mercoledì 27 agosto 2014

Elbridge (Alberto) Rand Herron (1902-1932)

G. Colacicchi, Ritratto di Rand Herron [1]
Enriques, Segrè, Rand Herron, Franchetti e Ciaranfi
dopo l'ascensione alla S della Rosetta. Con loro la
nipote del gestore del rifugio Rosetta (da [3])
ARH (da [6])
Dalla Rivista di Firenze anno 1 n. 2 [5]
La domanda di iscrizione al CAI Milano.
Mi hanno sempre incuriosito le persone dai vari interessi, quelle attratte dalle molteplici forme della conoscenza, che trovo assai più stimolanti di chi coltiva in modo monomaniacale una più o meno ristretta disciplina. Così nella scienza, così nell'alpinismo, dove poco mi appassionano i ritratti di eccelsi scalatori che non vedevano al di là di una croda o di una parete o i racconti di alpinismo che parlano solo di alpinismo (cioè, praticamente tutti). Molto, molto più avvincenti certe figure forse - diciamo così - "minori", ma che all'andar per monti alternarono impegno e dedizione in ben altre discipline e/o cause.
Elbridge (o Alberto, come si faceva chiamare in Italia) Rand Herron appartiene senz'altro a questo gruppo di persone: alpinista, letterato, poliglotta, compositore musicale. Forse qualche sparuto cultore lombardo di alpinismo lo associa ad un paio di vie in Grignetta e allo Zuccone Campelli aperte in compagnia di Leopoldo Gasparotto, ma certamente nulla più; peccato. ARH (mi si consenta l'abbreviazione del lungo nome nel seguito) nacque il 23 luglio 1902 in Italia, a Pegli, da genitori americani. Il padre, George Herron (1862-1925), doveva essere un tipo notevole: pastore congregazionalista che si era avvicinato al socialismo ed era emigrato in Italia nel 1901, dopo il suo divorzio e successivo matrimonio con Carrie Rand (1867-1914), sua collega al Iowa College. Tra i fondatori del Partito Socialista Americano (SPA), se ne distaccò nel 1917, quando lo SPA si oppose all'entrata in guerra degli USA, ma la sua ferma presa di posizione anti-prussiana non gli impedirà poi di criticare gli eccessivi oneri a carico della Germania contenuti nel trattato di Versailles. Con la famiglia si spostò a Ginevra, dove svolse attività di intelligence per l'Intesa per poi tonare alla villa di Firenze, luogo di ritrovo di socialisti e internazionalisti. La sorellastra di ARH, Margaret Vennette Herron (1885-1973), fu scrittrice e visse tra gli Stati Uniti, l'Italia e Giava.
ARH è immerso quindi sia da ragazzo in un milieu culturale di ampio respiro. Si laurea in filosofia, cura la sezione delle riviste straniere per la Rivista di Firenze (fondata da de Chirico e Savinio) e conosce Giovanni Colacicchi, che gli farà un ritratto (di cui resta solo il disegno preparatorio, vedi figura [1]) e gli dedicherà la Niobe (visibile qui); inoltre mi piace pensare che abbia conosciuto Mario Castelnuovo-Tedesco (uno dei compositori per chitarra - e non solo - più importanti del '900) in virtù della comune amicizia con Colacicchi e amore per la musica (dopo la laurea ARH si era diplomato al Conservatorio di Vienna). Pratica l'alpinismo, anche extraeuropeo, incontrerà il fisico Emilio Segrè, futuro premio Nobel che si dilettava di arrampicata, che lo definirà "un americano eccezionalmente bravo, che pur avendo cominciato da poco ci aveva superati tutti di gran lunga" [2], e Giovanni Enriques [4], e si interesserà brevemente all'aviazione (anche questo connubio andrebbe investigato più a fondo; si pensi a Giorgio Graffer o ad Antonio Locatelli). Muore a trent'anni il 13/10/1932 in un incidente banale, precipitando dalla piramide di Chefren in Egitto al ritorno da una spedizione al Nanga Parbat [4].

Praticamente impossibile (almeno, per me) procurarsi una copia delle sue composizioni musicali (ammesso che esista); di quelle letterarie restano gli scritti per la Rivista di Firenze, i cui primi due numeri del 1924 sono reperibili online qui. Oltre alle recensioni di articoli da riviste straniere in cui si parla di musica e teatro, ma anche di religione, ARH pubblica un solo scritto su questi numeri, Dal mio diario (di cui, se è veramente esistito, non vi è traccia) [4, vedi figura], sorta di anelito giovanile verso la conoscenza o invito al fare culturale senza abbandonarsi al nichilismo (a voi la scelta). Al CAI Milano (con il gentile supporto del sig. Renato, che ringrazio vivamente) ho recuperato la sua domanda di iscrizione come socio vitalizio, presentata il primo settembre 1931, dove si dice musicista e residente a New York, vicino alla Columbia University (si era trasferito nel 1929). E per il CAI, ARH scrive diversi articoli di alpinismo su Lo Scarpone o la Rivista Mensile, e proprio su questi fogli Leopoldo Gasparotto pubblicherà due versioni molto simili del suo necrologio [6,7], mentre sull'American Alpine Journal del AAC ne compare uno scritto da Elizabeth Knowlton [8]. Figlio dei nazionalismi dei tempi l'accento sull'appartenenza all'Italia o agli USA di ARH, presente in entrambi i necrologi. Di certo il padre, nella dedica del suo libro The revival of Italy del 1922 [9], lo definisce "adoratore fedele al santuario d'Italia" (in italiano nel testo), ma la questione è veramente importante? Più interessante notare come dalla vita di ARH emerga una rete di relazioni intellettuali e sociali in cui l'alpinismo giocava un ruolo di primo piano, trovando posto accanto alla scienza ed all'umanesimo e contribuendo a definire la cultura di una parte dell'élite dell'epoca. Evitiamo facili confronti con oggi per carità di patria.

Il necrologio del CAI

Pubblicato sulla Rivista mensile Vol. 52, n.2, pp. 104-108 (1933). L'autore è il suo compagno di salite Leopoldo Gasparotto. Non ho informazioni sulla genesi dell'amicizia con Gasparotto, che in sostanza afferma di averlo introdotto alla montagna; forse le famiglie si frequentavano visto che il padre di Leopoldo, Luigi, era di idee democratiche e liberali.

