ti pesino addosso, montagne sotto il cui peso sembra di scivolare lungo la superficie levigata e involontariamente vorresti risucchiare te stesso, come l'agile lucertola che si arrampica sulle pareti come se fosse terreno pianeggiante, sfidando ogni gravità.

Sulla prima terrazza c'è un pilastro snello e aggraziato, che forma una fessura stretta con il muro giallo e sorprendentemente liscio che sale. I primi salitori hanno usato un triplo albero umano per farsi strada nella zona apparentemente impossibile della parete centrale attraverso l'incrocio di fessure fragili e con pochi appigli a sinistra. Ma dove troviamo il terzo uomo su questa parete? Quindi andiamo dritti alla fessura a destra. Uno strapiombo? Se non c'è altro, non c'è problema! Ma presto arriva altro. La fessura è stretta e senza appigli, con un piccolo sasso incastrato che cede, non sostiene il corpo. Lontano, sul pilastro, c'è una presa per la mano sinistra, la destra chiusa a pugno è incastrata, una spinta veloce, ce l'ho!

Un punto d'appoggio! Ma cosa significa punto d'appoggio sul versante sud-ovest della Marmolada? Che tutto quello che devi fare, appoggiandoti alla roccia, è inclinare la testa per poter vedere oltre le punte dei piedi e giù fino all'attacco! Che posizione! A sinistra la cima del pilastro, in alto, sopra di noi, a destra, una parete gialla, senza appigli; ciò che solitamente si intende per liscio e senza appigli. Dopo questo tratto in realtà non mi rendevo più conto né di questo né di aver sempre avuto qualcosa a cui aggrapparmi. Mi sentivo piuttosto come se avessi ingannato il mio corpo sulla forza di gravità.

Vorrei che il muro si staccasse di qualche grado dalla verticale almeno per un attimo! E così è stato: Ma non indietro, bensì in avanti! Dritto oltre il muro alto 250 m. "Sempre estremamente difficile ed esposto!". Questo è ciò che scrivono i primi salitori. Abbiamo fatto un tentativo. Ero bloccato su una spaccatura impossibile, l'impossibilità incombeva su di me come se volesse schiacciarmi! E non sono andato dritto, ma a destra fino a un impressionante pilastro staccato dal massiccio. Un chiodo! Su per il camino! Su per la parete!

Dannazione! Veniamo spinti sempre più a destra! Ma in alto? No! Per quanto possa ancora giudicare una parete, anche Micheluzzi avrebbe avuto pane per i suoi denti qui!

Decido di guardare oltre il bordo a destra, dove si doveva intravedere la gola principale. Salgo su un gradino della parete - un cornicione, un grande blocco ondeggiante... - non riesco a vedere nella gola, ma vedo una fila di camini bagnati, che inizia proprio accanto a noi e sembra essere percorribile fin molto in alto. In verticale sotto di me c'è il primo terrazzo di macerie della via della parete sud.

Il foglio di carta smarrito dai primi scalatori è nel camino! Ritroviamo così il percorso originale, la descrizione era sbagliata. Che ora poteva essere quando siamo entrati nel camino? Non lo so. Forse le 12, forse le 2. Il cronometro non ha mai avuto un ruolo importante nei nostri viaggi; basta che ci indichi l'ora di alzarci, le ore del giorno, le ore del lavoro, che ci mostra il sole. La roccia resisteva con un vigore sorprendente. I ruscelli scorrevano giù per lo stretto camino. Eravamo completamente bagnati dall'acqua ghiacciata. Pezzi di ghiaccio e di roccia sfrecciavano nell'aria.

Alcune pietre sono impilate su un piccolo gradino a formare un omino di pietra. Il bivacco dei primi salitori? Andiamo avanti, la giornata non è ancora finita. E probabilmente più in alto ci sarà un posto per la notte.

Avanti! Lottiamo con la montagna, con il freddo, con il bagnato!

Dalla nera sponda, il torrente scroscia sul tetto scivoloso. Un chiodo dopo l'altro annuncia la gravità della situazione. La corda, diventata un filo nell'acqua bagnata, pende sul corpo come un quintale e si incastra nei moschettoni zigzaganti. Le mani hanno i crampi, diventano incapaci di lavorare, si aprono. Solo lentamente torna la sensibilità. Una ferrea volontà supera la sinistra fessura.

E l'amico? In basso, in piedi nel torrente polveroso, lascia scorrere con cautela la corda di sicurezza tra le mani e osserva il compagno che si dibatte, tremante di freddo e di rabbia.

La corda, una volta così elastica, è rigida e instabile accanto a me, spessa e gonfia per l'acqua. Lo zaino si avvicina con un sorriso.

Sopraffatti dalla notte che si avvicinava, ci fermammo in fondo al camino, intriso d'acqua e di ghiaccio. Non potevamo restare lì. Ma non c'era nessun posto dove andare. A destra e a sinistra c'è il muro giallo-rosso della torre, incredibilmente liscio, che s'innalzava verticalmente, separato dalla rientranza coperta dall'acqua.

Ci siamo arrampicati nella notte e abbiamo cercato. Alla fine abbiamo trovato un posticino minuscolo. Sospeso là fuori come un nido di rondine, così audace! Coperto di macerie, ma fuori portata dai proiettili del camino.

Ci siamo sistemati pieni di speranza per il giorno successivo. Per prima cosa abbiamo rimosso le macerie, poi sono stati fissati due chiodi e tesa una corda come corrimano, alla quale ci siamo appesi con l'aiuto dei moschettoni. Poi mi sono seduto, ho preso Fritz tra le gambe e finalmente ci siamo tirati addosso il sacco della tenda. Cominciò la notte.

E arrivò con tutti i suoi mali. Sebbene all'inizio fosse ancora possibile sopportare l'umidità e il freddo dei nostri vestiti stringendoci l'uno all'altro, presto dovemmo massaggiarci a vicenda per mantenere la circolazione del sangue. Muoversi, allungare le membra, cambiare posizione: impossibile!

Quanto può essere lunga una notte così! E quanto spesso l'orologio deve mostrare il suo quadrante alla luce notturna. Ogni mezz'ora, ogni quarto d'ora viene letto. Ho messo la testa sulla spalla di Fritz, lui ha messo la sua sulla mia, quindi abbiamo provato a far passare qualche minuto.

Finalmente il giorno si svegliò! Onde di luce inondarono l'etere. Volontà di combattere desiderosa di nuova azione, volontà febbrile di vincere dopo una lunga lotta, desiderio di sole, sete di cielo azzurro. Ancora uno sguardo al mio compagno, poi mi sono lanciato con le mani rigide contro l'ultimo inquietante rigonfiamento dello spigolo sud-ovest della Marmolada.

Il torrente si era calmato, ma era ancora abbastanza forte da inzupparci di nuovo.

Una scarpa sotto una sporgenza! Fritz arriva. E adesso? Destra o sinistra? La fessura tra le due enormi pareti corre verso l'alto come un ripido canale strapiombante largo solo pochi metri. A destra un leggero avvallamento, a sinistra una fessura. Dove andare? A destra? Acqua, acqua - Ѐ impossibile! Quindi si deve andare a sinistra! Una lotta disperata. Il pugno colpisce tra le rocce, si blocca, tira il corpo più in là; la pelle si attacca alla roccia, le mani sanguinano. Cosa sta facendo! Ogni centimetro ci avvicina alla vetta.

Così abbiamo lottato. Le ore passavano ancora. Niente poteva scuotere la nostra ferma fiducia di essere vicini alla vetta. Niente? Nemmeno la caduta di ghiaccio e roccia che ricominciava, nemmeno il rinnovato gonfiarsi del torrente, nemmeno l'inquietante barriera di ghiaccio apparsa all'improvviso davanti a me? Combattere fino all'ultimo - questo è tutto ciò che pretende. Ma lei ha chiesto di più!

Il camino è diventato improvvisamente più profondo, estendendosi per molti metri nel fianco della montagna, diventando stretto e ostruito da strapiombi. E scintillanti cascate di ghiaccio si riversano sulle sue pareti, enormi aghi crescono su cenge e sporgenze, colonne di ghiaccio sostengono gli strapiombi!

Un'immagine favolosamente bella!

"Friz, senti le voci? Voci dalla cima; puoi vedere la sella lì! Non può essere lontano!"

E mi avventuro sul ghiaccio, facendomi strada tra i delicati pilastri e le pareti splendenti. La favola va in frantumi! Caddero centinaia di chili di detriti, qualche salto sopra lo scivolo di ghiaccio che ci condusse nelle profondità del camino, e poi fuori - giù.

Mi faccio strada tra il ghiaccio e la roccia, scalpello, mi appoggio, mi stendo, il martello da arrampicata sbatte! Assicurarmi? Dovrei avvolgere la corda attorno a un ghiacciolo? La roccia non permette di afferrare il chiodo. Maledizione, adesso mi salta via dalle dita, cade, scompare.

E su di noi si sta scatenando l'inferno. Il sole splende verticalmente nelle profondità dell'abisso, risvegliando molteplici forme di vita nello spazio morto da poco. Come gorgoglia e gocciola, come si lava e si allenta, come si dissolve e si frantuma, come rimbomba e cade! E noi stiamo sotto, al suo interno!

