di Henry James
Einaudi, Torino, 1978 (1a ed. italiana Jandi, 1944)
Traduzione di Maria Luisa Castellani Agosti
– Le pare giusto di rivangare il passato?
– Temo di non capire ciò che lei intende per "rivangare". Come possiamo penetrarlo se non scavando un pochino? Il presente lo calpesta in così malo modo...
– Oh, io amo il passato, ma non altrettanto i critici - dichiarò la mia ospite con quel suo aspro compiacimento.
– I critici non piacciono nemmeno a me, ma apprezzo le loro scoperte.
– Non sono per lo più menzogne?
– Menzogne sono ciò che talvolta essi scoprono, - dissi sorridendo della mia bonaria impertinenza. - Spesso mettono a nudo la verità.
– La verità è di Dio, non dell'uomo; faremmo meglio a lasciarla stare. Come si può giudicare? Chi può dire?
– Brancoliamo terribilmente nel buio, lo so, - ammisi - ma se si rinuncia a tentare, che avverrà di tutte le cose belle? Che ne sarà delle opere di cui parlavo dinanzi, quelle dei grandi filosofi, dei sommi poeti? Restano tutte parole vane se non si ha un certo metro con cui misurarle.
– Parla come un sarto - commentò sprezzante Miss Bordereau.
Una nota scritta da Henry James nei
Taccuini, nell'inverno del 1887, racconta di aver sentito la storia di un capitano, nonché critico d'arte e adoratore di Shelley, che scopre che a Firenze vive ancora
Claire Clermont, ottantenne, con una nipote cinquantenne. Le due donne posseggono lettere di Byron e Shelley che il critico vuole recuperare ad ogni costo. Per questo diviene affittuario delle signore sperando che l'anziana schiatti mentre lui è lì, evento che si verifica effettivamente. Tuttavia, la nipote gli riserverà una sorpresa che non vi svelo.
Questa storia è l'ispirazione per la scrittura del carteggio Aspern, pubblicato nel 1888. James opera alcune trasposizioni che strappano la vicenda alla cronaca e la trasformano, instillando dubbi, affastellando significati, giocando con i ruoli. Per iniziare, Byron/Shelley divengono Jeffrey Aspern, un (ipotetico) poeta americano d'inizio secolo, allora ai massimi livelli di fama e passato a miglior (?) vita in giovane età. Claire diviene Juliana, ovvero Miss Bordereau, musa giovanile del poeta e destinataria di alcune delle liriche di Aspern fra le più squisite e famose. Infine, Firenze diviene Venezia.
Il tema più ovvio, e attualissimo oggi, è il contrasto tra il diritto alla privacy e la volontà di conoscenza. James si diceva contrario alla divulgazione delle lettere personali, e pare abbia fatto un bel falò di tutta la sua corrispondenza, chiedendo ai destinatari delle sue lettere di fare altrettanto (anche per questo motivo Jeffrey Aspern è americano, come James, e le sue lettere sono anche quelle dell'autore). La faccenda qui è complicata dal fatto che Aspern è morto: dove o quando si deve mettere la linea di confine tra il personale ed il pubblico dopo la morte di una persona famosa? Il "cacciatore" delle lettere, che racconta la vicenda in prima persona, si insinua nel privato delle due donne, si comporta con sempre meno scrupoli e sarà etichettato come canaglia di un pennaiolo quando, sorpreso nell'atto di aprire lo stipo che contiene le bramate carte, violerà quello che c'è di più importante per Juliana. Il critico pare una specie di avvoltoio che gira intorno al cadavere di Aspern sperando di ricavarne qualcosa: Scrive di lui, fruga nella sua vita? chiede emblematicamente Tina.