Il 13 ottobre 1932 in un incidente nella discesa dalla Piramide di Chefren, in Egitto, Alberto Rand Herron, membro del C.A.A.I. e delle Sezioni di Firenze, Torino e Milano del C.A.I., moriva a trent'anni, ritornando dall'assalto al Nanga Parbat, il colosso Himalayano di 8130 m, attaccato dalla spedizione tedesco-americana diretta dal noto e valoroso accademico Ing. Willy Merkl, di Monaco. L'audace tentativo, condotto con una preparazione scrupolosa, veniva interrotto dal maltempo e dalla malattia di due alpinisti.
I lettori hanno presente l'articolo che Herron ha scritto recentemente sulla Rivista mensile intorno ai monti del Kaisergebirge, ne sanno quindi il grande valore tecnico nelle arrampicate su roccia. Non tutti sanno però che Herron fu tra i più completi alpinisti, poiché accanto alle vittorie riportate in imprese di 5° e 6° grado nel Kaisergebirge e nelle Dolomiti stanno le sue belle conquiste nelle Alpi Occidentali e nel Caucaso.
Le prime ascensioni sull'Aiguille de la Brenva, sulle Grandes Jorasses per la cresta di Tronchey, sulla parete N del Corno Bianco, la prima italiana della Dent des Bouquetins, il Monte Bianco per la cresta di Peuteurey e per la via della Brenva, dicono come Egli eccellesse anche nella scuola della piccozza e del rampone.
Nel Gruppo del Monte Bianco, in pochissimi anni, spesso con Evaristo Croux, compì quasi tutte (non si equivochi sul valore delle parole) le ascensioni classiche. Una eccezionale passione per la natura traeva il giovane americano, nato a Pegli e vissuto quasi sempre a Firenze, a visitare tutti i monti possibili; e ne risultò un'attività straordinaria. Molti anni or sono, coll'esploratore svedese Pallin, in pieno inverno compie la prima traversata della Lapponia. L'anno seguente, da solo, è sull'Atlante, vince il Toubkal e altre cime vergini. Nel 1929 siamo insieme nel Caucaso, all'attacco del Ghiulcì, le cui due punte cedono il 25 luglio. Avevamo già compiuto in precedenza le prime ascensioni del Colle Ghiulcì e del Colle Sugan. Un'oftalmia lo toglie ad altre belle conquiste, ma Egli marcia però, con Singer, attraverso la Svanezia. Valica due volte la catena principale tra l'Europa e l'Asia, e, praticamente, i suoi spostamenti col grosso del carico, permettono agli altri due la conquista della Punta degli Italiani e a me dell'Elbruz con gli sci.
Nel 1931 Herron è in America, e non tralascia di visitare anche i gruppi montuosi del nuovo continente; intanto matura una grande idea, e nella primavera non mancano più uomini né mezzi per una spedizione sulle altissime montagne del centro dell'Asia. Grandissima parte del merito dell'organizzazione va data a Herron; che anche all'ultimo, quando la nostra spedizione fu vietata da una Potenza straniera, non tralasciò mai di fare tutto quanto fosse fattibile. Persino un viaggio a Mosca per ottenere la impossibile revoca del divieto! Questo dipinge il carattere dell'uomo: attaccato fino all'estremo al proprio ideale.
Era naturale che i valorosi componenti Germanici della spedizione al Nanga-Parbat, che allora stava preparandosi, ricercassero un elemento tale, e nell'estate del 1931 Alberto Rand Herron inizia l'allenamento coi nuovi compagni tedeschi. La serietà della spedizione si desume dalla preparazione: mesi interi passati in montagna, nuove vie accademiche aperte nelle Alpi occidentali, ascensioni di 5° e 6° grado nel Kaisergebirge, permettono di vagliare e temprare gli uomini che nella primavera partono da Genova alla volta del Nanga-Parbat, dove già Mummery aveva immolato la propria vita.
Nel 1931 Herron inizia la stagione alpinistica in aprile, su pei dirupi della Svizzera Sassone; passa nel Kaisergebirge, poi nel gruppo del Bianco, ma intanto trova il tempo di venirmi a fare una visita e di andare insieme al Campanile Basso di Brenta, in Grignetta e persino sulle pareti del modesto Zuccone dei Campelli!
Il giorno seguente, in motocicletta, è già a Courmayeur! Terminata la stagione alpinistica sulle alte montagne, riparte per il Kaisergebirge, previa visita al gruppo del Monte Rosa e prima ascensione del Corno Bianco dalla Parete Nord. La stagione ha finalmente termine nelle Dolomiti, troncata dalle prime nevi autunnali!
Le Alpi Apuane furono la palestra delle prime audacie di Herron, e colà anche in seguito Egli ritornava sovente; alla Toscana era particolarmente affezionato e si definiva cittadino di Firenze.
E ben degno ne era, poiché a molti poteva insegnare ad amare la sua Città. Né la Sua pura parlata fiorentina tradiva l'origine americana. Certo Egli amava e conosceva l'Italia come non molti di noi. Ed il Club Alpino Italiano deve a Herron molte belle vittorie, anche in terra straniera, perché ovunque, sui libri dei rifugi e nelle relazioni Egli firmò: Alberto Rand Herron del Club Alpino Italiano. Effettivamente dalla nostra famiglia aveva appreso ad amare la montagna e a penetrarla nei suoi più intimi sensi e segreti.
Musicista di valore, studiò e si laureò a Firenze, perfezionandosi e diplomandosi poi al Conservatorio di Vienna. Un suo Oratorio a S. Francesco, composto a 18 anni, rivelò il suo geniale talento. Questa Sua personalità e sensibilità musicale lo rendeva stranamente emotivo durante le ascensioni. Si potrebbe dire che Egli sentisse musicalmente la montagna. tanto da lasciare talora scritte le sue impressioni con frasi musicali. Una descrizione d'una burrascosa giornata al Rifugio delle Jorasses si può trovare sul libro della Capanna, dipinta con un famoso brano di Wagner. Con profonda tristezza, con inesprimibile rimpianto, gli amici, che contava numerosi, soprattutto a Firenze ed a Milano, ricordano oggi il grande Ragazzo, dagli occhi buoni e profondi, stranamente semplice, perpetuamente distratto, che agli agi di una vita comoda e facile preferiva, in qualunque momento, la semplicità di una capanna, un lembo di cielo, il verde di un prato ed una abbondante ciotola di latte.

Il necrologio del AAC

Pubblicato su AAJ, Vol.2, n.1, 110-113 (1933). Il testo originale è disponibile qui; la libera traduzione è mia. L'autrice, indicata come E.K., è Elizabeth Knowlton, unico altro membro americano della spedizione al Nanga Parbat del 1932 con ruolo di corrispondente. EK scrisse anche una poesia dedicata ad ARH nel 1934, ora conservata tra la sua corrispondenza alla Univ. of New Hampshire. Willy Merkl, il capo spedizione (che morirà tornando sul Nanga Parbat nel 1934), dedica un paragrafo al ricordo di ARH sull'Himalayan Journal del 1932 [10] (consultabile qui), riportato dopo lo scritto di EK.