Mi faccio strada fino allo strapiombo successivo. Il martello rompe piccole tacche nel fragile vetro, le dita artigliano le protuberanze del ghiaccio, la roccia scompare sempre di più e il ghiaccio diventa sempre più potente, riempiendo il camino! Prima lentamente, indistintamente, poi sempre più tangibile, emerge davanti a me l'unica parola che doveva decidere la battaglia: Impossibile!

Pochi metri sopra di me c'era il grande tetto, il camino finale, ma impossibile: ogni passo in avanti sarebbe stato un crimine contro il mio compagno, seduto senza alcuna protezione nel camino, che verrebbe inevitabilmente gettato giù se cadessi. Non serve. La via verso la vetta è impossibile; la nostra volontà si spezza negli ultimi metri.

La soluzione è tornare indietro, per la stessa strada che abbiamo percorso.

Ritirarsi attraverso il camino ghiacciato! Scendere attraverso il ripido canale di ghiaccio!

Poi possiamo guardare giù l'inquietante percorso che dobbiamo seguire per la seconda volta, esausti, bagnati e infreddoliti, in uno stato che, senza una ferrea volontà, non è lontano dall'esaurimento completo, le corde quasi inutilizzabili per la discesa in corda doppia!

Sacrifichiamo un cordino dopo l'altro; molti chiodi fedeli ci portano finché non siamo di nuovo su terreno solido. Passiamo davanti ai luoghi in cui abbiamo lottato, il posto di bivacco, l'omino di pietra dei primi salitori. Giù attraverso l'acqua e l'orrore. Ci sono detriti di ghiaccio tutt'intorno su sporgenze e creste, spezzati in minuscole schegge. Giù! È quasi incredibile che la scomoda corda si sia incastrata solo una volta, tanto che sono dovuto risalire al chiodo per allentarla.

Risplendono le chiare macerie bianche come la neve della prima terrazza. Quanto è lunga la strada e quanto è breve la giornata. Il freddo e l'umidità stanno logorando sempre di più le nostre forze. Il camino sta per finire. Usciamo di soppiatto sulla parete attraverso il cornicione nel muro, accolti da un vento freddo e pungente e, battendo i denti, scrutiamo giù verso la terrazza. Sta arrivando il crepuscolo, la notte! Il circo è immerso nell'oscurità. Alla luce della lanterna piantiamo i chiodi nella roccia. Fritz lo tira fuori dalla tasca... e in pochi secondi colpisce le rocce. Una consolazione, non può essere lontano. Abbiamo piantato gli ultimi chiodi nell'oscurità. Poi siamo scesi, barcollando per tutta la notte fino al rifugio, dove le guide stavano già facendo i preparativi per recuperare i corpi l'indomani.

* * *

L'anno 1931 portò condizioni meteorologiche ancora peggiori del precedente. Tre giorni al Contrin sotto la pioggia e la neve hanno fatto capire fin dall'inizio che il tentativo era senza speranza. Inoltre, era l'inizio di settembre, quindi, anche se il tempo fosse stato favorevole, non sarebbe stato più possibile migliorare le cattive condizioni dell'estate.

Non eravamo gli unici a lottare per lo spigolo. Ma nessuno era riuscito ad andare oltre la prima terrazza. Qualcosa di oscuro e indicibile sembrava incombere su questa via. Avevano paura di un segreto, del velo semi-mistico che aveva coperto il grande tetto e il camino d'uscita? La prima salita dello spigolo, che negli ultimi anni era stata vista con un po' di incredulità, fu accolta da dubbi sempre maggiori. "Il Club Alpino", mi disse una volta Micheluzzi, "vuole una prova dello spigolo. Come faccio a darla, visto che quando siamo usciti nessuno ci ha visti? Può essere fornita solo con una seconda salita". Nel 1931 lo sperava da noi, dopo averlo temuto nel 1930!

Poi - abbiamo fatto una breve deviazione dal Cervino - Perathoner e la guida gardenese Glück hanno provato a scalare lo spigolo della Marmolada con un'inglese. La comitiva ha raggiunto il grande tetto e non ha fatto un passo avanti. Hanno scritto "Strapiombo impossibile passare" su un pezzo di carta che hanno lasciato sotto lo strapiombo, hanno chiesto aiuto e sono stati soccorsi poco dopo, con l'aiuto attivo di 14 guide e circa 200 m di corda. Il lavoro principale di salvataggio si dice sia stato fatto da Micheluzzi, amico di Perathoner.

Pochi giorni dopo questo tentativo, che alcuni addirittura descrivono come una seconda salita, noi - Fritz Kast di Pforzheim ed io - arrivammo ​​a Canazei. Non mancarono di informarci su tutto ciò che riguarda lo spigolo. Volevano spronarci ad imprese speciali raccontandoci dei rivali. Ma il giorno successivo ce la prendemmo comoda e scalammo la parete ovest del Pordoi per tornare alla roccia dolomitica. Per tutto il tempo precedente avevamo scalato nella roccia primaria e il mio compagno, che non aveva mai scalato in Dolomiti, avrebbe trovato lo spigolo della Marmolada come prima via dolomitica un po' eccessiva.

Dopo la parete ovest della Punta Pordoi, che probabilmente ha le stesse difficoltà della vecchia parete sud della Marmolada e ha un paesaggio di incomparabile bellezza, siamo andati al rifugio Contrin per affrontarne lo spigolo il giorno successivo.

Dove il sentiero per il passo dell'Ombretta si separa da quello per la forcella della Marmolada, gli scarponi chiodati sono rimasti sotto la stessa roccia alla stessa ora in cui 2 anni fa ci trovavamo all'attacco, il tempo era ugualmente bello. Il lavoro non era diventato più facile negli ultimi 2 anni. Era già sera quando abbiamo raggiunto il nostro vecchio punto di bivacco. Avevamo ancora circa 2 ore di luce a disposizione, ma poiché non sapevo quali fossero le condizioni più in alto, ho preferito fermarmi.

Le condizioni non potevano essere definite buone. L'intera fila dei camini era nuovamente intrisa d'acqua, segno che più in alto avremmo incontrato nuovamente del ghiaccio. Quindi, non le migliori prospettive per il giorno successivo. Ma anche sotto altri aspetti le nostre prospettive non sono migliorate. Durante la notte il tempo è cambiato, ha cominciato a piovere e il torrente accanto a noi si è ingrossato. All'alba, naturalmente, non si vedeva nulla tranne gli affioramenti rocciosi più vicini, ma la pioggia era cessata. Nonostante tutto, eravamo dominati da un solo pensiero: "Avanti!" E quando poco dopo ricominciò a piovere, a grandinare e infine a nevicare e non smise per tutta la giornata, il nostro unico pensiero fu: "Avanti! Ma non tornare più da queste parti!"

Dopo qualche tiro di corda, ci siamo trovati sotto il grande tetto: un enorme blocco copriva il camino, creando un tetto profondo circa 12 m e largo 3-4 m. L'ho visto oggi per la prima volta, anche se due anni fa ero solo pochi metri più in basso, perché allora era completamente sepolto sotto i piloni di ghiaccio.

Le opzioni per superare il tetto furono rapidamente esaurite. Forse solo la parete destra poteva essere affrontata se la roccia fosse stata completamente asciutta, ma questa situazione ideale è improbabile che si verifichi qui, a parte il fatto che oggi la pioggia e l'acqua ghiacciata scorrevano insieme lungo le pareti in un grande torrente. Nel fondo del camino c'era il già citato biglietto del gruppo di Perathoner.

Per quanto sarebbe stato comodo sedersi sotto il tetto asciutto, non abbiamo avuto il coraggio di farlo. Perché solo questo tetto ci separava dal camino d'uscita, che, una volta raggiunto, doveva portarci completamente fuori. Il mio primo pensiero è stato quello di una traversata con la corda, che potesse essere utilizzata per uscire dal camino fino a quando non si sarebbe potuto afferrare una sporgenza dall'esterno. Ma cosa splendeva così forte lassù attraverso il tetto? Una fessura tra la parete e il blocco! Ero già lassù cercando di ingrandirla. Macerie, piccoli blocchi, ghiaccio. Gocciolava, rimbombava, l'acqua scorreva dentro; i miei vestiti presto divennero solo stracci sporchi e bagnati che si attaccavano al mio corpo. Due opzioni: o rendere il buco abbastanza grande da poterci scivolare dentro, o almeno gettarvi dentro la corda per poter scavalcare lo strapiombo dall'esterno. Fritz mi ha sostituito e ha buttato negli abissi diversi pezzi di ghiaccio, ma il buco era troppo stretto per la nostra statura.

Corde passanti: una corda di sicurezza, una corda di traversata. Naturalmente, entrambe adesso erano appese all'esterno. Si raggiungevano scendendo dal camino. E poi la manovra decisiva: Fritz si è seduto nel camino e mi ha assicurato. Ero seduto sulla corda di traversata, che ora correva all'esterno sopra la sporgenza e attraverso il foro tornava sotto il tetto, dove era sostenuta da un chiodo. Tutto quello che dovevo fare ora era lasciarmi andare e volare sotto lo strapiombo, ormai superato dopo alcuni rapidi strappi. Sono arrivato alla fine di un ampio canale di ghiaccio, che dopo circa 60 m conduceva al camino finale. C'erano già tracce della cima, il tetto di una vecchia baracca di guerra!

