Nonostante sia senza dubbio il mio favorito tra i vini, non bevo Barolo molto spesso; vuoi perché è un vino "esigente", vuoi perché i piaceri vanno anche centellinati per goderne appieno. È stato quindi una soddisfazione portare questa bottiglia di Barolo alla cena milanese di lunedì sera e verificarne le condizioni. In realtà, Settimo è un produttore con cui si va sul sicuro, ed ero certo che non mi avrebbe deluso: un amante della tradizione e delle grandi botti di rovere di Slavonia, con vini sinceri che ricordano la terra da cui sono nati, baroli che vanno subito al "dunque" senza perder tempo con le rotondità ed i tannini del rovere, perfino "aspri" al primo assaggio. Unico dubbio, l'annata, il 2002, che non è certo stata delle migliori. Ma a mio parere il vino si è difeso abbastanza bene (nonostante all'assaggio fossi già duramente provato dal punto di vista... etilico): bel colore rubino granato, spezie forse non troppo evidenti, consistenza buona anche se non quella che ci si aspetta nelle annate migliori. Insomma, un vino di una certa prontezza ed eleganza che ha comunque retto bene il suo decennio di invecchiamento. Chi consigliava di comprare i barolo 2002 visto il prezzo più basso delle altre annate non aveva tutti i torti...
La continuazione di tutto quello che era sulla pagina web ufficiale del PoliMI e che non è molto "ufficiale"... e qualcosa d'altro!
mercoledì 27 giugno 2012
martedì 26 giugno 2012
Mauri-Castagna
Il bellissimo diedro del 2° tiro |
Sempre diedro: il 3° tiro |
Giancarlo impegnato sull'ultimo tiro |
Tracciato della via. Si notano anche i camini Bramani e Castiglioni sulla sinistra |
Pilastro S dello Zuccone Campelli
Parete O
Dal punto di vista dell'arrampicata quest'anno si sta decisamente presentando come "casalingo": meno uscite dell'anno scorso e tutte o quasi concentrate "in zona". Il lato positivo è che mi posso togliere finalmente alcune piccole soddisfazioni a cui miravo da un po'. La Mauri-Castagna allo Zuccone Campelli è una di queste: adocchiata un paio di anni fa quando avevo ripetuto la vicina Comici-Cassin con Ivan, poi "mancata" in un paio di altre occasioni, era rimasta lì in sospeso. Domenica con Giancarlo saliamo con l'idea di fare un paio di viette e, dopo un riscaldamento sull'affollatissima Bramani-Fasana allo zucco Pesciola, attacchiamo la via.
Linea bellissima che sale l'evidente diedro con due tiri di grande soddisfazione e un tiro finale su placca verticale con passaggio singolo di 6a+ (modificato rispetto al tracciato originale), la via ha come unico inconveniente la sua brevità. Roccia buona, con un paio di prese "dubbie" che hanno però retto alla prova. Le protezioni sono comunque ottime a resinati, inutili friend e/o dadi; bastano 10 rinvii.
Accesso: dal rif. Lecco si segue il sentiero che risale tutto il vallone dei camosci sulla sinistra, deviando per traccia verso destra una volta giunti vicino allo Zuccone Campelli e puntando alla base dei due evidenti camini (risp. Bramani e Castiglioni) che ne segnano in maniera inconfondibile la parete. Da qui, seguire ancora la cengia verso destra fino all'attacco (scritta). Se invece provenite da una via allo Zucco Pesciola, conviene scendere dal canalone della normale, attraversare a destra appena possibile e risalire il canalone SEM fino a quando è possibile attraversare verso sinistra; si raggiunge così facilmente la cengia e l'attacco della via.
Relazione: pressoché inutile, vista la fila di fittoni resinati che indica dove andare. In breve:
1° tiro: salire la placca, saltare la prima sosta dopo circa 15m e proseguire fino alla sosta alla base del diedro; 40m, 5a.
2° tiro: salire il bellissimo diedro; tiro facile e divertente; 25m, 4c.
3° tiro: sempre nel diedro, con una presa che ispira poca fiducia subito all'inizio. Bel tiro di buona continuità; 30m, 5c (forse un passo di 6a un poco generoso).
4° tiro: placca finale con passaggio singolo, poi facile; 20m, 6a+.
Discesa: bastano due calate in corda doppia da 60m; colla prima si arriva alla base del diedro, poi da qui alla partenza.
Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.
Parete O
Dal punto di vista dell'arrampicata quest'anno si sta decisamente presentando come "casalingo": meno uscite dell'anno scorso e tutte o quasi concentrate "in zona". Il lato positivo è che mi posso togliere finalmente alcune piccole soddisfazioni a cui miravo da un po'. La Mauri-Castagna allo Zuccone Campelli è una di queste: adocchiata un paio di anni fa quando avevo ripetuto la vicina Comici-Cassin con Ivan, poi "mancata" in un paio di altre occasioni, era rimasta lì in sospeso. Domenica con Giancarlo saliamo con l'idea di fare un paio di viette e, dopo un riscaldamento sull'affollatissima Bramani-Fasana allo zucco Pesciola, attacchiamo la via.
Linea bellissima che sale l'evidente diedro con due tiri di grande soddisfazione e un tiro finale su placca verticale con passaggio singolo di 6a+ (modificato rispetto al tracciato originale), la via ha come unico inconveniente la sua brevità. Roccia buona, con un paio di prese "dubbie" che hanno però retto alla prova. Le protezioni sono comunque ottime a resinati, inutili friend e/o dadi; bastano 10 rinvii.