Il 13 ottobre 1932, Elbridge Rand Herron, di ritorno dall'India con una spedizione che aveva tentato il Nanga Parbat, compì un'escursione di un giorno al Cairo e salì la Seconda Piramide. Aveva superato la difficile parte superiore con gran soddisfazione e stava scendendo di corsa lungo la parte facile quando un piede scivolò su un sasso mobile. Cadde per 100 metri e morì sul colpo.
Rand Herron aveva scalato quasi interamente con europei e viveva in questo paese da solo due anni, ma si era sempre considerato completamente americano, anche se la sua vita e il suo alpinismo americani erano solo all'inizio e molto poco si sa di lui qui.
Era nato a Pegli, Italia, il 23 luglio 1902. I suoi genitori erano entrambi americani: suo padre, George Herron, un noto socialista e internazionalista; sua madre, Caroline Rand, figlia del fondatore della Rand School a New York. Trascorse la sua infanzia in una splendida antica villa alle porte di Firenze, dove i suoi genitori ricevevano ospiti liberamente, avendo così l'opportunità di frequentare diverse persone interessanti e notorie. Qui nacque il fratello, George Davis Herron, che gli sopravvive. Quando aveva dodici anni, sua madre morì, e suo padre si trasferì in campagna fuori Ginevra. Là Rand andò a scuola per otto anni. Tornarono a Firenze in tempo perché lui iniziasse l'Università, dove si laureò in filosofia.
Sin dalla sua prima giovinezza, i suoi interessi principali furono la musica, che coltivò per tutta la vita, e l'alpinismo. A causa di complicazioni familiari non fu in grado di iniziare ad arrampicare fino a poco più che ventenne, ma desiderò sempre farlo: aveva ricoperto le pareti della sua stanza con immagini di montagna e per lui uno dei più grandi eventi della sua fanciullezza fu una salita con lo zio nel Wellenkuppe.
Nei suoi sette anni di arrampicata prima della morte, spaziò in ogni dove. Scalò intensamente e brillantemente nelle Alpi, in genere senza guida, conducendo molte prime ascensioni, ottenendo il record di altezza sulla parete nord delle Grandes Jorasses e ripetendo alcune delle vie più dure nel Kaisergebirge. Assaporò l'arrampicata su metà delle maggiori e minori catene montuose d'Europa. Vagabondò da solo per la Corsica, sopra il Parnaso e le cinque vette dell'Olimpo, dove bivaccò due notti. Con amici andò nell'Alto Atlante in Marocco e nelle montagne della Lapponia in inverno. Nel Caucaso compì la prima salita del Guilchi e di altre cime. E la scorsa estate, come unico alpinista americano della spedizione himalayana tedesco-americana al Nanga Parbat, fu il primo a giungere sulla montagna e l'ultimo a lasciarla, raggiungendo una quota di oltre 6700 metri.
Nel frattempo non trascurava la musica, ma trascorreva i suoi inverni a studiare a Vienna, Berlino, Roma e Mosca. A Berlino perfezionò il tedesco che, con l'inglese appreso in famiglia, il francese a Ginevra e l'italiano a Firenze, gli diede la padronanza di quattro lingue, che parlava in modo assolutamente interscambiabile. Aveva un dono naturale per le lingue, ed era più o meno a suo agio con altre sette.
Nel 1929 venne in America e si stabilì a New York. Qui si diede all'aviazione ed ottenne il brevetto di pilota. Inoltre, fu qui che incontrò Allen Carpe, che ammirava molto. Si trovarono l'un l'altro immediatamente congeniali, e scalarono insieme spesso lungo l'Hudson.
È difficile descriverlo senza sembrare assurdamente elogiativi. Aveva certamente un sacco di difetti, la maggior parte dei quali sarebbe stato il primo a riconoscere. Ma aveva anche molti pregi e qualità di solito non uniti nella stessa persona.
La prima impressione che sembrava fare su quasi tutti era di giovinezza - giovinezza timida, impaziente ed entusiasta. Dietro la sua timidezza presto emergeva un grande fascino e un'amabile allegria. Era una persona naturalmente felice. Il suo senso dell'umorismo era quello di un bambino; ci prendeva in giro, scherzava e scoppiava in una risata.
Tra i molti aspetti della sua persona, forse il più importante è stato quello di artista, amante appassionato della bellezza e suo creatore. "Genio" è una parola da usare con molta attenzione, ma a tutti quelli che lo conoscevano intimamente diede la netta impressione di averne almeno un tocco di autentico. Scrisse poesia italiana vivace e affascinante ed era a metà di un romanzo. Suonava con raffinata facilità il pianoforte, l'organo e il clavicembalo, e improvvisava deliziosamente. Il suo maggior talento era la composizione musicale, e diversi musicisti affermarono che prometteva di diventare uno dei più importanti compositori americani. Parte della sua musica è già stata suonata a Firenze e  Mosca, e la sua "Cantata al Sole" per coro sarà probabilmente eseguita in California questa primavera. In ogni cosa era tremendamente ambizioso, e capace di duro ed intenso lavoro a sostegno delle sue ambizioni.
Aveva anche una mente brillante e poliedrica. Padroneggiava questioni pratiche con comprensione immediata, esplorando e pesando le possibilità, facendo attenzione a tutte le eventualità, pianificando minuziosamente nei minimi dettagli. Questioni più teoriche, sociali o politiche o estetiche, erano considerate sempre con caldo e vivo interesse, con un occhio per i valori fondamentali e una visione equilibrata di entrambe le parti. Era spassoso sentire con che gusto argomentasse per entrambe le parti di quasi tutte le questioni, perché era violentemente intollerante delle intolleranze. Nei giudizi che lo riguardavano ha mantenuto generalmente la stessa allegra obiettività e imparzialità.
Nella nostra spedizione la scorsa estate ha mostrato soprattutto i lati attivi, pratici e avventurosi del suo carattere. Ha dimostrato di essere un "uomo completamente sano". Era sempre pronto a fare più della sua parte, sempre desideroso di andare avanti, leale ed efficiente così come entusiasta. Non solo durante la spedizione, ma per tutta la sua vita, si è sempre, con gran premura, assunto ogni sorta di responsabilità. Sembrava automaticamente essere quello su cui si contava per occuparsi di tutte le faccende, o per prendersi cura delle persone; perché era affidabile e rispettoso degli altri, e sempre incredibilmente gentile. In tutti gli sforzi e tensioni dell'estate, rimase socievole e di buon carattere, e fanciullescamente ansioso di mantenere ogni cosa allegra e cordiale. "A tutti piaceva Rand", disse un amico.
Per quanto mi riguarda, non ho mai visto nessuno che abbia vissuto più sensibilmente ogni circostanza, buona o cattiva, sempre con un'essenziale capacità di accettazione, uno che amasse di più la vita, che vi mettesse o ne godesse di più.
"Dopo i primi istanti", scrive un compagno di arrampicata dall'India, "ho capito che era un uomo eccezionale, e questa intuizione crebbe poi intensamente... Gli dei hanno trattato duramente chi possedeva un così bell'animo".
Il suo profondo amore per l'alpinismo rivelava molti lati di lui, quello pratico, intellettuale, estetico, gioiosamente avventuroso. C'era anche un ceppo di romantico misticismo. "Anche se noi scalatori di solito non lo ammettiamo," scrisse alla signora Carpe, "siamo sempre più o meno consci che il richiamo strano e irresistibile delle montagne è anche una chiamata verso la fine della vita. E proprio per questo le amiamo ancora di più, e troviamo la loro chiamata più sublime. Desiderio segreto del nostro cuore è che la nostra fine sia tra loro". Sembra la beffa finale della sua breve vita, con tutte le promesse non mantenute, che abbia dovuto incontrare la fine che ha fatto.