Ora bisognava sostenere la corda di traversata sullo strapiombo per Fritz, un lavoro che finalmente è riuscito dopo una lunga, lunga ricerca. Poi anche Fritz è riuscito a lasciarsi alle spalle il tetto gigante.

Ma la speranza di arrivare vicini alla meta è stata amaramente delusa. La pioggia si abbatteva su di noi senza pietà. Il camino finale, che doveva essere facile, si è rivelato un'enorme serie di camini strapiombanti, ghiacciati, fragili, bloccati, lisci, che pendevano ancora circa 150 m sopra di noi. Un torrente selvaggio scorreva tra le pareti. Ma cos'altro potevamo fare se non passare? Il freddo gelido e l'acqua impetuosa hanno prosciugato il meglio delle nostre forze. Con un'energia ferrea ci siamo fatti strada camino dopo camino. Il freddo ci scuoteva così tanto che battevamo i denti, era impossibile stare in piedi liberamente, le nostre gambe tremanti non riuscivano più a sostenere i nostri corpi. Solo quando ogni muscolo era teso durante l'arrampicata, il lavoro costringeva i nervi a fare nuovamente il loro lavoro.

Alle 4 del pomeriggio, dopo le ore più inquietanti, raggiungemmo finalmente la cima della Marmolada, dove alcune baracche diroccate testimoniano ancora la guerra delle Dolomiti. Siamo usciti tra la pioggia battente in un temporale sferzante e solo la consapevolezza che un tetto, vestiti asciutti e tè caldo ci aspettavano laggiù nella valle ci ha permesso di scendere velocemente sulla cresta occidentale. La gioia della vittoria riuscì a riempirci solo in sordina. Solo quando fummo di nuovo tornati a terra con gli scarponi ci uscì dal petto il primo grido liberatorio e lentamente scendemmo verso il rifugio.

Considerazioni

In tutta questa storia, Walter Stösser fa la figura del cattivo. Dalle lettere è abbastanza ovvio, come rileva anche Tita Piaz (vedi parte 1), che non crede alla salita di Micheluzzi, non perché la notizia non gli sia giunta (come scrive Doris [3]), ma perché la ritirata della cordata Perathoner-Gluck, assieme ai dubbi reali o presunti, lo convincono del contrario. Anche questo scritto dalla prosa colorita e brillante (per citare sempre Ettore [4]), affascinante ma non scevra di retorica dell'eroismo (la si confronti con la relazione dei primi salitori!), è denso di doppi sensi, dal riconoscimento formale della salita di Micheluzzi nella fase iniziale ai dubbi in quella finale, e non mi pare quel pieno e leale riconoscimento di cui parla Castiglioni [4]. Eppure, il semplice fatto che la tecnica per superare il tetto sia spiegata chiaramente nella relazione di Micheluzzi (che Stösser conosceva bene e cita nelle salite precedenti, ma non quando lo supera) mi pare una chiara indicazione della priorità nella salita. Carlo Mazzariol su Le Alpi Venete [5] dice a p. 138 che

Stösser spiegò che il malinteso nacque nel momento in cui, a Canazei, gli fu riferito solamente di un tentativo avviato dalle guide Perathoner e Gluck e conclusosi sotto il "grande tetto".

ma abbiamo visto che anche questa versione non regge. Forse però non bisogna essere troppo severi; probabilmente Stösser non voleva vedere le prove della salita precedente perché lo spigolo era troppo importante per lui. Come dargli torto?

Se alla fine si sia intimamente convinto della salita di Micheluzzi, al di là delle dichiarazioni di prammatica, non lo sapremo mai: il 1 agosto 1935 cade durante una salita al Morgenhorn, nell'Oberland Bernese. A parte l'elenco dei caduti in montagna del 1935, da noi non si registrano commemorazioni; solo nel 1941 esce su Le Alpi [6] una recensione del libro di Paul Huebel Der Bergsteiger Walter Stösser in cui le sue numerose imprese sono ricordate. Al netto dei richiami al martirio e al sacrificio che risparmio ai lettori (e che nel 1941 si sarebbero invece dovuti spendere contro l'idiozia di chi aveva trascinato l'Italia in guerra), estraiamo le ultime righe della recensione:

Stoesser ebbe la buona sorte di non esser vittima di un attimo di smarrimento, di una debolezza sempre possibile: al Morgenhorn, duecento metri sotto la vetta, un blocco di neve ghiacciata, staccatosi di colpo, rovesciò Seybold, il compagno di cordata. Stoesser fu strappato a sua volta. Il racconto del teste oculare, il bravo custode del Rifugio Gspaltenhorn, è di una elementare tragicità. Una rozza croce di legno, in vista della immane parete del Morgenhorn, ricorda Stoesser, vittima, non vinta, della montagna.

C'è ancora spazio per una terza parte, sugli altri protagonisti della vicenda.

Bibliografia

[1] Walter Stösser, Die Südwestkante der Marmolata, Zeitschrift des Deutschen und Oesterreichischen Alpenvereins 1933, pp. 209-218.
[2] Dante Colli, Storia dell'alpinismo fassano, Tamari (Bologna), 1999.
[3] Lorenzo Doris, Storia dell'alpinismo dolomitico - dalle origini al 1957, Nordpress, Chiari (BS), p. 91.
[4] Ettore Castiglioni, Le pareti della Marmolada, Rivista Mensile del CAI 1937 n. 3, pp. 92-101.
[5] Carlo Mazzariol, Walter Stösser - una storia, Le Alpi Venete 2014 n. 2, pp. 133-139. Disponibile qui.
[6] Carlo Sarteschi, Der Bergsteiger Walter Stoesser, Ein Buch der Erinnerung - Herausgegeben von Paul Huebel Gebr. Richters Verlagsanstalt, Erfurt, 1940, Le Alpi 1940-41 n. 3-4, p. 64.

domenica 9 marzo 2025

Il pilastro Micheluzzi della Marmolada - 1: Tita Piaz

La salita di Micheluzzi, Perathoner e Christomannos

Il nostro viaggio nella parete S della Marmolada non può che iniziare con la guida CAI-TCI Odle Sella Marmolada di Ettore Castiglioni, che ne delinea rapidamente la storia alpinistica [1]. Tralasciando le salite da nord, si contano quindi la Tomé-De Toni-Farenzena (1897) al canale della S'Cesora, che però giunge in cresta a 2 km circa dalla cima, e la Bettega-Zagonel-Tomasson del 1901 (qui il racconto di Matteo su Beatrice Tomasson) con relativa variante dei fratelli Leuchs nel 1902. Dice poi Ettore (p. 496):

Infine il 6 e 7 settembre 1929 le guide L. Micheluzzi e R. Peratoner con Cristomannos aprivano sullo spigolo S un itinerario "direttissimo" che è veramente un ideale di logicità e di arditezza (Boll. S.A.T. 1929-30 pag. 121, Bst., 1930 - 147, Zt. 1933 - 209).

Di questa salita, che è ormai considerata il primo "vero" sesto grado italiano, si è detto molto. Lasciamo il riassunto a Lorenzo Doris in Storia dell'alpinismo dolomitico - dalle origini al 1957 [2]:

Una sconosciuta guida di Canazei, lontana dalle polemiche e dagli ambienti di rito, e digiuna dei conflitti etici in corso, realizza un itinerario della più ferrea logica antica, "dove ogni metro fuori via è stupido ed inutile". Ѐ Luigi Micheluzzi, ventenne, coinvolto da Roberto Perathoner e Demetrio Christomannos che armati di una corda di canapa, due martelli e sette chiodi, innalzano di nuovo il limite dell'arrampicata. Micheluzzi è arrampicatore istintivo che si allena regolarmente sui sassi vicino a casa.
I tre, dopo un bivacco in un'umida e fredda gola, aprono una via con diversi passaggi di 6°. Nella parete finale inoltre superano un tetto con brutale ed atletica arrampicata d'incastro. Lì Micheluzzi perde dalla tasca la 'luganega' (salsiccia) e la pipa, suoi 'attrezzi' indispensabili da bivacco: "Anche la pipa ho perso, porca miseria, quella sì che mi è dispiaciuto."
A sostegno di quest'impresa, che sarà presto dimenticata e dovrà aspettare i giudizi di Hermann Buhl, Jean Couzy e Reinhold Messner per essere rivalorizzata, citiamo il numero di chiodi usati, ben 6 ! e la parete superata: la sud della Marmolada.
Osservatore privilegiato, 'Tita' Piaz che si trova a percorrere una via adiacente. Toccherà a lui difendere Micheluzzi da Walter Stösser che, ripetuta la via, intende appropriarsene come prima ascensione. Ciò accade perché la notizia della salita italiana non giunge agli alpinisti di lingua tedesca.
Ѐ il primo 6° della Marmolada.

Anche Vittorio Varale ne La battaglia del sesto grado [3] menziona questo "increscioso incidente". Ce n'è abbastanza per approfondire la questione!