Accesso: dal rif. Lecco si segue il sentiero che risale tutto il vallone dei camosci sulla sinistra, deviando per traccia verso destra una volta giunti vicino allo Zuccone Campelli e puntando alla base dei due evidenti camini (risp. Bramani e Castiglioni) che ne segnano in maniera inconfondibile la parete. Da qui, seguire ancora la cengia verso destra fino all'attacco (scritta). Se invece provenite da una via allo Zucco Pesciola, conviene scendere dal canalone della normale, attraversare a destra appena possibile e risalire il canalone SEM fino a quando è possibile attraversare verso sinistra; si raggiunge così facilmente la cengia e l'attacco della via.
Relazione: pressoché inutile, vista la fila di fittoni resinati che indica dove andare. In breve:
1° tiro: salire la placca, saltare la prima sosta dopo circa 15m e proseguire fino alla sosta alla base del diedro; 40m, 5a.
2° tiro: salire il bellissimo diedro; tiro facile e divertente; 25m, 4c.
3° tiro: sempre nel diedro, con una presa che ispira poca fiducia subito all'inizio. Bel tiro di buona continuità; 30m, 5c (forse un passo di 6a un poco generoso).
4° tiro: placca finale con passaggio singolo, poi facile; 20m, 6a+.
Discesa: bastano due calate in corda doppia da 60m; colla prima si arriva alla base del diedro, poi da qui alla partenza.
Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.
Etichette:
montagna
Ubicazione:
Località La Piazza, 23816 Barzio LC, Italia
martedì 19 giugno 2012
Scempi con polenta e osei...
Bergamo: via Nullo verso via Mazzini |
Bergamo: via Diaz all'incrocio con via Nullo |
Un noto cantante che si crede un intellettuale, ma che ogni tanto - come si dice - ci prende, diceva anni fa in una peraltro antipatica canzone: "gli architetti son dei cani, concepiscono mostruosità". Più seriamente, si potrebbe discutere del ruolo dell'architettura oggi, dei famigerati archistar (povera lingua italiana!), del rapporto tra edificio e ambiente in cui viene costruito e della tendenza a dimenticarsene, o a tradurre tale rapporto nella mera costruzione di edifici "esemplari" che non hanno però fruizione. Oppure, più semplicemente, si potrebbe proporre l'ennesima parafrasi della storica battuta di Clemenceau: "L'architettura è cosa troppo importante per farla fare agli architetti".
Gli scempi architettonici a Bergamo non si contano; il di lor principe - per restare nell'ultimo mezzo secolo circa - resta l'orrendo seminario in Città Alta, che ne ha irrimediabilmente devastato il profilo e che già Borgese condannava negli scritti ripubblicati nel bel libro L'Italia rovinata dagli italiani. Gli epigoni in costruzione e/o quasi terminati sono invece molti: lo sciagurato complesso di via Autostrada, le torri della SACE, l'hotel sulla Briantea ed il complesso in zona ex-ENEL (e ne sto certamente dimenticando parecchi).
Parliamo di quest'ultimo, premettendo che non abito nelle vicinanze delle vie interessate. C'era una volta - racconta Amedeo - il cimitero napoleonico, che poi divenne un orto privato che occupava l'area dell'attuale parco Locatelli (a proposito, la ludoteca al suo interno si piazza illico immantinente sotto l'etichetta del post) e quella su cui fu costruita la sede ENEL, con l'edificio principale opera dell'architetto Alziro Bergonzo, 1910-1912, poi modificato negli anni '20.
Nel 2010 la vecchia sede è demolita, salvo l'edificio principale che sarà fagocitato nel nuovo complesso. Ricorsi, malcontento dei residenti, tutto ignorato. Ragioni più importanti prevalgono: che diamine, l'anima storica di Bergamo e la sua propensione al futuro si incontrano nel progetto residenziale recita il sito della società cui luccicano gli occhi. Il prestigioso studio, ecc. ecc., presente e passato si fondono, ecc. ecc., e soprattutto, i milioni di euro nelle casse del Comune per gli oneri sono argomenti che vincono ogni resistenza (questo ed altri scempi furono poi una causa non secondaria della disfatta della giunta di allora alle ultime elezioni, ma questo non ci riguarda).
Al di là delle linde simulazioni dei palazzinari, dove il verde che si vede è quello del parco già esistente, la realtà parla da sé, con queste fotografie prese dal quinto piano di un edificio in via Nullo: il complesso pensato con la testa e con il cuore (rivolti al portafoglio, aggiungo io) sopravanza di gran lunga le case adiacenti, innalzandosi ben al di sopra del precedente ed oscurando completamente la visuale su Città Alta; la cancellata liberty che circondava l'edificio è sparita - forse non era ecosostenibile o in classe A, oppure finirà ad adornare qualche casa privata; gli alberi secolari sono stati salvati per miracolo, ma nessuno crede che resisteranno a lungo.
Bergamo, o forse l'Italia intera, ha esaurito da più di 50 anni ogni spinta propulsiva accompagnata anche solo da barlumi di lungimiranza ed intelligenza. Resta la miopia politica, culturale ed artistica che produce la deriva di una città che aveva saputo preservare il suo patrimonio fino al dopoguerra. Qui non ci sono stati terremoti, ma le risate notturne al telefono imperversano come non mai.
Gli scempi architettonici a Bergamo non si contano; il di lor principe - per restare nell'ultimo mezzo secolo circa - resta l'orrendo seminario in Città Alta, che ne ha irrimediabilmente devastato il profilo e che già Borgese condannava negli scritti ripubblicati nel bel libro L'Italia rovinata dagli italiani. Gli epigoni in costruzione e/o quasi terminati sono invece molti: lo sciagurato complesso di via Autostrada, le torri della SACE, l'hotel sulla Briantea ed il complesso in zona ex-ENEL (e ne sto certamente dimenticando parecchi).