Da L'attacco al Nanga Parbat, 1932, di Willy Merkl [10] (traduzione mia):
[...] Non riesco a pensare ora ai miei amici senza menzionare il nome di colui che ci è stato sottratto per sempre da una terribile disgrazia - Rand Herron. Nel viaggio di ritorno, il 13 ottobre, è caduto mortalmente dalla Piramide di Chefren vicino al Cairo. Per tutta la spedizione è stato un compagno ideale, sempre battendosi in prima linea, sempre sforzandosi per il nostro obiettivo comune e sacrificandosi volentieri. Ha sfidato tutti i pericoli dell'Himalaya; ma il muro di 150 metri della Piramide, costruita per mano dell'uomo, ha causato la sua morte. Tale fu la tragedia straordinaria e inquietante della sua fine. [...]

Elenco (incompleto) delle salite di ARH (ulteriori contributi sono apprezzati)

1926/8/6: Cima Rosetta, parete S. Con Emilio Segrè, Piero Franchetti, Emilio Ciaranfi e Giovanni Enriques [3];

1927 (aprile?): Cime N (con un locale) e E (solo) del Toubkal, regione dell'Atlante; 1a asc. [11];
1927/7/11: Aiguille de la Brenva, parete O, 1a asc. Con Piero Ghiglione, Ottorino Mezzalama, Francesco Ravelli, E.(o F.?) Scalvedi [12] (su Lo Scarpone n.19 del 1941 si parla però di salita non integrale);
1927 (luglio): Tete de Trelaport, cresta di fronte al Doigt, 1asc. Con Evariste Croux [13];
1927/10/14: Pizzo Intermesoli, canale Herron-Franchetti, 1asc. Con Piero Franchetti [14].

1928/7/22-23: Grandes Jorasses, cresta di Tronchey, parete O, 1a asc. Con Evariste ed Eliseo Croux [12,15];
1928/8/10: Grandes Jorasses, sperone Walker, parete N, tentativo fino a 700m dalla partenza. Con Leopoldo Gasparotto, Piero Zanetti, Armand Charlet, Evariste Croux [12];

1929: colle Ghiulcì (con Leopoldo Gasparotto), colle Ronchetti e punte Ghiulcì (con Leopoldo Gasparotto, Ugo di Vallepiana e Rolph Singer, il 25/7), regione del Caucaso, tutte 1a asc. [12,16];

1930/6/15: Piramide Casati, parete NO, 1a asc. Con Leopoldo Gasparotto [17];

1931/6/7: Zucco Pesciola, parete N, 1a asc. Con Leopoldo Gasparotto [18];
1931/8/29: Corno Bianco, parete N, 1a asc. Con Ninì Pietrasanta e Giuseppe Chiara [12,19,20];
1931: Monte Bianco (dalla Brenva) [12];
1931: diverse salite nel Kaisergebirge, come indicato in [21,22].

1932 (aprile-settembre): spedizione tedesco-americana al Nanga Parbat. con Willy Merkl (capo spedizione), Fritz Wiessner, Peter Aschenbrenner, Fritz Bechtold, Herbert Kunigk, Felix Simon, Hugo Hamberger (medico), Elizabeth Knowlton (corrispondente) [23].


Bibliografia

[1] I disegni di Giovanni Colacicchi a Casa Siviero, Firenze, Museo casa Siviero (2014).
[2] E. Segrè, Autobiografia di un fisico, Il Mulino, Bologna (1995).
[3] S. Gerbi, Giovanni Enriques, dalla Olivetti alla Zanichelli, Hoepli (2013)
[4] New York Times, 14 ottobre 1932. L'articolo è disponibile (a pagamento) qui.
[5] Rivista di Firenze, anno 1 n. 2, p. 24 (1924). Disponibile online qui.
[6] Club Alpino Italiano, Rivista mensile Vol. 52, n. 2, pp. 104-108 (1933).
[7] Lo Scarpone n. 23, 1 dicembre 1932.
[8] American Alpine Journal, Vol. 2, n. 1, 110-113 (1933).
[9] G. D. Herron, The revival of Italy, Allen & Unwin, Londra (1922). Disponibile online qui. Nel libro GDH pare auspicare una svolta socialista moderata per l'Italia, che certo ci avrebbe risparmiato il tragico teatrino del ventennio. Peccato che le sue previsioni non siano state proprio esatte...
[10] W. Merkl, Himalayan Journal Vol. 5 (1933)
[11] Club Alpino Italiano, Rivista Mensile Vol. 47, n. 1-2, pp. 2-6 (1928).
[12] Club Alpino Accademico italiano, Annuario 1927-1931. ARH è incluso nel gruppo di Torino.
[13] Club Alpino Italiano, Rivista Mensile Vol. 49, n. 2, p. 45 (1930).
[14] L. Grazzini, P. Abbate, Gran Sasso, CAI-TCI, p. 201 (1992). Grazie a Matteo per l'informazione bibliografica.
[15] Club Alpino Italiano, Rivista Mensile Vol. 48, pp. 192-196 (1929).
[16] Club Alpino Italiano, Rivista Mensile Vol. 49, n. 3, pp. 133-149 (1930).
[17] S. Saglio, Le Grigne, CAI-TCI, pp. 296-297 (1937).
[18] Club Alpino Italiano, Rivista Mensile Vol. 50, n. 9, pp. 561-562 (1931).
[19] Club Alpino Italiano, Rivista Mensile Vol. 51, n. 1, pp. 29-32 (1932).
[20] Lo Scarpone anno 2, n. 20, p. 1 (1932).
[21] Club Alpino Italiano, Rivista Mensile Vol. 51, n. 11, pp. 659-677 (1932).
[22] Lo Scarpone anno 2, nn. 17 e 18, p. 2 (1932)
[23] Si veda ad esempio il resoconto della Knowlton su AAJ, Vol. 2, n. 1 pp. 18-31 (1933). Disponibile qui.

lunedì 25 agosto 2014

Avenida Miraflores

Sul 3° tiro.
Giancarlo e Massimiliano sul 3° tiro.
Tracciato della via (arancione). In rosso la via
Gli antichi futuri.
Zucco Barbisino (Gruppo dei Campelli)
Parete S