Iniziamo dunque con la relazione originale degli apritori, tratta dall'Annuario 1929-30 della SAT [4], che dovrebbe essere leggibile e che quindi non trascrivo:

La relazione è molto stringata, ma contiene le informazioni essenziali per la salita, in particolare nel tratto-chiave della "finestra" che si supera con un pendolo facendo prima passare una corda attraverso un foro. La salita non ha l'eco che meriterebbe, la Rivista Mensile del CAI non ne parla, Lo Scarpone neanche... o almeno, non fino al 1932, quando compare un allarmato articolo di Franco Dezulian, La "direttissima" della Marmolada - chi ha fatto la prima ascensione? [5] che racconta dei numerosi tentativi dell'alpinista tedesco Stösser al pilastro della Marmolada, e di come la sua ascensione nel 1932 sia stata salutata in Germania come prima salita. Dezulian ricostruisce la cronologia degli eventi, e chiosa infine:
Questa impresa, per troppa fretta di cronisti o per troppa evidente partigianeria di ammiratori fanatici, non certo per volontà di Stösser che ormai nel 1930 aveva ammessa senza riserve la priorità di Micheluzzi e Perathoner, è stata erratamente e impropriamente chiamata e glorificata come prima ascensione [...].
Ora, nel ristabilire le giuste relazioni di precedenza in questa eccezionale impresa
[...] noi non intendiamo affatto diminuire l'operato di Stösser e Kast: D'altra parte crediamo questi troppo onesti e troppo cavallereschi per permettere l'affermarsi di una leggenda, che avrebbe per base troppo evidenti premesse di inesattezza e di ingiustizia.
Noi intendiamo semplicemente rivendicare alle guide di Fassa Luigi Micheluzzi e Roberto Perathoner l'onore della prima scalata della « Direttissima » della Marmolada.
Sulle idee di Stösser torneremo più in là; per il momento non resta che notare che la pur puntuale ricostruzione di Dezulian (che riporta la salita anche in un articolo sulla Rivista Mensile del febbraio 1933 [6]) resta circoscritta all'ambito locale, visto che difficilmente a Monaco si leggeva il foglio in questione. E del resto, da bravi italiani noi ci mettiamo del nostro: su Alpinismo (la rivista del CAI Torino) del gennaio 1933 [7] si legge a p. 15 la cronologia delle prime cinque ascensioni, dove la salita di Micheluzzi è spostata al 6-7 settembre 1932 (anziché 1929), quindi successiva a quella di Stösser, mentre nel numero di ottobre 1935 [8] a p. 242 si attribuisce la seconda salita a Castiglioni-De Tassis, facendo altra confusione. Sorprende anche, e non poco, che di fronte ad una faccenda di una certa rilevanza non si levi altra voce che l'articolo de Lo Scarpone. Niente sulla Rivista Mensile del CAI, niente da parte della SAT. E qui entra in gioco Tita Piaz.

Le lettere di Tita Piaz

Le pagine di Roccia del 1933.

Quando nell'ormai remoto 2016 riuscii a vedere il diario fotografico di Eugenio Vinante, feci la conoscenza del periodico Roccia, dove furono pubblicate le notizie di alcune salite del forte alpinista vicentino. Roccia uscì nel 1933, con 26 numeri a partire dal 18 febbraio fino al 4 novembre; la sede a Milano, come Lo Scarpone verso cui si poneva in concorrenza. Concorrenza breve, in realtà: Lo Scarpone già dai primi numeri del 1931 pubblica la rubrica Nelle Sezioni del C.A.I. assieme ad una pletora di altre notizie "caiane", sì che dal 1933 diventa organo ufficiale del CAI Milano e via via di altre Sezioni, tagliando fuori le altre riviste. Roccia è presto dimenticata, eccezion fatta per questo articolo sulle pubblicazioni di alpinismo, ma compulsando qua e là vi si può trovare qualcosa di interessante: nel numero di settembre 1933 [9] vi sono infatti due pagine assai pertinenti al nostro caso. Ecco il testo:

La "direttissima" sull’impervio spigolo S della Marmolada rivendicata da Tita Piaz a una cordata italiana
Dichiarazioni, lettere, polemiche dicono che Micheluzzi - Peratoner - Cristomanno furono i primi salitori del superbo spigolo - Stösser e Kast detengono la “seconda” assoluta.

Il trionfo della verità

Fra i migliori e impervi ammassi di dolomia si erge poderoso nella sua cruda verticalità il Sud della Marmolada che per molti anni rimase uno dei grandi problemi insoluti dell'alpinismo. Nel 1929 una cordata di nostri arrampicatori tentò la superba conquista e riuscì nell'intento, segnando una « direttissima »; ma la panciafichista incertezza, i dubbi amletici vagamente accennati, le dicerie da comare di mezzoborgo sollevati da qualche persona tendenti a negare la vittoriosa conquista degli italiani trovarono facile esca nel cervello di un giornalista germanico cui non parve vero - quando l'alpinista Stösser compì la seconda ascensione - di blaterare ai quattro venti la notizia che diceva: « Una nuova vittoria tedesca nelle Dolomiti».

Orbene successe il buffo caso che si credette di più alle dicerie mormorate a mezza voce e al trafiletto dello zelante cronista tedesco, che non a persone autorevoli, in grado di dimostrare alla luce del sole la verità. C’è voluta la pazienza, l'amore allo sport da arrampicamento di Tita Piaz, alpinista magnifico fra i rocciatori, perché dicerie e trafiletto fossero quotate al loro giusto valore, che in quanto a obiettività di giudizio, vale zero.
Tita Piaz, dunque, ha raccolto dichiarazioni e dati di fatto, ha parlato coi protagonisti dell’ardita impresa, ha tenuto corrispondenza polemica coi tedeschi del Bayerland, e oggi è in grado di dire a tutto il mondo che lo spigolo sud della Marmolada è stato scalato per la prima volta in « direttissima » da una cordata italiana. E lo dice qui, su queste colonne.

Nella relazione del Piaz v’è una testimonianza decisiva: quella della signora Jane Tutino Steel, suddita americana [nota: in realtà inglese, a parte il fatto che gli americani non erano "sudditi", mentre lo eravamo noi, e pure di un re imbelle], la quale, in corda fra Gluck e Peratoner, tentò - pur non riuscendo - la seconda assoluta della « direttissima ». Si ha da sapere che la parte più difficile della salita è rappresentata dal primo tratto, che culmina ad un tetto roccioso terribilmente strapiombante. Questo tetto è forato, sì che l'alpinista non deve superarlo all'esterno, ma internamente, appunto attraverso al pertugio. Le due guide e la signora Tutino giunsero fino lì (poi furono recuperati dalla cima perché il pertugio era chiuso dai ghiacci) e videro, piantati nella roccia, appena sopra il tetto, due chiodi. Chi mai ce li aveva piantati?

Pensaci su, caro lettore, leggi quel che dice Tita Piaz, e poi ti accorgerai di avere, sulla faccenda, un'idea tua - che certo sarà quella giusta, - chiara e inconfondibile.

Dice Piaz…

Il giorno 6 settembre 1929 la cordata composta da Luigi Micheluzzi, Roberto Peratoner e Cristomanno attaccava il gran Pilastro della Marmolada, ed il giorno seguente dopo un cattivo bivacco, in linea ideale, raggiungeva la cima. Di tale ascensione il Micheluzzi inviò alla S.A.T. del C.A.I. una relazione che se non è proprio un saggio letterario, né un modello di perfezione descrittiva, non c'è da farsene meraviglia, essendo il Micheluzzi, come le altre guide, fatte poche eccezioni, un magnifico arrampicatore e non un letterato. Il 4 agosto 1930 il signor Stösser di Pforzheim assieme a Schutt tentò la stessa scalata ma, ostacolato da pessime condizioni, tornò dopo la prima terrazza. Va notato che nell'andata al Contrin passando per Canazei, i due si incontrarono con Peratoner il quale dette loro delle informazioni preziose ed accennò soprattutto ai due chiodi infissi ancora sopra il grande tetto ed al laccio di una corda lasciato da Cristomanno sopra lo stesso.
La sera del 3 agosto Micheluzzi, venuto a conoscenza dei due signori che avevano intenzione di ripetere la sua via, e della diceria circolante in Canazei che avrebbero pagato 700 marchi per una guida che li accompagnasse, chiamò Stösser al telefono e si offerse come guida, ciò che Stösser declinò. Anche Micheluzzi disse a Stosser dei due chiodi.
Il 23 agosto dello stesso anno Stösser e Schutt ritentarono ancora una volta inutilmente (vedi « Der Bergsteiger » dicembre 1930, gennaio 1931).

Alla fine di agosto 1931 Stösser in compagnia di Kast ritenta per la terza volta la scalata arrivando non molto distante dal « gran tetto » ove inesorabili masse di ghiaccio li costrinsero alla ritirata.

Il giorno 18 agosto 1931 la signora Tutino Steel, accompagnata dalle guide Roberto Peratoner e Gluck Ferdinando con alquanta esotica originalità, vuole accertarsi della possibilità della scalata (da alcun tempo messa in dubbio) ed eventualmente compiere la seconda. Essendo il buco nel « gran tetto », ove la prima cordata aveva passato la corda e con manovra poi vinto, spietatamente ostruito da ghiaccio, la cordata Peratoner dovè essere recuperata dalla cima.

Alcuni giorni dopo Stösser ritorna all'assalto con Kast, raggiunge il « tetto », trova il buco già indicatogli da Peratoner che frattanto ed in seguito al lavoro di Peratoner e Gluck s’era aperto o quasi, lo sfrutta e come i primi, supera lo strapiombo al di fuori per la corda e raggiunge così la cima.

