Il libro di Andrea di Robilant |
Il canale perimetrale e le barchesse |
L'ingresso della villa Mocenigo |
La villa |
Il palazzo dell'amministrazione. |
La storia: Alvise vi lavora intensamente e già nel 1796 le cose sono mutate: nuove case, fabbriche, negozi, una farmacia, un'osteria; si approva il progetto per la chiesa di S. Luigi. Poi arriva un periodo tra i più tumultuosi della storia d'Europa: Venezia crolla, spartita tra francesi ed austriaci, e la tenuta cade sotto il dominio di questi ultimi; nel 1803 l'Imperatore accoglie la richiesta di cambiare nome alla tenuta di Molinato, che diviene Alvisopoli. Ancora una guerra, e ancora un cambiamento: si diventa francesi. Tasse e uomini portati via per farne soldati per la campagna di Russia complicano tutto. Nel 1810 si impianta perfino una tipografia; tre anni dopo ritorna l'Austria. Carestie, inondazioni, epidemie falcidiano tutta la zona e riportano la tenuta sull'orlo del collasso. Nel 1815 le cose sembrano migliorare, ma una malattia si porta via, la vigilia di Natale, il fondatore della città, seppellito nella chiesa di S. Luigi. Lucietta prende in mano la situazione, dimostrando una notevole iniziativa, ed in tre anni le condizioni migliorano, ma la tenuta è sempre a rischio di inondazioni e gli anni '20 non sono certo facili. I numerosi progressi tecnici degli anni '30 riportano un po' di serenità, ma poi arrivano i moti liberali, ancora guerra e devastazione, l'insurrezione di Venezia e la famosa bandiera bianca. Nel 1854 se ne va anche Lucietta, che - stranamente - non viene sepolta ad Alvisopoli. La tenuta sarà poi venduta negli anni '30 del '900 e divisa in diverse proprietà; la villa sarà divisa in appartamenti popolari.
Oggi: dopo la lettura del libro, e incuriosito dal progetto di Alvise, non potevo non passare da Alvisopoli nel mio viaggio verso Udine. In realtà, del sogno di Alvise resta ben poco, anche se molto si può intuire: il cortile della villa è chiuso da un cancello e si riesce ad avvicinarsi un poco solamente dal retro, tra panni stesi e qualche bimbo che gioca; la chiesa di S. Luigi, come spesso accade, è chiusa e non ho potuto nemmeno visitare la tomba di Alvise; il parco della villa, ora oasi del WWF, è visitabile solo su prenotazione e non nel giorno in cui ero presente io. Peccato. Resta lo spazio, accentuato dalla solitudine del meriggio, il bar Mocenigo, le case contadine. Resta l'utopia illuminista di organizzare la città, come accadeva anche a San Leucio, ad esempio, che prima o poi visiterò, o come nel '900 si vede - per restare dalle mie parti - nel bellissimo villaggio operaio di Crespi d'Adda o in quel che resta dei villaggi-fabbrica Honegger e Legler. Altri tempi, altre storie. Ma qualcuno scriverà mai, o ha già scritto, una storia delle "città ideali" nei secoli?
Nota: queste fotografie sono state utilizzate nel numero di giugno-luglio 2014 del Bollettino di Italia Nostra dove compare un articolo su Alvisopoli scritto da di Robilant.
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