Anche in quest'agosto piovoso non può mancare una visita al gruppo dei Campelli, meglio se rivolto verso le pareti S nella speranza d'intercettare qualche vago raggio di sole. L'abbondante acqua caduta il giorno precedente ci fa optare per una via tendenzialmente asciutta, allontanandoci dalle colate d'acqua della Rampini; ci portiamo pertanto presso gli invitanti fittoni di questa via, che termina sulla cengia mediana. Volendo, è possibile proseguire per gli ultimi due tiri della Rampini.
Accesso: raggiungere i pressi del rif. Lecco dalla funivia dei Piani di Bobbio o da Ceresole di Valtorta e da qui risalire il lato sinistro del Vallone dei Camosci lungo la pista da sci o lungo il percorso dello skilift alla sua sinistra. Giunti all'altezza del capanno dove termina lo skilift si sale direttamente per prati verso la parete del Barbisino, puntando all'evidente camino dove sale la via Gli antichi futuri. Pochi metri a sinistra c'è uno spiazzo erboso dove parte la via (fittoni visibili). Dal capanno si può anche seguire l'evidente sentiero che sale verso sinistra e deviare poi in orizzontale verso destra per prati all'altezza della parete, fino a giungere all'attacco.
Relazione: via di carattere moderno che sale il pilastro di sinistra del camino degli Antichi futuri, ben protetta a fittoni tranne un tratto più facile nel secondo tiro dove la distanza aumenta un poco e che ovviamente era un po' bagnato (la solita fortuna!). Sarà la forma che manca, sarà il freddo, sarà qualche breve tratto bagnato, ma l'arrampicata mi è parsa ben sostenuta. Inutili le protezioni veloci; portare solo un decina di rinvii. Tutte le soste sono attrezzate con due fittoni, catena ed anello di calata.
1° tiro: salire verso una spaccatura obliqua, superare uno strapiombino sul lato sinistro, traversare un poco a destra e superare un muretto verticale oltre il quale finiscono le difficoltà; 20m, 6a; 9 fittoni, 1 chiodo.
2° tiro: superare il breve strapiombo appena a destra della sosta, poi salire il muretto lievemente a sinistra fino ad una cengia. Ci si sposta sul filo dello spigolo e si risale brevemente, per poi tornare verso sinistra e salire alla sosta; 25m, 6b; 10 fittoni + 2 spit vecchi sostanzialmente inutili.
3° tiro: traversare il canale verso destra, superare un paio di muretti intervallati da erba e salire per una placchetta e roccia più lavorata fino alla sosta; 30m, 5c; 11 fittoni, 1 fix.
Discesa: in doppia sulla via oppure per comodo sentiero. In questo caso seguire la taccia verso sinistra (viso a monte) e raggiungere la sella donde si scende ancora a sinistra per il sentiero di salita.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

martedì 19 agosto 2014

Ristorante Pampero

Via Nazionale, 29
Ranzanico al lago (BG)


Sì, lo so che il pesce di mare è tutt'altra cosa; i sapori, la varietà, ecc. ecc. Lo so. Però ogni tanto mi assale quella voglia di un bel pranzo a base di pesce di lago e non c'è niente da fare: si cerca un ristorante non troppo lontano e via. Questa volta la scelta è stata un po' più travagliata del previsto poiché pare che il martedì sera sia praticamente impossibile trovare un ristorante aperto, il che mi porta a confessare che ci eravamo indirizzati altrove per poi "ripiegare" su questo posto. Ripiego invero "di lusso"; il locale mi era noto come ristorante di buon livello e prezzo conseguente, e non mi ha deluso. Bella veranda esterna con vista sul giardino (in realtà quando siamo stati noi diluviava ed era meglio starsene all'interno), tavoli elegantemente apparecchiati, servizio professionale, tutto molto curato.
Dopo un (parco) pinzimonio come stuzzichino, noi abbiamo scelto il menù di lago, che inizia con un salmerino marinato e una strepitosa mousse di lavarello con verdurine. Si passa poi a dei tagliolini al ragù di lago e zafferano che non sono da meno, sia per quanto riguarda la pasta - fatta in casa - che il ragù e si prosegue con un pesce persico alle mandorle su cui ero un po' scettico prima di assaggiarlo, ma che non fa rimpiangere il resto.
Dopo tutto ciò ci si sarebbe aspettato un finale in crescendo; invece la tarte tatin di mele con gelato alla panna se ne va senza infamia e senza lode e non rende giustizia a ciò che l'ha preceduta; peccato. Insieme al pane resta l'unica nota "ordinaria" di un menù davvero interessante.
Decisamente fornita la carta dei vini, senza una predilezione particolare. Noi abbiamo accompagnato la cena con un bianco valdostano dell'azienda Les Crêtes e terminato con un distillato di mele cotogne. Un posto dove tornare, magari per assaggiare la proposta di carne.

venerdì 15 agosto 2014

Un posto al sole + via della loffa

Teo sul 1° tiro
Sul 2° tiro
Sulla cresta
Teo sul 4° tiro
Sul 5° tiro
Teo sull'8° tiro
Sull'8° tiro
Tracciato (solo Via della loffa)
Torre dell'Emmele - Piccole Dolomiti
Cresta SE e parete E