Qualche giorno dopo, due giovanotti di Gardena a piedi nudi, raggiungono la cima senza bivacco, passando il capo cordata stesso per il noto buco, frattanto ingranditosi.
Questa la cronistoria della « Direttissima ».

La serie di allegati spiegano l'opera mia tendente a rivendicare alla cordata Micheluzzi l'indiscutibilissimo merito della « prima scalata » della « Direttissima ».

Noto che un giorno, venuto a conoscenza che Stösser si trovava al Contrin, lo chiamai al telefono e gli dissi che mi sembrava utile un abboccamento nel suo interesse, in quello dei primi scalatori e dell'alpinismo in generale. Rimanemmo d'accordo che egli, tornando a Canazei, mi avrebbe chiamato al telefono per un rendez-vous. Stösser partì da questi paraggi senza essersi fatto vivo. Ma veniamo agli allegati.
Tita Piaz

I documenti allegati

Passo Pordoi, 15 novembre 1932
Egregio signor Stösser,
sono stato reso attento di una notizia della M.N.N. del 9 settembre la quale qualifica la sua salita della « Direttissima » della Marmolada come prima salita. Pur non conoscendola personalmente ho rigettato con indignazione il sospetto che la suddetta notizia sia stata pubblicata in seguito a una sua corrispondente asserzione, poiché io so che alpinisti del suo calibro non marciano su simili vie.
Non soltanto nella mia qualità di testimonio della « prima scalata » di Micheluzzi e come uno dei più vecchi alpinisti attivi, sento il dovere morale di far fronte a questa sciente ed incosciente alterazione della verità, ma perché altresì io mi associo all'opinione di Lammer che non esistono « montagne tedesche né italiane né tibetane », che il valore pedagogico dell'alpinismo conferisce a questo il diritto di rivendicare per sé una classe superiore a quella di una semplice associazione di giocatori di foot-ball e perché io sono dell'idea che simili mistificazioni a scopo di « reclame nazionale » rendono all'alpinismo un cattivo servigio…

Ora, prima che io prenda pubblicamente posizione come testimonio (io li vidi all'attacco e osservai la scalata fin sulla prima terrazza salendo io in quel giorno per la via normale ed essendo stato il giorno seguente richiesto telefonicamente di guidare una spedizione di salvataggio che in seguito divenne superflua), vorrei pregarLa di comunicarmi se Lei sa qualche cosa di più preciso di questa disgustosa vertenza e se forse è già avvenuta una relativa rettifica.
Non riesco a sottrarmi alla convinzione di agire nello spirito Suo stesso di alpinista, se io cerco di porre bastone tra le ruote e dei piccini speculatori nazionalisti e cerco di dare a Cesare quel che è di Cesare.
Per una sollecita risposta, ringrazio sentitamente in anticipazione.
Con alpini cordiali saluti
Tita Piaz


Munchen, 28 novembre 1932
Egregio Sig. Piaz,
Ci perviene il contenuto della sua lettera diretta al nostro socio Stösser di Pforzheim e ci permettiamo di comunicarle in merito quanto segue:
Stösser stesso non ha mai asserito di essere il primo scalatore della « Direttissima » della Marmolada e non è quindi l'ispiratore di quella notizia di giornale. Se qui si asserisce che Stösser abbia fatto la prima scalata, ciò va attribuito alle diverse dicerie che circolano in Canazei, ad espressioni di persone abbastanza bene informate, ed inoltre a molteplici e assai strane circostanze. Ciò fu pure la causa che lasciò sorgere in Stösser stesso dei dubbi sulla salita del Micheluzzi. Del resto nella vertenza lei non c'entra del tutto, giacché nessuna parte si pone in dubbio che Micheluzzi abbia attaccato la parete, ciò che Lei superfluamente vuole testificare.
Sono divergenti le opinioni se egli invece abbia condotto a termine la salita. Onde chiarire la cosa ci siamo già rivolti a competenti personalità del C.A.I. Infine per ciò che concerne il pensiero nazionale rispettivamente gli « scopi di reclame nazionale » Lei è il primo che lo tira in ballo.
E’ inutile quindi entrarne in merito.
Con alpini saluti,
A.V.S. Bayerland e V. I. Vorstand:
(firma illeggibile)


16 novembre.
Egregio signore,
Non so se le sia noto che si pone in dubbio la prima « Direttissima » della parete Sud della Marmolada da parte della cordata Micheluzzi e che si dice anzi che un altro se l'è aggiudicata.
Ora io vorrei prendere posizione di fronte a tale piccina mistificazione e ridare a Cesare ciò che è di Cesare tanto più che parecchi dubbi diventano sempre più insistenti. Mi si dice che Lei si trovava sulla vetta della Marmolada quando la comitiva Micheluzzi arrivò in cima ed io Le sarei molto grato se sapesse dirmi qualcosa di positivo in merito, rendendo così notevole servizio alla verità e alla serietà dell'alpinismo.
Ringraziandola anticipatamente invio cordiali saluti alpini.
Tita Piaz


Brescia, 22 novembre 1932
Carissimo signor Tita Piaz,
mi fu stata consegnata ieri la sua gradita lettera di certo un po' in ritardo e sento dalla sua accennata, questo giusto diritto. Io le posso più che garantire che quando mi trovai in vetta alla Marmolada arrivarono due giovanotti. Non so se era la famosa comitiva Micheluzzi. Due giovanotti arrivarono sulla vetta alle 11 circa dopo aver bivaccato su un piccolissimo ripiano la notte precedente e furono poi raccontati tutti gli sforzi compiuti durante la prima « Direttissima » della parete Sud della Marmolada. Certo erano due simpatici e forti trentini.
Ora non posso garantire di più che vedere le loro persone o fotografie ma vestiti però da alpinisti.
Riceva i migliori saluti alpinistici e sempre possibile dove sono buono.
Da notarsi che eravamo sulla fine pressapoco del mese di agosto, di questa ascensione di tre anni fa.
Mi creda
Ugo Alfredo Masneri


DICHIARAZIONE
Io sottoscritto Dantone Angelo, Guida Alpina autorizzata, del C.A.I., dichiaro che il giorno 7 settembre 1929, accompagnai dalla base del ghiacciaio alla vetta della Marmolada e ritorno al Rifugio Venezia, il signor Ugo Alfredo Masneri, socio del C.A.I. di Brescia. Siamo arrivati in vetta alle ore 11,25 restando colà fino alle ore 12,30. In fra questo tempo che noi eravamo in vetta, arrivò dalla Parete Sud e precisamente per la via « Direttissima » scalata per la prima volta, la guida Micheluzzi Luigi e Roberto Peratoner con lo studente Cristomanno. Questo posso io testificare sulla mia parola d'onore.
Angelo Dantone
Guida Alpina, Socio del C.A.I.
Canazei, li 11 dicembre 1932


Trento, 4 febbraio 1933-XI
Carissimo Tita,
La tua cartolina del 26 dicembre diretta alla SAT venne scovata dall'amico Strobele il 30 gennaio e ieri me la fece vedere, sapendo qualche cosa della faccenda, m’incaricai di risponderti ed eccomi pronto ad esporre quello che so.
A suo tempo Micheluzzi mi fece pervenire la relazione della nota ascensione, che curai nella forma espositiva onde pubblicarla, come venne fatto nel penultimo annuario della SAT. Qualche mese dopo, parlando con degli amici, seppi che negli ambienti tedeschi si metteva in dubbio quanto aveva asserito il Micheluzzi. Venuto poi a contatto col Micheluzzi stesso, gli feci presente l'incredulità degli alpinisti tedeschi al che egli rispose che poteva contare sulla tua testimonianza in quanto che tu quel giorno eri al Contrin e compivi l'ascensione della solita Parete Sud. Aggiunse inoltre che egli era disposto a ripetere l'ascensione verso il compenso di un importo non minore a lire 5.000 (diconsi lire cinquemila!).
So poi che altri poi hanno compiuto l'ascensione seguendo l'itinerario Micheluzzi e compagni, ciò che sta a dimostrare che detto itinerario, pur essendo estremamente difficile, non presentava passaggi impossibili come hanno trovato altri salitori e tedeschi ed altre guide locali.
Con i più cordiali saluti,
aff.mo Fabbro


Passo Sella, 31 luglio 1933
Caro Tita,
Avendo sentito dell'ultimo tentativo di Stösser per prendere come sua prima ascensione la « Direttissima » Marmolada Sud, ti scrivo per ripetere quello che già ti ho detto. Come sai, noi, cioè Glük, Peratoner ed io abbiamo fatto questa ascensione il 20-21 agosto dell'anno passato ed io ho voluto farlo prima che Stösser avesse potuto ritentare per poter vedere se si trovassero delle prove assolute della riuscita della prima salita Micheluzzi-Peratoner-Cristomanno. Naturalmente a Peratoner non ho detto con quale scopo sono andata. Peratoner mi aveva già detto del buco sotto il tetto dello strapiombo, anzi ci siamo fatti fare una lunga sbarra di ferro appositamente per sfondarlo se fosse intanto turato.
Glük ed io siamo rimasti persuasissimi del fatto che la prima ascensione è stata fatta da Micheluzzi-Peratoner-C. per varie prove, la più positiva delle quali essendo i due chiodi sopra il tetto dello strapiombo. Questi chiodi il Peratoner mi ha descritti prima di passare lo strapiombo e una volta su li ho trovati tali e quali come egli mi aveva detto. Tutta la maniera di Peratoner nell'indicarmi la posizione del piccolo buco dove avevano passato la corda, la manovra fatta per passare lo strapiombo, ogni cosa era la chiara prova che l'avevano già fatta - e poi i chiodi non si piantano da sé! Sarei molto addolorata se si continuasse a dubitare del fatto che Micheluzzi-Peratoner e C. abbiano fatto la prima ascensione giacché io ho rimesso non poco per provare che l'ascensione spetta a loro e non mica al signor Stösser.
Con cari saluti
tua Jane Tutino-Steel


