domenica 9 marzo 2025

Il pilastro Micheluzzi della Marmolada - 1: Tita Piaz

La salita di Micheluzzi, Perathoner e Christomannos

Il nostro viaggio nella parete S della Marmolada non può che iniziare con la guida CAI-TCI Odle Sella Marmolada di Ettore Castiglioni, che ne delinea rapidamente la storia alpinistica [1]. Tralasciando le salite da nord, si contano quindi la Tomé-De Toni-Farenzena (1897) al canale della S'Cesora, che però giunge in cresta a 2 km circa dalla cima, e la Bettega-Zagonel-Tomasson del 1901 (qui il racconto di Matteo su Beatrice Tomasson) con relativa variante dei fratelli Leuchs nel 1902. Dice poi Ettore (p. 496):

Infine il 6 e 7 settembre 1929 le guide L. Micheluzzi e R. Peratoner con Cristomannos aprivano sullo spigolo S un itinerario "direttissimo" che è veramente un ideale di logicità e di arditezza (Boll. S.A.T. 1929-30 pag. 121, Bst., 1930 - 147, Zt. 1933 - 209).

Di questa salita, che è ormai considerata il primo "vero" sesto grado italiano, si è detto molto. Lasciamo il riassunto a Lorenzo Doris in Storia dell'alpinismo dolomitico - dalle origini al 1957 [2]:

Una sconosciuta guida di Canazei, lontana dalle polemiche e dagli ambienti di rito, e digiuna dei conflitti etici in corso, realizza un itinerario della più ferrea logica antica, "dove ogni metro fuori via è stupido ed inutile". Ѐ Luigi Micheluzzi, ventenne, coinvolto da Roberto Perathoner e Demetrio Christomannos che armati di una corda di canapa, due martelli e sette chiodi, innalzano di nuovo il limite dell'arrampicata. Micheluzzi è arrampicatore istintivo che si allena regolarmente sui sassi vicino a casa.
I tre, dopo un bivacco in un'umida e fredda gola, aprono una via con diversi passaggi di 6°. Nella parete finale inoltre superano un tetto con brutale ed atletica arrampicata d'incastro. Lì Micheluzzi perde dalla tasca la 'luganega' (salsiccia) e la pipa, suoi 'attrezzi' indispensabili da bivacco: "Anche la pipa ho perso, porca miseria, quella sì che mi è dispiaciuto."
A sostegno di quest'impresa, che sarà presto dimenticata e dovrà aspettare i giudizi di Hermann Buhl, Jean Couzy e Reinhold Messner per essere rivalorizzata, citiamo il numero di chiodi usati, ben 6 ! e la parete superata: la sud della Marmolada.
Osservatore privilegiato, 'Tita' Piaz che si trova a percorrere una via adiacente. Toccherà a lui difendere Micheluzzi da Walter Stösser che, ripetuta la via, intende appropriarsene come prima ascensione. Ciò accade perché la notizia della salita italiana non giunge agli alpinisti di lingua tedesca.
Ѐ il primo 6° della Marmolada.

Anche Vittorio Varale ne La battaglia del sesto grado [3] menziona questo "increscioso incidente". Ce n'è abbastanza per approfondire la questione!

Iniziamo dunque con la relazione originale degli apritori, tratta dall'Annuario 1929-30 della SAT [4], che dovrebbe essere leggibile e che quindi non trascrivo:

La relazione è molto stringata, ma contiene le informazioni essenziali per la salita, in particolare nel tratto-chiave della "finestra" che si supera con un pendolo facendo prima passare una corda attraverso un foro. La salita non ha l'eco che meriterebbe, la Rivista Mensile del CAI non ne parla, Lo Scarpone neanche... o almeno, non fino al 1932, quando compare un allarmato articolo di Franco Dezulian, La "direttissima" della Marmolada - chi ha fatto la prima ascensione? [5] che racconta dei numerosi tentativi dell'alpinista tedesco Stösser al pilastro della Marmolada, e di come la sua ascensione nel 1932 sia stata salutata in Germania come prima salita. Dezulian ricostruisce la cronologia degli eventi, e chiosa infine:
Questa impresa, per troppa fretta di cronisti o per troppa evidente partigianeria di ammiratori fanatici, non certo per volontà di Stösser che ormai nel 1930 aveva ammessa senza riserve la priorità di Micheluzzi e Perathoner, è stata erratamente e impropriamente chiamata e glorificata come prima ascensione [...].
Ora, nel ristabilire le giuste relazioni di precedenza in questa eccezionale impresa
[...] noi non intendiamo affatto diminuire l'operato di Stösser e Kast: D'altra parte crediamo questi troppo onesti e troppo cavallereschi per permettere l'affermarsi di una leggenda, che avrebbe per base troppo evidenti premesse di inesattezza e di ingiustizia.
Noi intendiamo semplicemente rivendicare alle guide di Fassa Luigi Micheluzzi e Roberto Perathoner l'onore della prima scalata della « Direttissima » della Marmolada.
Sulle idee di Stösser torneremo più in là; per il momento non resta che notare che la pur puntuale ricostruzione di Dezulian (che riporta la salita anche in un articolo sulla Rivista Mensile del febbraio 1933 [6]) resta circoscritta all'ambito locale, visto che difficilmente a Monaco si leggeva il foglio in questione. E del resto, da bravi italiani noi ci mettiamo del nostro: su Alpinismo (la rivista del CAI Torino) del gennaio 1933 [7] si legge a p. 15 la cronologia delle prime cinque ascensioni, dove la salita di Micheluzzi è spostata al 6-7 settembre 1932 (anziché 1929), quindi successiva a quella di Stösser, mentre nel numero di ottobre 1935 [8] a p. 242 si attribuisce la seconda salita a Castiglioni-De Tassis, facendo altra confusione. Sorprende anche, e non poco, che di fronte ad una faccenda di una certa rilevanza non si levi altra voce che l'articolo de Lo Scarpone. Niente sulla Rivista Mensile del CAI, niente da parte della SAT. E qui entra in gioco Tita Piaz.

Le lettere di Tita Piaz

Le pagine di Roccia del 1933.

Quando nell'ormai remoto 2016 riuscii a vedere il diario fotografico di Eugenio Vinante, feci la conoscenza del periodico Roccia, dove furono pubblicate le notizie di alcune salite del forte alpinista vicentino. Roccia uscì nel 1933, con 26 numeri a partire dal 18 febbraio fino al 4 novembre; la sede a Milano, come Lo Scarpone verso cui si poneva in concorrenza. Concorrenza breve, in realtà: Lo Scarpone già dai primi numeri del 1931 pubblica la rubrica Nelle Sezioni del C.A.I. assieme ad una pletora di altre notizie "caiane", sì che dal 1933 diventa organo ufficiale del CAI Milano e via via di altre Sezioni, tagliando fuori le altre riviste. Roccia è presto dimenticata, eccezion fatta per questo articolo sulle pubblicazioni di alpinismo, ma compulsando qua e là vi si può trovare qualcosa di interessante: nel numero di settembre 1933 [9] vi sono infatti due pagine assai pertinenti al nostro caso. Ecco il testo:

La "direttissima" sull’impervio spigolo S della Marmolada rivendicata da Tita Piaz a una cordata italiana
Dichiarazioni, lettere, polemiche dicono che Micheluzzi - Peratoner - Cristomanno furono i primi salitori del superbo spigolo - Stösser e Kast detengono la “seconda” assoluta.

Il trionfo della verità

Fra i migliori e impervi ammassi di dolomia si erge poderoso nella sua cruda verticalità il Sud della Marmolada che per molti anni rimase uno dei grandi problemi insoluti dell'alpinismo. Nel 1929 una cordata di nostri arrampicatori tentò la superba conquista e riuscì nell'intento, segnando una « direttissima »; ma la panciafichista incertezza, i dubbi amletici vagamente accennati, le dicerie da comare di mezzoborgo sollevati da qualche persona tendenti a negare la vittoriosa conquista degli italiani trovarono facile esca nel cervello di un giornalista germanico cui non parve vero - quando l'alpinista Stösser compì la seconda ascensione - di blaterare ai quattro venti la notizia che diceva: « Una nuova vittoria tedesca nelle Dolomiti».