Cominciamo subito col dire che la "loffa" in questione non è quella che pensate voi! Dopo cotal incipit, diamoci un contegno e cambiamo registro: nell'Introduzione ad una critica della geografia urbana, Guy Debord consigliava di esplorare le città vagando senza meta oppure armandosi di una mappa di una città diversa. Fedeli al verbo situazionista, noi abbiamo applicato il metodo psicogeografico all'alpinismo, salendo una via con la relazione di un'altra! Per soprammercato, seguendo una certa moda da noi invalsa, l'abbiamo fatto a nostra insaputa. Così la facile placchetta od il muretto di IV si riveleranno poi VI-/VI, il tiro che "è dato da 45m" porterà le corde ad un attrito terribile, e così via. Ma il bello è che un sacco di cose combaciano: primo tiro placca, lunghezza giusta, poi muretto e così via: merito dell'intuizione debordiana o della poca varietà delle vie di arrampicata?
Se non volete seguire questo approccio, potete dare un'occhiata al seguito. Sarà forse meno evocativo, ma eviterà alla vostra autostima di finire sotto i piedi dopo aver penato su un (presunto) IV grado...
Accesso: dal pian delle Fugazze si prende la strada per l'ossario del Pasubio e al bivio si tiene a destra per la strada del re. Si parcheggia all'altezza della sbarra (pochi posti disponibili) e si prosegue lungo la strada fino a dove si stacca il sentiero per le sella dell'Emmele e per il sentiero Peruffo Bruno (indicazioni). Si segue il sentiero fino al decimo tornante, dove si prende sulla sinistra (indicazioni) il sentiero Peruffo Bruno (ma non potevano chiamarlo "Bruno Peruffo" anziché declassarlo a nome da elenco telefonico o da visita militare?). Il sentiero perde lievemente quota e passa sotto un pilastro dov'è l'attacco della via un posto al sole. Ometto alla base, chiodi visibili. 40' circa.
Relazione: concatenamento decisamente consigliato che permette di salire interamente la parete della torre, risultando in un buon sviluppo. Chiodatura tradizionale e artigianale ottima lungo tutto il percorso; sono praticamente inutili le protezioni veloci. Roccia che lascia qualche dubbio quando si affrontano i pilastrini del 3° e 5° tiro, per non parlare del 9°; buona nel resto del tracciato.
1° tiro: salire la placca o la fessura alla sua destra fino al chiodo, indi traversare verso sinistra a raggiungere lo spigolo e salire per facili rocce fino ad una zona di rocce rotte. Non salirle, ma portarsi a destra alla sosta; 40m, V, V+, IV; 4 chiodi, 1 cordone in clessidra. Sosta su albero con cordone.
2° tiro: salire la parete, spostarsi a sinistra e raggiungere un ripiano dove si sosta; 30m, IV, VI-, V, IV; 6 chiodi. Sosta su cordone su spuntone e chiodo.
3° tiro: salire a destra della sosta su rocce dall'apparenza dubbia. Un passo delicato porta a rocce più facili e alla sosta in cima al pilastro; 30m, IV+, V+, IV; 5 chiodi, 1 cordone in clessidra. Sosta su cordone su spuntone.
Da qui conviene proseguire in conserva (se non slegati) per circa 100-150m di cresta con passaggi di III (chiodi e soste intermedie presenti), fino a portarsi sotto la parete della Torre dell'Emmele dove inizia la via della loffa (sosta su cordone in clessidra). Qui si può anche giungere direttamente dal sentiero della loffa (bolli rossi presenti).
4° tiro: salire pochi metri, aggirare a destra uno spigolino e salire una rampa verso sinistra; 30m, IV+, V-, III; 3 chiodi, 2 cordini in clessidra. Sosta su pino mugo con coroni e maglia-rapida.
5° tiro: salire qualche metro fino ad un masso dall'aspetto preoccupante legato da un cordino con chiodo (se cade, ricorderete con affetto il vostro compagno in sosta). Portarsi sulla destra e salire un diedro-fessura uscendone sulla destra per proseguire su rocce più facili fino alla sosta; 35m, IV+, V+, IV+; 3 chiodi, 2 cordoni in clessidra, 1 chiodo con cordone su masso. Sosta su pino mugo con cordoni.
6° tiro: a sinistra della sosta, poi a destra su una bella placca che conduce in sosta in una nicchia sotto dei piccoli tetti; 25m, IV+, V-; 3 chiodi. Sosta su 3 chiodi e cordone con maglia-rapida.
7° tiro: uscire a sinistra della nicchia e proseguire per una rampa erbosa fino alla sosta; 10m, IV, II; 1 chiodo, 1 cordone in clessidra. Sosta su tre chiodi e cordone. Tiro breve, ma necessario per evitare attriti alle corde.
8° tiro: salire in verticale, poi attraversare a sinistra, salire ancora verso un chiodo con cordone e attraversare ancora a sinistra (attenzione a non stare troppo alti) fino allo spigolo, poi per placche ancora in obliquo verso sinistra fino alla sosta; 40m, IV+, V, VI, V+, III; 8 chiodi (uno con cordone), 1 sosta intermedia (2 chiodi, cordone). Sosta su 2 chiodi con cordone e maglia-rapida.
9° tiro: a destra fino ad una fessura di roccia malsicura che si risale uscendo sulla destra e proseguendo sempre a destra fino ad una seconda fessura che si allarga a camino, che si segue fino alla sosta; 40m, V-, IV, III; 7 chiodi. Sosta nel camino su 3 chiodi e 1 cordone in clessidra.
10° tiro: salire la paretina sopra la sosta e spostarsi su un masso incastrato che conduce fuori dal camino. Proseguire poi tra mughi fino alla sosta; 50m, IV, II; 1 chiodo. Attrezzare la sosta su spuntoni.
Discesa: proseguire in direzione N fino ad identificare dei bolli che marcano il sentiero che conduce alla sella dell'Emmele; da qui per comodo sentiero si torna alla strada del re. Un'oretta circa.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

martedì 12 agosto 2014

Spigolo Noaro

Sul 1° tiro
Teo sul 2° tiro
Sul 2° tiro
Sul 3° tiro
Teo alla 2a sosta
Tracciato della via
Pilastro del vaio stretto - Piccole Dolomiti
Spigolo NE


Dopo che la sorte ci è stata benigna nei giorni al Sella, ci riproviamo in Piccole Dolomiti, nella speranza che la minor quota ci sia ancor propizia. L'arrivo assai tardivo al Pian delle Fugazze farebbe propendere per un inizio di fine-settimana all'insegna della crapula, ma scorgendo una via da farsi "al volo", corta e facile, non sappiamo resistere e saliamo lo spigolo Noaro: ottima decisione, bella salita, se non fosse che non avevamo calcolato il tempo di discesa! Siate pertanto più accorti dei sottoscritti (cosa non difficile), se avete poco tempo a disposizione.
Accesso: dal passo di Pian delle Fugazze si prende la strada per l'ossario del Pasubio fino all'altezza della malga Cornetto, dove si parcheggia sulla sinistra. Dalla malga si sale seguendo il segnavia 44 (all'inizio poco evidente; tenere eventualmente la destra salendo) che diviene poi 150, insieme alle indicazioni per il vaio stretto. Dopo un tratto più ripido e uno breve attrezzato con catena ci si infila in un buco e si... "sbuca" nel vaio stretto, con di fronte il profilo dello spigolo in evidenza. Si scende nel canale per qualche decina di metri fino ad una traccia sulla destra che prosegue in piano e conduce, con qualche passo di arrampicata (II) ad una terrazza su filo dello spigolo dove inizia la via. Cordini con maglia-rapida su mugo alla base. Circa tre quarti d'ora il tempo necessario.
Relazione: via molto bella e facile su roccia ottima e ben chiodata (a parte i tratti più facili); è un po' sorprendente che la via sia stata aperta "solo" nel 1957 e non prima. Consigliata come preambolo a vie che attaccano sui torrioni superiori o - nel nostro caso - come via tardo-pomeridiana; attenzione alla discesa che richiede tanto tempo quanto la via!
1° tiro: salire per roccette e mughi seguendo il filo dello spigolo, superare un primo ripiano e proseguire fino ad una cengia sulla destra dov'è ubicata la sosta; 55m, II+. Sosta su due golfari.
2° tiro: riguadagnare lo spigolo e portarsi sul lato sinistro dove si sale per rocce rotte a sinistra di una fessura-camino; ci si sposta poi nella spaccatura per risalire fino alla nicchia di sosta; 55m, III, III+, IV, 1 golfaro, 3 chiodi. Sosta su 2 golfari. E' possibile, anzi consigliabile spezzare il tiro in due facendo sosta sul golfare dopo circa 30m per via dell'attrito delle corde sullo spigolo.
3° tiro: salire la bella placca sopra la sosta puntando al tetto, che si supera sulla sinistra in corrispondenza di una spaccatura; proseguire poi per rocce rotte fino ad un terrazzo sulla destra dove si sosta; 30m, IV+, forse passo iniziale di V-; 4 chiodi. Sosta su un golfare (sono due, ma piuttosto distanti tra loro).
Discesa: non banale e con tratti esposti; fare attenzione. Si seguono tracce che risalgono la cresta terminale dello spigolo, si scende leggermente e si passa attraverso un foro. Si scende ancora un paio di metri fino ad un terrazzino con sosta di calata (2 chiodi, 1 spit, cordoni e maglia-rapida), da dove ci si cala per 15m circa fino ad una terrazza. Si aggira sulla sinistra il pinnacolo di fronte per una cengia facile, ma esposta, e si perviene alla seconda sosta di calata (cordino su spuntone con maglia-rapida). Con altra calata di 15m si è allo sbocco del vaio stretto. Da qui dovrebbe essere possibile scendere direttamente nel vaio ricongiungendosi col sentiero di salita (ma voci dicono che la ferrata sia stata smantellata); noi abbiamo preferito una soluzione più comoda anche se più lunga: si sale alla sella dell'Emmele per un ghiaione e da qui si scende alla strada del re che si segue verso sinistra fino al parcheggio. Calcolare poco meno di un'oretta e mezza.
In alternativa ci si può calare in doppia lungo la via fino alla prima sosta su cengia e da qui direttamente nel vaio stretto, da dove si recupera il sentiero di accesso.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