Pordoi, 1 giugno 1933
Al Presidente della Sezione Bayerland
Monaco
Egregio Signor Presidente,
Appena oggi posso rispondere alla Sua del 28 novembre 1932 e spero d'essere in grado di poter eliminare una buona volta definitivamente l'incresciosa vertenza della « direttissima della Marmolada ». A questo scopo mi sembrò della massima importanza la raccolta rigorosamente oggettiva di dati di fatto e non di semplici supposizioni e dicerie.
La copia della lettera del dott. Fabbro a me diretta, smentisce l'asserzione della Munchner Neueste Nachrichten del 9 ottobre [in realtà settembre] del 1932 che Micheluzzi rimase debitore al C.A.I. delle richieste prove della sua scalata (allegato A). Gli allegati B e C sono le dichiarazioni dei due che presenziarono all'uscita della cordata Micheluzzi dalla « direttissima della Marmolada ».
Per quanto riguarda la mia ingerenza, Egregio Signor Presidente, mi rincresce il doverLe dire che Lei è in errore credendo che io non c'entri né punto né poco nella vertenza, e la mia immodestia è tale da farmi un po' meravigliare che Lei ignori affatto che io in questi paraggi nel capitolo « salvataggi » comparisco non di rado in scena e forse con più frequenza quando, per motivi umanamente comprensibili, i salvatori non si annunciano proprio a frotte, e quando necessita arrischiare un po' eventualmente la pelle (favorisca scusare questa mia debolezza).
Orbene al 7 settembre del 1929 mentre mi trovavo sulle Torri del Vajolett venni chiamato d'urgenza perché non si aveva notizie della cordata Micheluzzi e si temeva una disgrazia.
Io discesi tosto al rifugio del Vajolett e da colà telefonai al Contrin di inviare ancora una volta qualcheduno al passo Ombretta per esplorare la parete della Marmolada, che io frattanto sarei accorso. Poi precipitai a Perra, mi recai con un'auto a Canazei dove in fretta e furia misi insieme un paio di guide. Qui la signora Rosina Jori, direttrice del rifugio Contrin, mi chiamò al telefono notificandomi che l'uomo inviato all'Ombretta era tornato senza aver visto né udito nulla della cordata mancante. Io dissi alla signora Jori che mi sarei recato immediatamente a cavallo verso il Contrin e che se frattanto si dovessero avere delle buone notizie riguardanti la partita Micheluzzi, volesse avere la bontà di spedirmi qualcuno incontro a ciò io potessi tornarmene. Difatti, arrivato non molto lontano distante dal rifugio Contrin, mi venne incontro il portatore Faber il quale mi disse che la cordata Micheluzzi era arrivata alla cima e stava precisamente scendendo. E infatti io potei scorgere col mio binocolo la suddetta partita che scendeva giù per il ghiaione della Forcella Marmolada. E allora me ne ritornai.
Per quanto riguarda la Sua asserzione relativamente al « pensiero nazionale » mi vedo costretto a renderLa attenta di un nuovo errore da parte Sua: non io sono il primo che lo tira in ballo, ma colui che pubblicando la notizia della scalata di Stosser usò il titolo « Una nuova vittoria tedesca nelle Dolomiti ». Fin dalla mia prima giovinezza ho sempre considerato simili mancanze di buon gusto come una perfetta profanazione dell'alpinismo e come tali cordialmente odiate. L'alpinismo, il grande consolatore ed educatore dell'anima umana, abbassarlo macchiavellisticamente fino a mezzo allo scopo, mi sembrò sempre un basso sabotaggio di un puro fattore culturale. Io devo quindi deplorare vivamente questa Sua incredibile incomprensione della mia concezione alpina che al tempo stesso mi fornisce delle preziose spiegazioni sul tono non soverchiamente lusinghiero della Sua lettera.
In fine mi permetto ancora l'osservazione che mi riesce assolutamente (o quasi) incomprensibile che Stösser abbia incaricato la sezione elite del D.O.A.V. di rispondere alla mia lettera indirizzata a lui ed in certo qual modo di sostituirlo nel precisare il suo punto di vista. Io debbo confessare che questa forma di corrispondenza alpinistica mi è nuova e non riesco a trovare altra spiegazione che questa: il signor Stösser non ritenne dignitoso per lui l'entrare in diretta relazione con un ragnatelato « oggetto » del dimenticatoio dell'alpinismo. E’ chiaro, lui non è rigattiere! E questo suo agire lo trovo tanto meno comprensibile in quanto mi consta che egli sul tema della mia ingerenza degnò corrispondere con grande familiarità col ciabattino di Canazei, Battista Costa.
A mia difesa, per l'assoluta mancanza di comprensione di simili ipermoderni metodi alpini potrebbe forse servire a mia difesa il fatto che io sono sprovvisto in modo sconsolante della necessaria, il più delle volte « assai pratica » elasticità psicologica di adattarsi alle supernuove tendenze su base futurista.
Scusi, La prego, Egregio Signor Presidente, la mia prolissità.
Saluti alpini.
Tita Piaz


Monaco, 21 giugno 1933
Egregio signor Piaz,
Accuso ricevuta della sua lettera del 1° giugno 1933.
Stösser è nostro socio ed è questo il motivo perché io scrissi a Lei. In ogni modo mi riferisco alla risposta di Stösser alla sua lettera del 1° giugno 1933 che io gli girai per conoscenza. Per questo motivo io non entro più in merito della Sua lettera. Del resto si dovrà pure aspettare la decisione del C.A.I.
Con alpini saluti
A.V.S. Bajerland o. V.
Il Presidente
(firma illeggibile)


Walter Stösser,
Pforzheim
Zahringer Allee 77
Pforzheim, 19 giugno 1933.
Egregio Signor Piaz,
In questi giorni mi venne recapitata la sua lettera del 1° giugno 1933, indirizzata al Presidente della Sezione Bayerland.
Dall'ultimo periodo della stessa sembra che Lei interpreti un atto di disistima Il fatto che alla sua lettera del 15 novembre 1932 rispose la Sezione Bayerland. Io l’assicuro che una simile intenzione mi era assolutamente estranea.
Alla sua ultima lettera indirizzata al Presidente della Sezione Bayerland desidero rispondere io stesso.
In primo luogo debbo sottolineare ancora una volta che io non ho mai asserito d'essere il primo scalatore della « direttissima della Marmolada ».
Secondo: che l'articolo in parola non è cosa mia; terzo: che le copie allegate alla Sua lettera stanno in stridente contraddizione con quanto ebbe a dirmi Micheluzzi in presenza di testimoni: « Nessuno ci vide arrivare alla cima ». Esistono inoltre presso il C.A.I. di Bolzano le testimonianze di tre persone che dicono di essersi pure trovati all'uscita della Direttissima nello stesso tempo che Micheluzzi pretende esserne uscito. Ritengo superfluo notare che il Suo altruismo nel correre a salvataggio non è mai stato posto in dubbio. Pure i fatti da Lei riportati ritengo non siano sufficienti a provare la paternità di Micheluzzi. Infine per quanto riguarda il « momento nazionale » mi vedo costretto a precisare che Lei è il primo a tirarlo in ballo in questa vertenza giacché il suddetto articolo della M.N.N. (che le è sempre possibile consultare) portava la soprascritta: « Die Sudwand der Marmolada ». È superfluo quindi entrare in discussione sulle sue conclusioni relative.
Io sottolineo espressamente che sono l'ultimo a non voler riconoscere l'opera altrui, quella di Micheluzzi e Peratoner. In quanto che essa sia stata indiscutibilmente compiuta, non penso neanche lontanamente a menomarla. D'altro canto lei comprenderà che io ho le mie proprie idee in proposito, se Micheluzzi stesso mi fa noti i dubbi sorti presso il C.A.I. sulla sua scalata. Micheluzzi mi dichiarò nel 1931: che il C.A.I. vorrebbe avere delle prove che egli non è in grado di fornire dal momento che nessuno li ha visti uscire dalla parete e che quindi non potrebbero essere date che mediante una seconda scalata. Lei comprenderà inoltre che le contraddizioni su accennate non servono a dissipare gli esistenti dubbi e se io, come è successo, vengo spinto nella controversia, così debbo pure difendere la mia pelle. Per questo motivo ho spedito una dettagliata esposizione dei fatti al signor Domenico Rudatis, Milano C.A.I. da egli stesso richiestami, e sarò lieto se dall’inchiesta le contraddizioni verranno finalmente chiarite.
Un alpino saluto,
Walter Stösser