Ma... è davvero così? O è invece Juliana che resta legata alle poesie di Aspern così tanto da non capire che quei capolavori non sono destinati solo a lei, ma a tutti gli amanti delle belle lettere (tra cui lo stesso James, "adoratore del passato")? Aspern che sembra fare capolino dal ritratto e prima sorride con bonaria ironia e poi suggerisce al critico di darsela a gambe (togliti dall'impiccio come puoi, caro mio!) sembra più divertito che adirato verso chi, dopo tutto, lo ama, anche se in modo diverso da Juliana. James gioca abilmente tra i due significati e lascia al lettore la scelta. In effetti, il conflitto tra il narratore e Juliana non manca di evidenziare caratteri speculari: la divina Juliana (pensate per analogia alla Beatrice di Dante) è diventata una vecchia avida che non perde occasione di spillar denaro all'ospite che, d'altra parte, è altrettanto egoista nei confronti di ciò che gli interessa. E, analogamente, il velo che copre gli occhi di Juliana (le maschere, e quindi Venezia) fa il paio con l'anonimato del narratore, che può però avere anche un'altra valenza: con perfetta ipocrisia, egli difende la sua privacy nel momento stesso in cui cerca di penetrare quella di Aspern e Juliana!
Si potrebbe discutere per ore di ogni dettaglio di questo libro (per esempio del giardino-Eden del palazzo dove il narratore-tentatore seduce Tina, del linguaggio guerresco usato nei riferimenti alle due donne), ma mi limito solo ad un paio di considerazioni. La prima riguarda il luogo ove si svolge la vicenda. James era affascinato da Venezia, che fa da sfondo a diversi suoi scritti, e poi la città lagunare è da sempre specchio di antichi splendori decaduti, di sensualità più o meno lecita, e ben si presta a divenire la dimora di Juliana, sulla cui relazione con Aspern si parla in maniera ambigua (ma neanche troppo):
mentre la passione imperversava [...]
gli incidenti, alcuni dei quali gravi, non erano mancati. Anche perché
non sempre Juliana si era mantenuta sull'impervio sentiero della rinunzia, e ora vive reclusa
col suo silenzio, per il quale del resto la poveretta aveva avuto i suoi buoni motivi, insieme alla nipote Tina (la possibile presenza di materiale
compromettente nelle lettere è un'ossessione del critico). Il secondo motivo per ambientare la vicenda nella
Venezia rococò di Goldoni e Casanova è proprio il riferimento al teatro: mentre il "cacciatore" delle lettere ci racconta l'evolversi della vicenda e gli stratagemmi architettati per entrare in confidenza con Tina, appare via via evidente che anche
la vecchia, o entrambe le donne, hanno un piano. Anzi, a ben vedere sono più le volte che il protagonista si dichiara
sorpreso dalle reazioni delle locatrici che quelle in cui registra dei significativi passi in avanti: la vicenda diventa quindi una serie di mosse e contromosse che richiama il teatro. E non dimentichiamo poi che Byron aveva vissuto a Venezia, in affitto da
Lucia Mocenigo!
Il secondo punto è il ruolo di Tina: è veramente la nipote? O è invece - come alcuni suggeriscono - la figlia di Juliana e Aspern? La seconda ipotesi può sembrare improbabile, ma le righe citate sopra suggeriscono un "incidente" capitato a Juliana, mentre la sua premura per il futuro di Tina, alcuni riferimenti nelle conversazioni, il rimando al denaro proveniente da oltreoceano (quindi probabilmente da Aspern) possono essere letti in tal senso.
E per finire, da buon bergamasco, non posso farmi mancare una parola sull'incontro tra il narratore e il monumento equestre di
Bartolomeo Colleoni. Da un lato, il grande condottiero può rappresentare l'emblema della mascolinità, in opposizione alla conclamata inesperienza del narratore in materia femminile, e il suo "rifiuto" di indicare una soluzione al critico si può leggere come una certificazione del suo fallimento. Dall'altra parte la statua,
il più bello di tutti i monumenti equestri, può essere vista come la quintessenza dell'arte, la rappresentazione del suo valore etico che si contrappone all'intento un po' meno etico del critico. O, semplicemente, il suo mutismo è incapacità di dare una risposta: nemmeno l'arte stessa è in grado di stabilire dove sia l'equilibrio tra le due istanze.
P.S. Incomprensibile per me l'introduzione di Claudio Gorlier.