giovedì 7 agosto 2014

Ludomania

La partenza del 2° tiro
Teo sul 3° tiro
Sul 4° tiro
Teo sul 5° tiro
Tracciato della via
Col de stagn - Gruppo del Sella
Parete Est


Ci sono quelli che sulle Dolomiti vorrebbero scalare solo su chiodi, possibilmente anteriori alla seconda guerra mondiale, meglio se pochi e insicuri; quelli che odiano uno spit più di un evasore fiscale (categoria che in Italia conta invero molti estimatori). Di fronte a cotal integrità io mi tolgo rispettosamente (e metaforicamente) il cappello e mi rallegro della mia laicità che mi porta ad accettare e apprezzare entrambi i mondi. Va così a finire che, dopo la salita allo spigolo del Col de stagn, sotto scacco per le previsioni meteo (che alle 8 di mattina sbagliano totalmente a indicare cosa succederà alle 11!), seguiamo il consiglio del gestore del rif. Kostner e saliamo una via sportiva del 2013 sulla stessa parete. Arrampicata piacevole e senza grossi patemi, l'ideale per il tempo incerto o come partenza per un concatenamento. Per noi il concatenamento è stato con... il ritorno a casa, non senza la canonica sosta per una Sachertorte.
Accesso: da Corvara ci si porta alla stazione superiore della cabinovia del Boè, dove si prende il sentiero 638 che sale vicino alla seggiovia per deviare poi a sinistra sul sentiero 636. Quando il sentiero comincia a scendere, ormai prossimi al Col de stagn, conviene deviare per prati portandosi alla base della parete senza perdere quota, evitando così di dover risalire un canale ghiaioso. Se invece si parte dal Rif. Kostner, si segue il 638 in discesa, ma conviene tagliare verso destra per prati in vista della parete, scendendo un breve canalino friabile che porta sotto la parete congiungendosi coll'itinerario precedente. Si costeggia quindi la parete fino all'altezza di un marcato pilastro che si oltrepassa quasi del tutto. Prima di attraversare un canale di ghiaia si sale per rocce rotte a destra di un avancorpo, in una specie di insenatura, fino all'attacco (spit visibili). Spit alla base con vaghi resti di ometto.
Relazione: via che risale il pilastro centrale della parete del Col de stagn con una linea molto bella e logica, ben indicata dagli spit. Protezioni buone, un po' più distanziate su qualche tratto facile; inutili in ogni caso friend e altro: portare solo una decina di rinvii. La qualità della roccia migliora salendo, ma c'è bisogno di un po' di pulizia. Anche in questo caso qualche alpinista d'antan era salito per una linea molto simile a questa (almeno nella parte alta), lasciando una fila di chiodi a pressione sul 4° tiro. La parte bassa, su placche e muretti, è con ogni probabilità nuova.
1° tiro: salire per placche fino ad una rampa erbosa che si segue verso destra fino alla sosta; 30m, 5a; 6 spit. Sosta su 2 spit con maglia-rapida e cordone.
2° tiro: salire lo strapiombino sopra la sosta (più facile a sinistra), poi un secondo muretto (passo-chiave ben protetto) e proseguire su terreno più semplice piegando lievemente a destra per giungere alla sosta; 35m, passo di 6a; 8 spit. Sosta su 2 spit con maglia-rapida e cordone.
3° tiro: a destra della sosta fino ad uno spigolo che si segue verso sinistra e poi in verticale fino ad un pilastro dove si sosta; 25m, 4c; 5 spit. Sosta su 2 spit con maglia-rapida e cordone.
4° tiro: vicino alla fessura tra pilastro e parete salgono i chiodi a pressione. Gli spit invece portano a sinistra in bella esposizione e poi in verticale fino alla cima del pilastro. Un breve tratto facile porta ad un secondo muretto che adduce alla sosta; 30m, 5b; 6 spit. Sosta su 2 spit con maglia-rapida e cordone.
5° tiro: salire il breve muretto e proseguire per gradoni fino alla sosta; 30m, 5b; 5 spit. Sosta su 1 spit con maglia-rapida.
6° tiro: proseguire per facili rocce fino ad una zona con massi dove si sosta; 30m, I; 1 cordone in clessidra. Sosta da attrezzare su spuntone.
Discesa: si prosegue verso la cima del Col de stagn e si segue la traccia che porta al Rif. Kostner. Da qui si seguono le indicazioni precedenti.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

martedì 5 agosto 2014

Spigolo E

Sul 1° tiro
Teo alla 2a sosta
Teo sul 4° tiro
Sul 5° tiro
Tracciato della via
Col de stagn (Gruppo del Sella)