... Al 27 agosto arrivammo a Canazei. Ci avevano raccontato di parecchi tentativi dei quali nessuno era stato coronato da successo. Mentre una cordata era arrivata appena all'altezza della prima terrazza, le due guide Peratoner e Glük erano riuscite a raggiungere il « gran tetto » da dove si lasciarono recuperare dalla cima. Di altri si sapeva unicamente che salivano soltanto in sicura lontananza dalla gigantesca colonna. Perché non l'attaccarono? Qalcosa di cupo, di inesprimibile sembrava pesare su questa via. Si temeva forse il mistero, il semimistico velo che avvolgeva la parte sopra al « gran tetto » e il camino d'uscita?...
Walter Stösser
(dal Bergsteiger del Giugno 1933 N. 9, pag. 533)


Riepilogando

Ora, la lettera di Stösser a me diretta in data 19 giugno a. c. sopporta le seguenti correzioni:
1) Stösser ha asserito d'essere il primo scalatore della “Direttissima della Marmolada, (vedi allegato 11).
2) Micheluzzi non può aver detto « nessuno ci divide arrivare alla cima »: può invece trattarsi di un errore d’interpretazione o di esposizione, non conoscendo Stösser la lingua italiana ed avendo Micheluzzi appreso quella tedesca ad Avelengo presso Merano, facendo il pastore delle pecore per tre mesi, 23 anni fa.
3) Presso il C.A.I. di Bolzano non esiste la testimonianza delle tre persone che dovrebbero essersi trovate all'uscita della « Direttissima » alle ore 11:00 circa, testimonianza vantata da Stösser.
4) Stabilito che i chiodi sotto il « gran tetto » furono trovati e che questi non nascono sulle rocce come le stelle alpine, vorrei invitare il signor Stösser a spiegarmi come la « sospettata » cordata Micheluzzi, da me vista il giorno 7, poco tempo dopo il mezzogiorno, discendere dalla forcella Marmolada, abbia potuto portarsi colà.
5) La dichiarazione del Micheluzzi nel 1931, sostenuta da Stösser, non può essere vera perché il C.A.I. non gli ha mai chiesto delle prove sulla sua scalata e neppure alcuna personalità del C.A.I.
6) Nessun dubbio sulla scalata di Micheluzzi è mai sorto né circolato a Canazei prima delle « scoperte » di Stösser. Queste chiacchiere si fecero vive dopo il passaggio dello stesso per colà.
7) Non io ho tirato in ballo il « movente nazionale » né io ho mai detto che lo abbia fatto il giornale M.N.N. di cui ne tengo la copia, ma un altro giornale. Per informazioni rivolgersi al signor Facchini, segretario del C.A.I. di Bolzano.
Concludendo: se Stösser vuole difendere la propria pelle e dimostrare la buona fede, bisogna che egli smentisca il signor Masneri, la guida Angelo Dantone, e me, e ci metta alla gogna come meritano gli imbroglioni alpini di tutti i colori e di tutte le nazioni.
Tita Piaz

L'articolo sulla MNN del 3 settembre 1932

Visto che ciò che scatena la polemica è il citato articolo pubblicato sulla Munchner Neueste Nachrichten [10], l'ho recuperato per dargli un'occhiata. Poiché però la mia conoscenza del tedesco si limita a quanto necessario per mangiare e bere, mi sono affidato a diversi traduttori online per decifrare i caratteri gotici, confrontando gli esiti e pescando quanto mi sembrava più logico. Si perdonino quindi (non senza segnalarle) eventuali ingenuità nella traduzione.

La parete sud della Marmolada

L'imponente versante sud di questa incomparabile parete dolomitica è diventata una meta "classica" da quando, esattamente 30 anni fa, i due fratelli Leuchs di Monaco di Baviera ruppero l'incantesimo lungo una via che seguiva le tracce lasciate l'anno prima da un gruppo di guide. Alpinisti selezionati hanno percorso, durante tre decenni, la bella e difficile via di arrampicata che, durante la guerra, mise a dura prova anche le pattuglie alpine italiane impegnate sulla vetta.

Eppure il percorso perfettamente rettilineo, ideale, attraverso l'alto muro rimaneva uno dei grandi problemi irrisolti. Preuß, Dülfer, Piaz, Dibona e molti altri si cimentarono con l'imponente spigolo sud-ovest, il gigantesco pilastro che sostiene con la sua forza la vetta ghiacciata. Si racconta che il 6 e 7 settembre 1929 le due guide locali Peratoner e Micheluzzi percorsero per la prima volta questa via. Non furono creduti e non fornirono al Club Alpino Italiano le prove richieste. Qualche settimana fa Peratoner ha scalato di nuovo la parete con un compagno e un'inglese e il secondo giorno è stato salvato a 4/5 del percorso da dieci guide. Ciò distrusse completamente la fiducia nella sua salita.

Ma ora la parete è stata conquistata: Walter Stösser di Pforzheim, "Bayerländer" e "folletto della montagna" di Monaco, ha risolto il famoso problema insieme al suo compagno Friz Kast il 30 e 31 agosto, completando così la serie di successi delle Alpi occidentali di quest'anno, che comprende anche la cresta ovest del Deschinenhorn. Il primo giorno salirono per 300 metri fino al vistoso pulpito, dove dovettero sopravvivere ad un bivacco con una nevicata. Il secondo giorno sono arrivati in vetta alle 4. Walter Stösser pone la difficoltà di questa salita al di sopra di tutte le vie conosciute, persino al di sopra del grado più alto a cui appartengono le pareti nord della Civetta e del Pelmo, tanto che questa parete è probabilmente la più difficile di tutte le vie alpinistiche delle Alpi orientali. E Stösser è un buon intenditore ed esperto.

Considerazioni

Di fronte alla corrispondenza riportata non si può non ammirare la nobiltà d'animo di Tita Piaz, che per mesi scambia lettere con il Club alpino tedesco e con tutti i possibili testimoni al fine di restituire la paternità della prima salita non a sé stesso, ma ad un amico! Ѐ probabile che l'articolo [5] sullo Scarpone sia da ricondurre ad informazioni di Piaz, visto che il contenuto è analogo a quello delle lettere. Eppure, l'unico cenno "coevo" di questo impegno che sono riuscito a reperire è contenuto nel bell'articolo di Ettore Castiglioni Le pareti della Marmolada [11], assolutamente da leggere anche per le divertentissime descrizioni della salita con Vinatzer e del tentativo con De Tassis a quella che diventerà la via Soldà, dove si legge a p. 95:

Con una lunga polemica, cui lo Stösser rifuggiva sempre dal rispondere personalmente, Tita Piaz potè finalmente ottenere da lui una franca dichiarazione, che i chiodi trovati nella roccia attestavano senza possibilità di dubbio la priorità del Micheluzzi. Anche l'articolo pubblicato dallo Stösser sull'Annuario del D. Oe. A. V. del 1933 è un pieno e leale riconoscimento del valore della nostra guida [...]

Più o meno le stesse parole sono riportate in Oltre il sentiero - Le guide della Valle di Fassa [12] e in Storia dell'alpinismo fassano [13]. La statura morale di Piaz si rivela anche nella concezione dell'alpinismo, il grande consolatore ed educatore dell'anima umana, e nel suo rifiuto del nazionalismo ormai imperante, delle supernuove tendenze su base futurista (bellissimo!) che appestano gli scritti da una parte e dall'altra (notate la differenza tra il tono alto anche nella polemica di Piaz - che si offende solo quando pensa di non esser considerato degno di risposta diretta - e quello piccino dell'anonimo cronista che anticipa il contenuto). Tuttavia, nel caso specifico bisogna dare un po' di ragione alla controparte: Piaz inizia citando l'articolo della MNN e indignandosi per la famosa "reclame nazionale", di cui sulla MNN non v'è traccia. Che poi alla fine compaia un altro giornale di cui non si dice il nome fa pensare che Piaz non avesse letto l'articolo. D'altronde, ai tempi non c'era Internet!

Se Piaz non disdegna l'impegno personale, sorprende un po' il silenzio di Micheluzzi; è possibile tuttavia che abbia indicato lui al "vecchio" Tita a chi rivolgersi per avere le informazioni desiderate. Certo, sulla famosa frase del punto 2), pronunciata o meno, sarebbe stato utile un chiarimento proprio da Micheluzzi! Ad onor del vero, nel citato Oltre il sentiero [12] si dice (p. 51) che Micheluzzi dovette battersi a fondo perché gli venissero riconosciuti i meriti di un'impresa di cui giustamente andava orgoglioso, ma di tutto ciò non sono riuscito a reperire traccia. Resta poi da capire se la famosa lettera di Stösser a Rudatis sia ancora conservata da qualche parte negli archivi del CAI.

Infine, bisogna chiarire chi erano i "due giovanotti di Gardena" che salgono a piedi nudi! Si tratta di Vinatzer e Peristi, come riporta Lo Scarpone [14] dove si legge che

La direttissima della Marmolada fu attaccata alle ore 6,40 del 13 settembre; raggiunsero la prima terrazza alle 7,25, erano ai piedi della Torre alle 7,35, e sulla cima di questa alle 7,45. Fin qui arrampicarono in pedule, poi proseguirono scalzi.