Orbene successe il buffo caso che si credette di più alle dicerie mormorate a mezza voce e al trafiletto dello zelante cronista tedesco, che non a persone autorevoli, in grado di dimostrare alla luce del sole la verità. C’è voluta la pazienza, l'amore allo sport da arrampicamento di Tita Piaz, alpinista magnifico fra i rocciatori, perché dicerie e trafiletto fossero quotate al loro giusto valore, che in quanto a obiettività di giudizio, vale zero.
Tita Piaz, dunque, ha raccolto dichiarazioni e dati di fatto, ha parlato coi protagonisti dell’ardita impresa, ha tenuto corrispondenza polemica coi tedeschi del Bayerland, e oggi è in grado di dire a tutto il mondo che lo spigolo sud della Marmolada è stato scalato per la prima volta in « direttissima » da una cordata italiana. E lo dice qui, su queste colonne.

Nella relazione del Piaz v’è una testimonianza decisiva: quella della signora Jane Tutino Steel, suddita americana [nota: in realtà inglese, a parte il fatto che gli americani non erano "sudditi", mentre lo eravamo noi, e pure di un re imbelle], la quale, in corda fra Gluck e Peratoner, tentò - pur non riuscendo - la seconda assoluta della « direttissima ». Si ha da sapere che la parte più difficile della salita è rappresentata dal primo tratto, che culmina ad un tetto roccioso terribilmente strapiombante. Questo tetto è forato, sì che l'alpinista non deve superarlo all'esterno, ma internamente, appunto attraverso al pertugio. Le due guide e la signora Tutino giunsero fino lì (poi furono recuperati dalla cima perché il pertugio era chiuso dai ghiacci) e videro, piantati nella roccia, appena sopra il tetto, due chiodi. Chi mai ce li aveva piantati?

Pensaci su, caro lettore, leggi quel che dice Tita Piaz, e poi ti accorgerai di avere, sulla faccenda, un'idea tua - che certo sarà quella giusta, - chiara e inconfondibile.

Dice Piaz…

Il giorno 6 settembre 1929 la cordata composta da Luigi Micheluzzi, Roberto Peratoner e Cristomanno attaccava il gran Pilastro della Marmolada, ed il giorno seguente dopo un cattivo bivacco, in linea ideale, raggiungeva la cima. Di tale ascensione il Micheluzzi inviò alla S.A.T. del C.A.I. una relazione che se non è proprio un saggio letterario, né un modello di perfezione descrittiva, non c'è da farsene meraviglia, essendo il Micheluzzi, come le altre guide, fatte poche eccezioni, un magnifico arrampicatore e non un letterato. Il 4 agosto 1930 il signor Stösser di Pforzheim assieme a Schutt tentò la stessa scalata ma, ostacolato da pessime condizioni, tornò dopo la prima terrazza. Va notato che nell'andata al Contrin passando per Canazei, i due si incontrarono con Peratoner il quale dette loro delle informazioni preziose ed accennò soprattutto ai due chiodi infissi ancora sopra il grande tetto ed al laccio di una corda lasciato da Cristomanno sopra lo stesso.
La sera del 3 agosto Micheluzzi, venuto a conoscenza dei due signori che avevano intenzione di ripetere la sua via, e della diceria circolante in Canazei che avrebbero pagato 700 marchi per una guida che li accompagnasse, chiamò Stösser al telefono e si offerse come guida, ciò che Stösser declinò. Anche Micheluzzi disse a Stosser dei due chiodi.
Il 23 agosto dello stesso anno Stösser e Schutt ritentarono ancora una volta inutilmente (vedi « Der Bergsteiger » dicembre 1930, gennaio 1931).

Alla fine di agosto 1931 Stösser in compagnia di Kast ritenta per la terza volta la scalata arrivando non molto distante dal « gran tetto » ove inesorabili masse di ghiaccio li costrinsero alla ritirata.

Il giorno 18 agosto 1931 la signora Tutino Steel, accompagnata dalle guide Roberto Peratoner e Gluck Ferdinando con alquanta esotica originalità, vuole accertarsi della possibilità della scalata (da alcun tempo messa in dubbio) ed eventualmente compiere la seconda. Essendo il buco nel « gran tetto », ove la prima cordata aveva passato la corda e con manovra poi vinto, spietatamente ostruito da ghiaccio, la cordata Peratoner dovè essere recuperata dalla cima.

Alcuni giorni dopo Stösser ritorna all'assalto con Kast, raggiunge il « tetto », trova il buco già indicatogli da Peratoner che frattanto ed in seguito al lavoro di Peratoner e Gluck s’era aperto o quasi, lo sfrutta e come i primi, supera lo strapiombo al di fuori per la corda e raggiunge così la cima.