Parliamo di quest'ultimo, premettendo che non abito nelle vicinanze delle vie interessate. C'era una volta - racconta Amedeo - il cimitero napoleonico, che poi divenne un orto privato che occupava l'area dell'attuale parco Locatelli (a proposito, la ludoteca al suo interno si piazza illico immantinente sotto l'etichetta del post) e quella su cui fu costruita la sede ENEL, con l'edificio principale opera dell'architetto Alziro Bergonzo, 1910-1912, poi modificato negli anni '20.
Nel 2010 la vecchia sede è demolita, salvo l'edificio principale che sarà fagocitato nel nuovo complesso. Ricorsi, malcontento dei residenti, tutto ignorato. Ragioni più importanti prevalgono: che diamine, l'anima storica di Bergamo e la sua propensione al futuro si incontrano nel progetto residenziale recita il sito della società cui luccicano gli occhi. Il prestigioso studio, ecc. ecc., presente e passato si fondono, ecc. ecc., e soprattutto, i milioni di euro nelle casse del Comune per gli oneri sono argomenti che vincono ogni resistenza (questo ed altri scempi furono poi una causa non secondaria della disfatta della giunta di allora alle ultime elezioni, ma questo non ci riguarda).
Al di là delle linde simulazioni dei palazzinari, dove il verde che si vede è quello del parco già esistente, la realtà parla da sé, con queste fotografie prese dal quinto piano di un edificio in via Nullo: il complesso pensato con la testa e con il cuore (rivolti al portafoglio, aggiungo io) sopravanza di gran lunga le case adiacenti, innalzandosi ben al di sopra del precedente ed oscurando completamente la visuale su Città Alta; la cancellata liberty che circondava l'edificio è sparita - forse non era ecosostenibile o in classe A, oppure finirà ad adornare qualche casa privata; gli alberi secolari sono stati salvati per miracolo, ma nessuno crede che resisteranno a lungo.
Bergamo, o forse l'Italia intera, ha esaurito da più di 50 anni ogni spinta propulsiva accompagnata anche solo da barlumi di lungimiranza ed intelligenza. Resta la miopia politica, culturale ed artistica che produce la deriva di una città che aveva saputo preservare il suo patrimonio fino al dopoguerra. Qui non ci sono stati terremoti, ma le risate notturne al telefono imperversano come non mai.
lunedì 18 giugno 2012
A Federico
La parete SO della Presolana di Castione dove attacca la via A Federico |
1° tiro |
Sul bellissimo 3° tiro |
Callisto sul 6° tiro |
Tracciato della via |
Presolana di Castione
Parete SO
Ci sono salite che si fanno sapendo che il confine tra una riuscita perfetta e una debacle è sottile. Non eravamo oggettivamente pronti per questa via. Poco allenamento in palestra, poco su roccia... meglio sarebbe stato scegliere qualcosa di più tranquillo. Ma le giornate sono lunghe, la via la inseguivo dall'anno scorso e Callisto oppone solo una debole resistenza. Si va. Tutto bene all'inizio, poi le cose si complicano: al 4° tiro finisco fuori via e perdiamo un bel po' di tempo, le braccia cominciano a farsi sentire e rendono i passaggi, spesso atletici, ancora più duri, le ore passano, una corda si incastra e se ne va altro tempo e fatica per recuperarla, e così via. La parete è deserta, noi saliamo lentamente. Troppo lentamente. Le fotografie spariscono, sale un po' di tensione, contiamo i metri che mancano ad ogni passo, parliamo poco e solo di quel che ci berremo una volta rientrati; altre ipotesi non sono contemplate. Saliamo ancora; è una lotta contro il tempo. Azzero senza nemmeno pensarci il tratto-chiave del nono tiro (che comunque non avrei probabilmente passato in libera) e mi rendo improvvisamente conto che siamo fuori dalle difficoltà. Riacquisto allegria e sorriso, finisco la via, urlo di soddisfazione; il margine sottile - stavolta - non si è rotto!
Sulla via del ritorno incontriamo un simpatico gruppo che ha avuto problemi nelle calate sulla Bramani-Ratti e ha dovuto abbandonare uno spezzone di corda. Decisamente ci è andato tutto bene; forse è vero che la fortuna aiuta gli alpinisti dilettanti...
Note generali: La via A Federico alla parete SO della Presolana di Castione è certamente una delle più famose di tutto il massiccio, anche se non raccoglie il numero di ripetizioni dello spigolo Longo o della Bramani-Ratti. L'avvicinamento più lungo e le difficoltà maggiori ne fanno una piccola perla che si può percorrere senza scorgere anima viva in tutta la parete, con solo radi escursionisti che attraversano i ghiaioni sottostanti. Aperta dal trio Fassi-Rota-Spiranelli il 9-10 agosto 1980, è dedicata a Federico Madonna, apritore di Patabang e Bodenschaff in Val di Mello, poi inghiottito dal torrente Mallero; leggete qui il bel ricordo di Spiranelli sull'apertura.