Per finire questa prima parte riporto dal citato articolo di Castiglioni [11] l'elenco delle prime salite allo spigolo Micheluzzi, non senza notare che Bepi Pellegrinon nella guida della Marmolada [15] attribuisce la seconda salita alla cordata Perathoner-Gluck-Tutino Steel, che in realtà non completarono la salita, e la quarta alla coppia Ruschmann-Posch l'8 agosto 1935.

1a salita: Micheluzzi, Perathoner, Christomannos, 6-7 settembre 1929
2a salita: Stosser, Kast, 30-31 agosto 1932
3a salita: Vinatzer, Peristi, 13 settembre 1932
4a salita: Steger, Wiesinger, 16-17 settembre 1932
5a salita: Kaschpach, Brunhuber, agosto 1935
6a salita: Castiglioni, De Tassis, settembre 1935

Non resta che parlare di Walter Stösser; arrivederci quindi alla seconda parte.

Bibliografia

[1] Ettore Castiglioni, Odle Sella Marmolada, CAI-TCI (Milano), 1937, pp. 494-496.
[2] Lorenzo Doris, Storia dell'alpinismo dolomitico - dalle origini al 1957, Nordpress, Chiari (BS), p. 91.
[3] Vittorio Varale, La battaglia del sesto grado, Longanesi (Milano), 1965, pp. 77-78.
[4] SAT, XXV Annuario 1929-1930, SAT (Trento), 1930, pp. 121-122. Disponibile qui.
[5] Franco Dezulian, La "direttissima" della Marmolada - chi ha fatto la prima ascensione?, Lo Scarpone 1932 n. 19, p. 3.
[6] Franco Dezulian, Marmolada montagna perfetta, Rivista Mensile del CAI 1933 n. 2 pp. 91-93.
[7] Prime ascensioni - salite importanti - tentativi, Alpinismo 1933 n. 1 p. 15.
[8] Ultime di cronaca, Alpinismo 1935 n. 10, p. 242
[9] La "direttissima" sull’impervio spigolo S della Marmolada rivendicata da Tita Piaz a una cordata italiana, Roccia 1933 n. 21, pp. 5-6.
[10] Die Südwand der Marmolata, Munchner Neueste Nachrichten, 9 settembre 1932, p. 10. Disponibile qui.
[11] Ettore Castiglioni, Le pareti della Marmolada, Rivista Mensile del CAI 1937 n. 3, pp. 92-101.
[12] Gino Callin, Elio Conighi, Antonino Vischi, Oltre il sentiero - Le guide della Valle di Fassa, Saturnia (Trento), 1972, pp. 47-58.
[13] Dante Colli, Storia dell'alpinismo fassano, Tamari (Bologna), 1999, pp. 73-80
[14] La Direttissima della Marmolada - Prima ascensione italiana senza guide, Lo Scarpone 1932 n. 21, p. 3
[15] Bepi Pellegrinon, Marmolada, Novi sentieri (Belluno), 1979, p. 167.

mercoledì 5 marzo 2025

Treni 2218 e 2275 (Bergamo-Milano Lambrate): ritardi gennaio-febbraio 2025

Fig. 1: distribuzioni cumulative dei ritardi per il treno 2218
delle 8:02 nei bimestri gennaio-febbraio dal 2015 al 2025.
Fig. 2: Ritardi nel bimestre in esame per il treno 2218 (8:02).
Fig. 3: Come in Fig. 1 ma per il treno 2275 (17:40).
Fig. 4: Come in Fig. 1 ma per il treno 2275 (17:40).

L'articolo del bimestre è questo reclamo che proviene da Lodi, ma si adatta perfettamente a tutte le linee malservite da Trenord, dove ai ritardi e alle cancellazioni si sommano i posti a sedere insufficienti durante il periodo delle lezioni, i guasti al riscaldamento e/o aria condizionata, ecc. ecc. L'unico commento da fare alla lettera è la sua ingenuità; vorrei quindi rassicurare l'autrice: non serve una lettera per "rendere consapevoli" dirigenti e altri figuri di Trenord delle condizioni di viaggio: ne sono ben consci, ma non sono in grado di rimediarvi neanche volendo! E non si capisce poi perché dovrebbero farlo, quando il guadagno è del tutto svincolato dalla qualità del servizio. Candidamente velleitaria è anche la frase finale, ovvero: "Mi aspetto che Trenord agisca in maniera efficace e risolutiva ora", che testimonia l'inguaribile ottimismo (o se preferite, il senso dell'ironia) dei pendolari.

Veniamo quindi ai ritardi di questo primo bimestre 2025, iniziando dal treno 2218: puntualità al 5% e al 62% entro 5' di ritardo, massimo ritardo di 43' il 7/2 per guasto al treno. Nonostante questi numeri poco incoraggianti, la distribuzione dei ritardi (Fig. 1) segna un certo miglioramento rispetto agli anni precedenti, cosa che non si vedeva da un pezzo! Questo si vede distintamente nella Fig. 2, dove la media scende di tre minuti rispetto al 2024, ma il comportamento del peggior 10% dei treni migliora di circa sette minuti, scendendo sotto il 10', mai visto dal 2017! Siamo impazziti??

Prima che a qualcuno venga in mente di gridare al miracolo, guardiamo anche i dati del treno 2275, che tipicamente è una ciofeca. Qui la rivoluzione copernicana del 2025 di Trenord per migliorare i ritardi è la seguente: non eliminare le cause del ritardo, ma aumentare i tempi di percorrenza! Ora questo treno parte da Lambrate un minuto prima rispetto agli anni passati, anche se il ritardo si accumula nel tratto precedente! Ecco i risultati: puntualità al 18% e al 63% entro 5', massimo ritardo di 35' il 5/2 per sciopero (che dipende solo indirettamente da Trenord, ma pochi giorni dopo il treno ne ha accumulati 32 per cancellazione; alla faccia dei "nuovi treni"!). Dall'andamento in Fig. 3 non si evidenzia alcun miglioramento rispetto agli anni precedenti, ed infatti la Fig. 4 certifica che la media non è praticamente cambiata, mentre il ritardo al 90% di probabilità peggiora di quasi due minuti. Contando che il tempo di percorrenza ufficiale è aumentato di un minuto, si capisce che la soluzione non è stata molto utile. Qualcuno aveva dubbi?

Veniamo come di consueto alle cause dei ritardi: su dodici segnalazioni da app, una sola è riconducibile ad un guasto all'infrastruttura mentre le altre sono relative a problemi al treno (guasti, controlli tecnici,...), ritardi di altri treni, o invenzioni fantasiose come il "prolungamento del servizio viaggiatori a Pioltello" (dove però il treno aveva già accumulato tutto il ritardo) o le immancabili "esigenze del regolatore", come il 9/1 per il 2237, fermo a Centrale tra rumori e sirene, ma indicato in ritardo per le suddette esigenze. A ciò bisogna aggiungere altri quattro ritardi superiori ai dieci minuti per cui non è stata fornita alcuna spiegazione. 

martedì 18 febbraio 2025

Calabria rosso Igt 1480 l'inizio 2015 Odoardi

Questo vino è diventato famoso nel 2021, quando il critico gastronomico del NYT Eric Asimov (nipote del famoso scrittore di fantascienza di cui secoli ho letto centinaia di pagine) lo ha inserito in una lista dei migliori vini del mondo al di sotto dei 20 €, lista in cui figurano ben cinque bottiglie italiane. Mi sono quindi premurato di procurarmene una, onde poter verificare il giudizio dell'autorevole critico. Iniziamo dal nome: le Cantine Odoardi non nascono propriamente nel 1480 (anno in cui gli antenati della famiglia si trasferirono in Italia), ma circa cinque secoli dopo, intorno al 1965, sulle colline di Nocera Terinese che guardano verso il Tirreno. I suoi 55 ettari di vigneti si traducono in quattro rossi, tutti denominati Calabria Igt, e due bianchi. Tralasciando il GB e il Terra Damia che passano in barrique, rimane un Vino rosso ed il nostro 1480 l'inizio, da uve Aglianico (60%) e Magliocco (40%), con fermentazione ed affinamento interamente in acciaio.

Quando si apre una bottiglia sconosciuta con dieci anni di invecchiamento c'è sempre un po' di titubanza, di cautela, quasi a voler chiedere permesso per il disturbo. Così, dopo una lesta e convincente annusata al tappo, si procede a scrutare il liquido nel bicchiere per decifrarlo, invero senza troppo successo: un rosso piuttosto scuro che restituisce comunque un'impressione di buona salute. Cambiamo senso e passiamo all'olfatto, ma anche qui le informazioni sono centellinate; il vino è chiuso e diffidente, ha bisogno di un po' di tempo per prendere confidenza. Quando - e siamo già al secondo o terzo bicchiere - infine si decide ad essere meno scorbutico, si liberano aromi di frutti rossi (amarena) e neri, nonché l'amarognolo della mandorla.
Molto gradevole ed equilibrato all'assaggio, con tannini setosi e un buon tenore alcolico; un vino che si beve con gran piacere e facilità.

Non resta quindi che ringraziare il buon Asimov per questa ottima segnalazione; che poi il vino sia o meno tra i migliori venti al mondo non sta certo a me dirlo... e in fin dei conti poco importa!


Gradazione: 13,5°
Prezzo di acquisto: 15 €