Anche il secondo giorno della nostra breve permanenza al Rif. Kostner è funestato da previsioni meteo scoraggianti. A caccia di qualcosa di asciutto, puntiamo sullo spigolo del Col de stagn, via breve e - sulla carta (libro Bernardi) - dalle difficoltà contenute. Ne è risultata una salita a cui non ero abituato da un po', con tutte le soste precarie e da rinforzare e con la conseguente tensione ad ogni tiro (mi è toccato pure "inaugurare" il martello che Giancarlo mi regalò l'anno scorso!). Anche stavolta il fato ci è stato benigno e l'arrivo al rifugio ha preceduto di poco il solito temporale pomeridiano.
Accesso: da Corvara ci si porta alla stazione superiore della cabinovia del Boè, dove si prende il sentiero 638 che sale vicino alla seggiovia per deviare poi a sinistra sul sentiero 636. Quando il sentiero comincia a scendere, ormai prossimi al Col de stagn, conviene deviare per prati portandosi alla base della parete senza perdere quota, evitando così di dover risalire un canale ghiaioso. Se si parte dal Rif. Kostner si segue il 638 in discesa, ma conviene tagliare verso destra per prati in vista della parete, scendendo un breve canalino friabile che porta sotto la parete. Si costeggia quindi la parete, si supera un pilastro con avancorpo dove parte Ludomania (fix visibile) e si continua fino all'evidente spigolo in corrispondenza di un canale. Si sale brevemente il canale e ci si riporta sotto la parete nei pressi di un pilastro. Cordone nero in clessidra alla base.
Relazione: La via sale lo spigolo con una bella linea diretta, ma richiede un po' di attenzione e familiarità con l'ambiente: pur se le difficoltà non sono estreme, le protezioni presenti sono minime e la roccia non è delle migliori (noi abbiamo scaraventato parecchi sassi nel canale ad ogni tiro, e meno male che il sentiero passa abbastanza lontano dalla parete). Necessari friend, fortemente consigliati martello e chiodi per rinforzare le soste. Detto ciò, se amate un po' di avventura, la via vi regalerà un'arrampicata "classica" in bella esposizione, mai faticosa a parte il passo-chiave di decisione. Aperta da sconosciuti, della loro impresa restano due vecchi chiodi; il resto è opera di Bernardi che l'ha riattrezzata (ma neanche troppo) di recente.
1° tiro: salire il pilastro fino alla sommità, spostarsi lievemente a destra e rimontare la placca che conduce alla sosta dove lo spigolo si impenna; 50m, III, IV-, III, IV; 1 cordone in clessidra. Sosta su un chiodo.
2° tiro: spostarsi a sinistra della sosta su roccia malsicura, risalire la rampa doppiando lo spigolo e continuare fino ad una nicchia gialla dove si trova la sosta; 25m, IV. Sosta su un chiodo.
3° tiro: attraversare un paio di metri a sinistra della sosta e risalire la parete puntando ad una seconda nicchia giallastra dov'è il passo-chiave (il chiodo che dovrebbe proteggervi sporge in maniera preoccupante e l'ho ribattuto per un quarto d'ora, ma è più robusto di quel che pare). Alzarsi a prendere una buona presa sulla destra, superare la nicchia con decisione uscendo sulla destra e proseguire su terreno più facile sul filo dello spigolo fino alla sosta; 35m, V+ (passo), IV, VI (passo), IV+; 2 chiodi. Sosta su due clessidre (una con cordone). La roccia qui non è male tranne - ovviamente - che nella nicchia giallastra, dove l'idea di avere la pelle appesa a mezzo chiodo mi ha fatto perdere due anni di vita! Calma: nella fessura sopra il chiodo entra a perfezione un C0.75 che dà sicurezza, volendo ci sta pure un C3 nella nicchia; cosa volete di più?
4° tiro: continuare sul filo dello spigolo fino ad uno strapiombo, attraversare a destra, rimontare una placca e spostarsi a sinistra doppiando ancora lo spigolo. Proseguire in parete fino alla sosta sul filo dello spigolo; 25m, IV-, V, IV+. Sosta su due chiodi.
5° tiro: a sinistra della sosta a superare un saltino, poi tornare verso lo spigolo e proseguire fino ad uscire dalle difficoltà. Continuare sullo spigolo fino alla sosta; 35m, IV+, IV, III. Sosta su clessidra con cordino. Se siete stanchi di precarietà, c'è una sosta a fix poco sotto sulla destra.
Discesa: si prosegue verso la cima del Col de stagn e si segue la traccia che porta al Rif. Kostner. Da qui si seguono le indicazioni precedenti.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

lunedì 4 agosto 2014

Via delle guide

Teo sul 1° tiro
Sul 2° tiro
Teo sul 2° tiro
Sul 4° tiro
Tracciato della via
La parete dopo il diluvio...
Pala delle guide (Gruppo del Sella)
Parete E


Se il maltempo vi costringe per tre giorni a riconsiderare i vostri piani, limitandovi a vie di 150m o giù di lì, ma tutte le volte vi lascia giungere al rifugio poco prima di scatenare il diluvio, si tratta di sfiga o fortuna? Il bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno? Noi questa volta abbiamo scelto di essere ottimisti e ci siamo gustati questo week-end al Rif. Kostner, con la sola accortezza di stare lontano dalle gocciolanti vie in camino - scelta che mi trova perennemente d'accordo. Dopo questa via abbiamo cercato l'attacco di Ercole senza troppo successo e siamo poi finiti sullo spigolo Kostner al Sass del Rifugio. Al rientro si è scatenato il diluvio!
Accesso: da Corvara si prende la cabinovia del Piz Boè e subito dopo la seggiovia del Vallon che deposita a 15' circa dal rifugio Kostner, ben visibile sulla sinistra. Si raggiunge il rifugio e si prende il segnavia 638 per deviare poco dopo a destra sul 672. Alla vostra sinistra c'è la parete di interesse, mentre sulla destra il sentiero costeggia il Sass del rifugio. Appena il sentiero si infila in un vallone (tracce di nevaio anche a stagione inoltrata) si attraversa a sinistra e ci si porta sotto la parete, seguendola fin oltre la colata nera di sinistra, dove inizia una cengia. Vecchio chiodo e scritta sbiadita all'attacco. Poco a sinistra sale una linea a spit che ricalca la via classica.
Relazione: la via sale per placca con bella arrampicata su roccia ottima e che asciuga facilmente. Chiodatura sufficiente, ma utili friend piccoli e medi per integrare. Il tracciato della via è stato poi "risistemato" (sic) con una linea a fix che corre praticamente coincidente con il tracciato classico. Noi abbiamo scelto di seguire quest'ultimo, ma confesso che non abbiamo resistito alla tentazione di utilizzare un paio di fix; sappiate quindi che in caso di difficoltà o maltempo è sempre possibile svicolare.
1° tiro: salire in verticale e superare un primo strapiombo, poi aggirare a sinistra un secondo salto, salire ancora e spostarsi a sinistra per rocce più facili fino alla sosta; 40m, IV+, V, 5 chiodi (2 ravvicinati). Sosta su due chiodi e uno spit con cordone.
2° tiro: proseguire in verticale a prendere un diedro-fessura, spostarsi poi a sinistra in placca e risalire fino alla sosta; 30m, IV+, V+, IV+, 3 chiodi (2 vicini). Sosta su 2 chiodi con cordone.
3° tiro: salire poco a destra della sosta fino ad una sosta a spit e proseguire lungo lo spigolo poco marcato; 30m, IV, III, 1 sosta intermedia (3 spit). Sosta su spuntone con cordino.
4° tiro: proseguire lungo il facile spigolo fino alla sommità; 40m, II, 1 cordone su spuntone. Sosta su due spit con cordone e moschettone (rotto).
Discesa: dalla sosta proseguire verso la sommità fino ad incontrare il sentiero 672 che si segue verso destra e che riporta nel vallone di partenza (tratti attrezzati). In alternativa è possibile spostarsi a destra dalla terza sosta fino a delle soste attrezzate per la calata in doppia.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.