Accesso: noi siamo saliti dal Passo della Presolana, aggirando da S il monte Corzene senza passare dal Passo di Pozzera, limitando al massimo il dislivello. Dal parcheggio salire per prati alla sterrata - poi sentiero - che conduce alla baita Cassinelli. Proseguire verso O fino ad incontrare la strada asfaltata che sale alla baita; scendere una decina di metri a prendere una traccia sulla destra (indicazione via del latte). Il sentiero procede nel bosco verso O e si ricongiunge con il segnavia 319 poco prima di un bivio. Qui seguire la traccia in salita (indicazioni Rif. Rino Olmo) fino al giogo della Presolana. A destra ancora in salita fino alla cresta, dove appare la bella parete SO della Presolana di Castione. Il sentiero ora procede in piano e passa sotto le rocce della parete O del pizzo Corzene (seguire sempre le indicazioni per il rifugio) fino a giungere al cospetto del ghiaione sommitale sotto la parete. Salirlo sul lato destro vicino alle rocce e spostarsi poi verso sinistra su tracce; tratto faticoso. Giunti sotto la parete, localizzare gli evidenti tetti neri; l'attacco è posto poco più a sinistra, identificato da un grosso ometto. Tempo: 2h circa.
Relazione:
I° tiro: seguire la fessura poco profonda che piega lievemente a destra. 30m; V, V+, V, V+; nove chiodi. Sosta su tre chiodi e fettuccia con anello.
II° tiro: verso sinistra per 7-8 m su cengia erbosa, salire un tratto ben appigliato e portarsi alla sosta. 15 m; I, IV-. Sosta su due spit e catena.
III° tiro: a sinistra per una fessura che piega verso l'alto (la famosa mezzaluna). Al termine portarsi a destra con un passo delicato e risalire la placca fino alla sosta. 30 m; V+, VI-; dieci chiodi. Sosta su due cordoni in clessidra con due anelli.
IV° tiro: salire l'evidente fessura verticale da cui pendono due invitanti cordoni. In alto uscire lievemente a sinistra e risalire una placca fino ad un chiodo. Qui non fatevi ingannare (come il sottoscritto) da un cordone alla vostra sinistra, che fa parte di una via a spit, e nemmeno da uno poco sopra di voi, ma attraversate a destra verso la sosta. 35 m; VI-, V; sei chiodi e due cordoni in clessidra. Sosta su due spit e catena.
V° tiro: salire in corrispondenza della fessura, poi spostarsi a sinistra a risalire la placca (ultimo passo delicato, ma ben protetto). Ignorare la sosta a spit e proseguire a destra su terreno facile fino alla sosta. 45 m; V, V+, III+; sei chiodi. Sosta su due chiodi con fettuccia.
VI° tiro: salire un breve tratto su rocce un po' delicate, poi proseguire sulla cengia inclinata puntando ad un camino (buona clessidra per protezione sul passo finale). 35 m; III, III+. Sosta su due chiodi e cordone. Nel camino c'è una piccola Madonna.
VII° tiro: salire il breve ma viscido camino, poi in orizzontale fino alla sosta. 30 m; V-, I; un cordone in clessidra. Sosta su due chiodi con cordone.
VIII° tiro: salire il diedro-fessura superando un tratto verticale più impegnativo (il cordone in clessidra riportato in altre relazioni non c'è più; se non vi basta il chiodo poco sotto, usate un BD n°3). Più sopra si segue una placca e si esce a sinistra, seguendo una fessura ad arco, su un terrazzino (possibile anche proseguire dritti). Da qui si risale su rocce facili alla sosta. 35 m; V-, V+, V-, III; sei chiodi. Sosta su chiodo e cordone in clessidra.
IX° tiro: salire lievemente a sinistra fino ad una breve placca verticale. Al termine a destra in un camino appoggiato che adduce alla sosta. 30 m; IV, A0 (VII), IV+; cinque chiodi. Sosta su tre chiodi e cordone.
X° tiro: A destra della sosta a prendere un canale che risale verso sinistra la parte terminale della parete. 30 m, quattro chiodi. Attrezzare la sosta su uno spuntone.
Discesa: salire fino alla cima della Presolana di Castione (II) e seguire la cresta. Poco dopo si incontra una forcella con un pendio erboso sulla destra che porta ad un canale. Scendere nel canale e seguirlo fino a che si allarga in un prato (ometto). Scendere ora nel canale a sinistra fino a sbucare sui ghiaioni sopra il sentiero che costeggia la parete S della Presolana. A sinistra si completa il bel giro ad anello della Presolana tornando verso il punto di partenza.
Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.
Parete SO
Ci sono salite che si fanno sapendo che il confine tra una riuscita perfetta e una debacle è sottile. Non eravamo oggettivamente pronti per questa via. Poco allenamento in palestra, poco su roccia... meglio sarebbe stato scegliere qualcosa di più tranquillo. Ma le giornate sono lunghe, la via la inseguivo dall'anno scorso e Callisto oppone solo una debole resistenza. Si va. Tutto bene all'inizio, poi le cose si complicano: al 4° tiro finisco fuori via e perdiamo un bel po' di tempo, le braccia cominciano a farsi sentire e rendono i passaggi, spesso atletici, ancora più duri, le ore passano, una corda si incastra e se ne va altro tempo e fatica per recuperarla, e così via. La parete è deserta, noi saliamo lentamente. Troppo lentamente. Le fotografie spariscono, sale un po' di tensione, contiamo i metri che mancano ad ogni passo, parliamo poco e solo di quel che ci berremo una volta rientrati; altre ipotesi non sono contemplate. Saliamo ancora; è una lotta contro il tempo. Azzero senza nemmeno pensarci il tratto-chiave del nono tiro (che comunque non avrei probabilmente passato in libera) e mi rendo improvvisamente conto che siamo fuori dalle difficoltà. Riacquisto allegria e sorriso, finisco la via, urlo di soddisfazione; il margine sottile - stavolta - non si è rotto!
Sulla via del ritorno incontriamo un simpatico gruppo che ha avuto problemi nelle calate sulla Bramani-Ratti e ha dovuto abbandonare uno spezzone di corda. Decisamente ci è andato tutto bene; forse è vero che la fortuna aiuta gli alpinisti dilettanti...