Qualche giorno dopo, due giovanotti di Gardena a piedi nudi, raggiungono la cima senza bivacco, passando il capo cordata stesso per il noto buco, frattanto ingranditosi.
Questa la cronistoria della « Direttissima ».

La serie di allegati spiegano l'opera mia tendente a rivendicare alla cordata Micheluzzi l'indiscutibilissimo merito della « prima scalata » della « Direttissima ».

Noto che un giorno, venuto a conoscenza che Stösser si trovava al Contrin, lo chiamai al telefono e gli dissi che mi sembrava utile un abboccamento nel suo interesse, in quello dei primi scalatori e dell'alpinismo in generale. Rimanemmo d'accordo che egli, tornando a Canazei, mi avrebbe chiamato al telefono per un rendez-vous. Stösser partì da questi paraggi senza essersi fatto vivo. Ma veniamo agli allegati.
Tita Piaz

I documenti allegati

Passo Pordoi, 15 novembre 1932
Egregio signor Stösser,
sono stato reso attento di una notizia della M.N.N. del 9 settembre la quale qualifica la sua salita della « Direttissima » della Marmolada come prima salita. Pur non conoscendola personalmente ho rigettato con indignazione il sospetto che la suddetta notizia sia stata pubblicata in seguito a una sua corrispondente asserzione, poiché io so che alpinisti del suo calibro non marciano su simili vie.
Non soltanto nella mia qualità di testimonio della « prima scalata » di Micheluzzi e come uno dei più vecchi alpinisti attivi, sento il dovere morale di far fronte a questa sciente ed incosciente alterazione della verità, ma perché altresì io mi associo all'opinione di Lammer che non esistono « montagne tedesche né italiane né tibetane », che il valore pedagogico dell'alpinismo conferisce a questo il diritto di rivendicare per sé una classe superiore a quella di una semplice associazione di giocatori di foot-ball e perché io sono dell'idea che simili mistificazioni a scopo di « reclame nazionale » rendono all'alpinismo un cattivo servigio…

Ora, prima che io prenda pubblicamente posizione come testimonio (io li vidi all'attacco e osservai la scalata fin sulla prima terrazza salendo io in quel giorno per la via normale ed essendo stato il giorno seguente richiesto telefonicamente di guidare una spedizione di salvataggio che in seguito divenne superflua), vorrei pregarLa di comunicarmi se Lei sa qualche cosa di più preciso di questa disgustosa vertenza e se forse è già avvenuta una relativa rettifica.
Non riesco a sottrarmi alla convinzione di agire nello spirito Suo stesso di alpinista, se io cerco di porre bastone tra le ruote e dei piccini speculatori nazionalisti e cerco di dare a Cesare quel che è di Cesare.
Per una sollecita risposta, ringrazio sentitamente in anticipazione.
Con alpini cordiali saluti
Tita Piaz


Munchen, 28 novembre 1932
Egregio Sig. Piaz,
Ci perviene il contenuto della sua lettera diretta al nostro socio Stösser di Pforzheim e ci permettiamo di comunicarle in merito quanto segue:
Stösser stesso non ha mai asserito di essere il primo scalatore della « Direttissima » della Marmolada e non è quindi l'ispiratore di quella notizia di giornale. Se qui si asserisce che Stösser abbia fatto la prima scalata, ciò va attribuito alle diverse dicerie che circolano in Canazei, ad espressioni di persone abbastanza bene informate, ed inoltre a molteplici e assai strane circostanze. Ciò fu pure la causa che lasciò sorgere in Stösser stesso dei dubbi sulla salita del Micheluzzi. Del resto nella vertenza lei non c'entra del tutto, giacché nessuna parte si pone in dubbio che Micheluzzi abbia attaccato la parete, ciò che Lei superfluamente vuole testificare.
Sono divergenti le opinioni se egli invece abbia condotto a termine la salita. Onde chiarire la cosa ci siamo già rivolti a competenti personalità del C.A.I. Infine per ciò che concerne il pensiero nazionale rispettivamente gli « scopi di reclame nazionale » Lei è il primo che lo tira in ballo.
E’ inutile quindi entrarne in merito.
Con alpini saluti,
A.V.S. Bayerland e V. I. Vorstand:
(firma illeggibile)