Note generali: La via A Federico alla parete SO della Presolana di Castione è certamente una delle più famose di tutto il massiccio, anche se non raccoglie il numero di ripetizioni dello spigolo Longo o della Bramani-Ratti. L'avvicinamento più lungo e le difficoltà maggiori ne fanno una piccola perla che si può percorrere senza scorgere anima viva in tutta la parete, con solo radi escursionisti che attraversano i ghiaioni sottostanti. Aperta dal trio Fassi-Rota-Spiranelli il 9-10 agosto 1980, è dedicata a Federico Madonna, apritore di Patabang e Bodenschaff in Val di Mello, poi inghiottito dal torrente Mallero; leggete qui il bel ricordo di Spiranelli sull'apertura.
Accesso: noi siamo saliti dal Passo della Presolana, aggirando da S il monte Corzene senza passare dal Passo di Pozzera, limitando al massimo il dislivello. Dal parcheggio salire per prati alla sterrata - poi sentiero - che conduce alla baita Cassinelli. Proseguire verso O fino ad incontrare la strada asfaltata che sale alla baita; scendere una decina di metri a prendere una traccia sulla destra (indicazione via del latte). Il sentiero procede nel bosco verso O e si ricongiunge con il segnavia 319 poco prima di un bivio. Qui seguire la traccia in salita (indicazioni Rif. Rino Olmo) fino al giogo della Presolana. A destra ancora in salita fino alla cresta, dove appare la bella parete SO della Presolana di Castione. Il sentiero ora procede in piano e passa sotto le rocce della parete O del pizzo Corzene (seguire sempre le indicazioni per il rifugio) fino a giungere al cospetto del ghiaione sommitale sotto la parete. Salirlo sul lato destro vicino alle rocce e spostarsi poi verso sinistra su tracce; tratto faticoso. Giunti sotto la parete, localizzare gli evidenti tetti neri; l'attacco è posto poco più a sinistra, identificato da un grosso ometto. Tempo: 2h circa.
Relazione:
I° tiro: seguire la fessura poco profonda che piega lievemente a destra. 30m; V, V+, V, V+; nove chiodi. Sosta su tre chiodi e fettuccia con anello.
II° tiro: verso sinistra per 7-8 m su cengia erbosa, salire un tratto ben appigliato e portarsi alla sosta. 15 m; I, IV-. Sosta su due spit e catena.
III° tiro: a sinistra per una fessura che piega verso l'alto (la famosa mezzaluna). Al termine portarsi a destra con un passo delicato e risalire la placca fino alla sosta. 30 m; V+, VI-; dieci chiodi. Sosta su due cordoni in clessidra con due anelli.
IV° tiro: salire l'evidente fessura verticale da cui pendono due invitanti cordoni. In alto uscire lievemente a sinistra e risalire una placca fino ad un chiodo. Qui non fatevi ingannare (come il sottoscritto) da un cordone alla vostra sinistra, che fa parte di una via a spit, e nemmeno da uno poco sopra di voi, ma attraversate a destra verso la sosta. 35 m; VI-, V; sei chiodi e due cordoni in clessidra. Sosta su due spit e catena.
V° tiro: salire in corrispondenza della fessura, poi spostarsi a sinistra a risalire la placca (ultimo passo delicato, ma ben protetto). Ignorare la sosta a spit e proseguire a destra su terreno facile fino alla sosta. 45 m; V, V+, III+; sei chiodi. Sosta su due chiodi con fettuccia.
VI° tiro: salire un breve tratto su rocce un po' delicate, poi proseguire sulla cengia inclinata puntando ad un camino (buona clessidra per protezione sul passo finale). 35 m; III, III+. Sosta su due chiodi e cordone. Nel camino c'è una piccola Madonna.
VII° tiro: salire il breve ma viscido camino, poi in orizzontale fino alla sosta. 30 m; V-, I; un cordone in clessidra. Sosta su due chiodi con cordone.
VIII° tiro: salire il diedro-fessura superando un tratto verticale più impegnativo (il cordone in clessidra riportato in altre relazioni non c'è più; se non vi basta il chiodo poco sotto, usate un BD n°3). Più sopra si segue una placca e si esce a sinistra, seguendo una fessura ad arco, su un terrazzino (possibile anche proseguire dritti). Da qui si risale su rocce facili alla sosta. 35 m; V-, V+, V-, III; sei chiodi. Sosta su chiodo e cordone in clessidra.
IX° tiro: salire lievemente a sinistra fino ad una breve placca verticale. Al termine a destra in un camino appoggiato che adduce alla sosta. 30 m; IV, A0 (VII), IV+; cinque chiodi. Sosta su tre chiodi e cordone.
X° tiro: A destra della sosta a prendere un canale che risale verso sinistra la parte terminale della parete. 30 m, quattro chiodi. Attrezzare la sosta su uno spuntone.
Discesa: salire fino alla cima della Presolana di Castione (II) e seguire la cresta. Poco dopo si incontra una forcella con un pendio erboso sulla destra che porta ad un canale. Scendere nel canale e seguirlo fino a che si allarga in un prato (ometto). Scendere ora nel canale a sinistra fino a sbucare sui ghiaioni sopra il sentiero che costeggia la parete S della Presolana. A sinistra si completa il bel giro ad anello della Presolana tornando verso il punto di partenza.
Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.
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Via Cantoniera, 18, 24020 Colere BG, Italia
mercoledì 13 giugno 2012
Neri Camilla
La placca del 1° tiro |
Giancarlo e Callisto al 5° tiro |
Ultimi tiri... |
Tracciato della via |
Pilastro Neri Camilla
Parete SE
Sabato scorso la situazione meteo era come al solito desolante, con qualche possibilità ad ovest. Ci si dirige quindi in Valle d'Aosta con l'idea di fare una via tranquilla, anche perché Callisto, uno dei soci di cordata storici, calca di nuovo le scene dopo molti mesi di pausa forzata.
L'ultima volta in Valle ero stato al pilastro del Fer a fare Dolcefer, e avevo visto questa Neri Camilla; l'occasione è quindi propizia per dargli un'occhiata da vicino. Via in placca con brevissimi passi verticali, ben protetta e con difficoltà massima di 6a+ nel primo tiro; portare solo 11 rinvii, necessari per il primo tiro.
Accesso: dalla frazione Outrefer di Donnas si prende il primo vicolo a sinistra e ci si inoltra nella valle del Fer. Si attraversa un bellissimo bosco, la falesia dall'aspetto piuttosto cattivo, si sale una serie di gradoni fino alla prima evidente indicazione per il Pilastro Neri Camilla. Si supera la staccionata, si procede in discesa e poi in salita, aiutandosi con una corda fissa in un tratto bagnato. Proseguire ancora lungo il sentiero fino a quando questo si sposta verso sinistra e non supera una placca. Poco oltre c'è il secondo bivio, che può sfuggire (il segnavia è posto di sbieco anziché sul sentiero, dove peraltro c'è un masso evidente che si sarebbe potuto usare). Prendete a sinistra (discesa) e seguitelo fino alla cengia dove attacca la via (breve corda fissa e spit in evidenza, circa un'ora dal parcheggio).
Via: le difficoltà sono tutte concentrate nel primo tiro, valutato 6a+ (che potrebbe anche essere un poco stretto). Il resto sono gradi intorno al 5a e 5b, un passo di 5c in placca sul quarto tiro e un breve tratto di A0 sul 7° tiro. Insomma, un'arrampicata del tutto piacevole e non impegnativa. Le lunghezze dei tiri non sono eccessive, e probabilmente si può concatenare un po' di roba. Noi abbiamo unito solo gli ultimi due tiri perché la settima sosta aveva un'aria alquanto scomoda (e perché le scarpette nuove cominciavano decisamente a farmi male).
Discesa: dalla cima del pilastro si prende il sentiero verso destra, che in breve vi riporta al bivio e sul percorso di rientro. Possibile anche concatenare una via al pilastro del Fer o alle placche di Pian; prendete a sinistra in questo caso.
Una volta all'auto, non dimenticate la tipica merenda valdostana e, per quel che mi riguarda, l'acquisto di lardo di Arnad, mocetta e qualche bottiglia che commenterò a breve.
Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.
Parete SE
Sabato scorso la situazione meteo era come al solito desolante, con qualche possibilità ad ovest. Ci si dirige quindi in Valle d'Aosta con l'idea di fare una via tranquilla, anche perché Callisto, uno dei soci di cordata storici, calca di nuovo le scene dopo molti mesi di pausa forzata.
L'ultima volta in Valle ero stato al pilastro del Fer a fare Dolcefer, e avevo visto questa Neri Camilla; l'occasione è quindi propizia per dargli un'occhiata da vicino. Via in placca con brevissimi passi verticali, ben protetta e con difficoltà massima di 6a+ nel primo tiro; portare solo 11 rinvii, necessari per il primo tiro.
Accesso: dalla frazione Outrefer di Donnas si prende il primo vicolo a sinistra e ci si inoltra nella valle del Fer. Si attraversa un bellissimo bosco, la falesia dall'aspetto piuttosto cattivo, si sale una serie di gradoni fino alla prima evidente indicazione per il Pilastro Neri Camilla. Si supera la staccionata, si procede in discesa e poi in salita, aiutandosi con una corda fissa in un tratto bagnato. Proseguire ancora lungo il sentiero fino a quando questo si sposta verso sinistra e non supera una placca. Poco oltre c'è il secondo bivio, che può sfuggire (il segnavia è posto di sbieco anziché sul sentiero, dove peraltro c'è un masso evidente che si sarebbe potuto usare). Prendete a sinistra (discesa) e seguitelo fino alla cengia dove attacca la via (breve corda fissa e spit in evidenza, circa un'ora dal parcheggio).
Via: le difficoltà sono tutte concentrate nel primo tiro, valutato 6a+ (che potrebbe anche essere un poco stretto). Il resto sono gradi intorno al 5a e 5b, un passo di 5c in placca sul quarto tiro e un breve tratto di A0 sul 7° tiro. Insomma, un'arrampicata del tutto piacevole e non impegnativa. Le lunghezze dei tiri non sono eccessive, e probabilmente si può concatenare un po' di roba. Noi abbiamo unito solo gli ultimi due tiri perché la settima sosta aveva un'aria alquanto scomoda (e perché le scarpette nuove cominciavano decisamente a farmi male).
Discesa: dalla cima del pilastro si prende il sentiero verso destra, che in breve vi riporta al bivio e sul percorso di rientro. Possibile anche concatenare una via al pilastro del Fer o alle placche di Pian; prendete a sinistra in questo caso.
Una volta all'auto, non dimenticate la tipica merenda valdostana e, per quel che mi riguarda, l'acquisto di lardo di Arnad, mocetta e qualche bottiglia che commenterò a breve.
Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.
Applausi di fine corso...
Alle conferenze è abitudine applaudire l'oratore; fa parte del galateo. Il lavoro presentato può essere buono o, più spesso, scadente, ma l'applauso è un riflesso condizionato; pur con qualche variazione e modulazione di intensità, non si nega ad alcuno. È il riconoscersi in una stessa comunità, il voler esorcizzare la presenza di lavori di dubbia qualità scientifica scacciandoli con l'applauso, indiscussa testimonianza di valore. È anche un mutuo incoraggiamento: sì lo sappiamo, il lavoro che presenti è una fesseria, ma ti applaudo ugualmente, affinché tu faccia lo stesso con me domani...
Ieri ho finito il corso di Elettronica. Alla fine dell'ultima lezione - come ogni anno - il rito dell'applauso si è ripetuto. Ora, a scanso di fraintesi, ricevere applausi è ovviamente gratificante e corre obbligo ringraziare. Ma anche stavolta - come ogni anno - non posso esimermi dal chiedermi: cosa applaudono gli studenti? La mia autostima vorrebbe pensare che l'applauso testimoni apprezzamento per un lavoro per cui ci si è comunque impegnati, o per qualcosa che ha lasciato un'impressione positiva: argomenti, concetti, approcci ai problemi e così via, ma è probabilmente un'impressione consolatoria (anche se - sperabilmente - vera almeno per una qualche percentuale dei presenti). Ma allora, cosa? Sono applausi liberatori per la fine del corso, come si festeggiava la fine dell'anno scolastico alle scuole superiori? O è solo un orpello di tempi passati?
P.S. Posto sotto "elettronica" per mancanza di alternative ("minchiate" potrebbe suonare offensivo verso gli studenti, e non è affatto mia intenzione). Se scriverò su altre vicende più o meno "accademiche", genererò un tag alternativo...
Ieri ho finito il corso di Elettronica. Alla fine dell'ultima lezione - come ogni anno - il rito dell'applauso si è ripetuto. Ora, a scanso di fraintesi, ricevere applausi è ovviamente gratificante e corre obbligo ringraziare. Ma anche stavolta - come ogni anno - non posso esimermi dal chiedermi: cosa applaudono gli studenti? La mia autostima vorrebbe pensare che l'applauso testimoni apprezzamento per un lavoro per cui ci si è comunque impegnati, o per qualcosa che ha lasciato un'impressione positiva: argomenti, concetti, approcci ai problemi e così via, ma è probabilmente un'impressione consolatoria (anche se - sperabilmente - vera almeno per una qualche percentuale dei presenti). Ma allora, cosa? Sono applausi liberatori per la fine del corso, come si festeggiava la fine dell'anno scolastico alle scuole superiori? O è solo un orpello di tempi passati?
P.S. Posto sotto "elettronica" per mancanza di alternative ("minchiate" potrebbe suonare offensivo verso gli studenti, e non è affatto mia intenzione). Se scriverò su altre vicende più o meno "accademiche", genererò un tag alternativo...
lunedì 11 giugno 2012
Lago di Corbara DOC 2003 Decugnano dei Barbi
Qualche anno fa a Perugia, nella canonica sosta in enoteca che accompagna fedelmente i miei vagabondaggi, ho seguito il suggerimento dell'enologo acquistando questa bottiglia, per una variazione sul tema rispetto al classico Sagrantino. Se non erro, 50% di Sangiovese e Montepulciano per un vino che si presenta ancora in buone condizioni dopo quasi un paio di lustri.
Colore rosso piuttosto scuro e profumo non particolarmente intenso; la prima impressione non è molto incoraggiante, ma fortunatamente migliora all'assaggio. Il vino (13°) ha un gusto molto morbido e rotondo con delle note speziate che colpiscono piacevolmente, il legno non è affatto invadente e la persistenza è buona. E così, questo Lago di Corbara accompagna egregiamente la cena in queste giornate di pioggia, e lascia il fondato dubbio che si potesse aspettare ancora un poco ad assaggiare la bottiglia senza troppi timori. Siamo alle solite: non appena la bottiglia è finita, si rimpiange di non averla ancora piena; è una vecchia storia...
domenica 10 giugno 2012
Notturno
di Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli italiani, 1940
Il Vittoriale degli italiani, 1940
Il 16 gennaio 1916, di ritorno da un volo di ricognizione, un errore del pilota portò l'idrovolante su cui era D'Annunzio ad impattare violentemente sull'acqua: nell'urto D'Annunzio perse l'uso dell'occhio destro (forse anche per negligenza nel farsi curare; il giorno dopo era ancora in missione!) e rischiò la cecità totale. Per ordine dei medici dovette restare circa tre mesi nell'oscurità, con gli occhi bendati, senza potersi muovere. Secondo l'autore, il testo del Notturno fu scritto in questo periodo nella casa di Venezia, su migliaia di cartigli approntatigli dalla figlia (la Sirenetta). Una descrizione dei fatti si trova, ad es., in questa biografia di Luigi Bologna, il pilota dell'idrovolante, dove compaiono fatti e personaggi richiamati a più riprese nell'opera.
Si può, o forse si deve, dubitare di questa genesi "mitica" delle prose del Notturno; fatto sta che l'atmosfera che vi si respira le si adatta perfettamente: D'Annunzio smette quasi completamente i panni del Vate per riscoprire la malattia, la rassegnazione, la costrizione. Anche lo stile appare frammentato, diviso in numerosissimi capoversi (saranno i cartigli?) e rincorre, soprattutto nella seconda metà, le visioni che attraversano la mente dell'autore durante la convalescenza. L'opera è divisa in tre offerte: la prima è quella più marcatamente "narrativa" e piange la scomparsa dell'amico Giuseppe Miraglia (qui una sua biografia), ricorda i suoi ultimi giorni, l'incidente, i funerali. Nella seconda offerta i piani narrativi si confondono; alla rievocazione di episodi della guerra aerea (l'epopea dell'Aquila romana nella missione su Lubiana; si veda ad es. qui alla data 18/2, la posa di torpedini nella baia di Panzano con l'Impavido al comando di Piero Orsini, la difesa dell'Isola Morosini,...) si sovrappongono i ricordi d'Abruzzo con la madre malata a cui l'opera è dedicata, sensazioni e impressioni suscitate da brani musicali (non sapevo di questo interesse di D'Annunzio per la musica) o da aromi, fugaci visioni ottenute sollevando le bende. È forse la parte più oscura. L'ultima offerta descrive il ritorno alla luce: ancora fatti di guerra (l'incidente di collaudo occorso a Luigi Bresciani, leggibile in dettaglio qui), l'esasperazione sempre più forte per la selva di ametista che sente nell'occhio (La pazienza si torce come una bestia castigata. Il sopracciglio è fatto di spine. Lacrime senz′anima scendono alle mie labbra secche. Sento la mia volontà non in me ma sopra di me, quasi lama affilata, lunga esattamente come il mio corpo sottomesso.), fino alla resurrezione, che con dannunziana trovata non poteva che coincidere con la settimana della Passione e la Pasqua. Un'Annotazione finale del 1921 chiarisce la sorte dei cartigli fino alla pubblicazione, non senza la trovata "pubblicitaria" di menzionarne alcuni troppo intimi per essere pubblicati... D'Annunzio è tornato quello di sempre; la parentesi nelle tenebre è finita!
venerdì 8 giugno 2012
Susanna sotto le gocce + Anniversario
1° tiro di Susanna |
Giancarlo all'uscita del traverso che porta su Anniversario |
5° tiro di Anniversario |
Medale
Parete S
Il programma di sabato scorso era di recarsi allo Zuccone Campelli. Poi, come al solito, il tempo peggiora e banchi di nuvole nere addensatisi sulle montagne sorvegliano arcigni il nostro ritrovo a Lecco. E' così che Gianni e Matteo vincono le nostre resistenze e la meta diventa nientemeno che il Medale. Ora, andare in Medale a giugno è dichiaratamente folle, vista l'esposizione sud e la bassa quota, ma sabato il sole si è visto poco e, se non fosse stato per l'afa, il clima sarebbe stato anche piacevole. Solo una cordata sulla Cassin ci fa compagnia.
Decisa la meta, il secondo problema diventa scegliere una via che nessuno abbia già fatto; problema difficile in Medale, se come me non si arrampica ad un "livello" decente. Alla fine si opta per Anniversario, che il sottoscritto aveva fatto un paio d'anni fa; per variare il programma, io e Giancarlo faremo Susanna sotto le gocce e ci raccorderemo ad Anniversario al quarto tiro. Si tratta di uno dei concatenamenti "classici" del Medale, e forse il più facile.
Schizzi, relazioni e quant'altro sono facilmente reperibili ad es. su Larioclimb, ed è inutile replicarli qui; aggiungo solo un paio di commenti: la chiodatura è buona su entrambe le vie, con qualche passo obbligato in più e una gradazione un poco più severa su Susanna; in ogni caso, non siamo in falesia e qualche friend può tornare utile. Inoltre, sul 6° tiro di Anniversario un fittone è inutilizzabile, forse per una caduta sassi; se non vi fidate, un Camalot 0.3 entra perfettamente nella fessura!
A fine via, decisamente assetati, aperitivo a Lecco guidati dall'esperto Gianni. Qualche giorno dopo, qualcuno troverà piccole bollicine della famigerata edera velenosa. Niente di grave, per fortuna; che la via fosse un po' erbosa in questa stagione ce n'eravamo accorti...
Nota: ripetuta Anniversario a febbraio 2015 e trovata veramente, veramente unta!!
Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.
Parete S
Il programma di sabato scorso era di recarsi allo Zuccone Campelli. Poi, come al solito, il tempo peggiora e banchi di nuvole nere addensatisi sulle montagne sorvegliano arcigni il nostro ritrovo a Lecco. E' così che Gianni e Matteo vincono le nostre resistenze e la meta diventa nientemeno che il Medale. Ora, andare in Medale a giugno è dichiaratamente folle, vista l'esposizione sud e la bassa quota, ma sabato il sole si è visto poco e, se non fosse stato per l'afa, il clima sarebbe stato anche piacevole. Solo una cordata sulla Cassin ci fa compagnia.
Decisa la meta, il secondo problema diventa scegliere una via che nessuno abbia già fatto; problema difficile in Medale, se come me non si arrampica ad un "livello" decente. Alla fine si opta per Anniversario, che il sottoscritto aveva fatto un paio d'anni fa; per variare il programma, io e Giancarlo faremo Susanna sotto le gocce e ci raccorderemo ad Anniversario al quarto tiro. Si tratta di uno dei concatenamenti "classici" del Medale, e forse il più facile.
Schizzi, relazioni e quant'altro sono facilmente reperibili ad es. su Larioclimb, ed è inutile replicarli qui; aggiungo solo un paio di commenti: la chiodatura è buona su entrambe le vie, con qualche passo obbligato in più e una gradazione un poco più severa su Susanna; in ogni caso, non siamo in falesia e qualche friend può tornare utile. Inoltre, sul 6° tiro di Anniversario un fittone è inutilizzabile, forse per una caduta sassi; se non vi fidate, un Camalot 0.3 entra perfettamente nella fessura!
A fine via, decisamente assetati, aperitivo a Lecco guidati dall'esperto Gianni. Qualche giorno dopo, qualcuno troverà piccole bollicine della famigerata edera velenosa. Niente di grave, per fortuna; che la via fosse un po' erbosa in questa stagione ce n'eravamo accorti...
Nota: ripetuta Anniversario a febbraio 2015 e trovata veramente, veramente unta!!
Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.
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