16 novembre.
Egregio signore,
Non so se le sia noto che si pone in dubbio la prima « Direttissima » della parete Sud della Marmolada da parte della cordata Micheluzzi e che si dice anzi che un altro se l'è aggiudicata.
Ora io vorrei prendere posizione di fronte a tale piccina mistificazione e ridare a Cesare ciò che è di Cesare tanto più che parecchi dubbi diventano sempre più insistenti. Mi si dice che Lei si trovava sulla vetta della Marmolada quando la comitiva Micheluzzi arrivò in cima ed io Le sarei molto grato se sapesse dirmi qualcosa di positivo in merito, rendendo così notevole servizio alla verità e alla serietà dell'alpinismo.
Ringraziandola anticipatamente invio cordiali saluti alpini.
Tita Piaz


Brescia, 22 novembre 1932
Carissimo signor Tita Piaz,
mi fu stata consegnata ieri la sua gradita lettera di certo un po' in ritardo e sento dalla sua accennata, questo giusto diritto. Io le posso più che garantire che quando mi trovai in vetta alla Marmolada arrivarono due giovanotti. Non so se era la famosa comitiva Micheluzzi. Due giovanotti arrivarono sulla vetta alle 11 circa dopo aver bivaccato su un piccolissimo ripiano la notte precedente e furono poi raccontati tutti gli sforzi compiuti durante la prima « Direttissima » della parete Sud della Marmolada. Certo erano due simpatici e forti trentini.
Ora non posso garantire di più che vedere le loro persone o fotografie ma vestiti però da alpinisti.
Riceva i migliori saluti alpinistici e sempre possibile dove sono buono.
Da notarsi che eravamo sulla fine pressapoco del mese di agosto, di questa ascensione di tre anni fa.
Mi creda
Ugo Alfredo Masneri


DICHIARAZIONE
Io sottoscritto Dantone Angelo, Guida Alpina autorizzata, del C.A.I., dichiaro che il giorno 7 settembre 1929, accompagnai dalla base del ghiacciaio alla vetta della Marmolada e ritorno al Rifugio Venezia, il signor Ugo Alfredo Masneri, socio del C.A.I. di Brescia. Siamo arrivati in vetta alle ore 11,25 restando colà fino alle ore 12,30. In fra questo tempo che noi eravamo in vetta, arrivò dalla Parete Sud e precisamente per la via « Direttissima » scalata per la prima volta, la guida Micheluzzi Luigi e Roberto Peratoner con lo studente Cristomanno. Questo posso io testificare sulla mia parola d'onore.
Angelo Dantone
Guida Alpina, Socio del C.A.I.
Canazei, li 11 dicembre 1932


Trento, 4 febbraio 1933-XI
Carissimo Tita,
La tua cartolina del 26 dicembre diretta alla SAT venne scovata dall'amico Strobele il 30 gennaio e ieri me la fece vedere, sapendo qualche cosa della faccenda, m’incaricai di risponderti ed eccomi pronto ad esporre quello che so.
A suo tempo Micheluzzi mi fece pervenire la relazione della nota ascensione, che curai nella forma espositiva onde pubblicarla, come venne fatto nel penultimo annuario della SAT. Qualche mese dopo, parlando con degli amici, seppi che negli ambienti tedeschi si metteva in dubbio quanto aveva asserito il Micheluzzi. Venuto poi a contatto col Micheluzzi stesso, gli feci presente l'incredulità degli alpinisti tedeschi al che egli rispose che poteva contare sulla tua testimonianza in quanto che tu quel giorno eri al Contrin e compivi l'ascensione della solita Parete Sud. Aggiunse inoltre che egli era disposto a ripetere l'ascensione verso il compenso di un importo non minore a lire 5.000 (diconsi lire cinquemila!).
So poi che altri poi hanno compiuto l'ascensione seguendo l'itinerario Micheluzzi e compagni, ciò che sta a dimostrare che detto itinerario, pur essendo estremamente difficile, non presentava passaggi impossibili come hanno trovato altri salitori e tedeschi ed altre guide locali.
Con i più cordiali saluti,
aff.mo Fabbro


Passo Sella, 31 luglio 1933
Caro Tita,
Avendo sentito dell'ultimo tentativo di Stösser per prendere come sua prima ascensione la « Direttissima » Marmolada Sud, ti scrivo per ripetere quello che già ti ho detto. Come sai, noi, cioè Glük, Peratoner ed io abbiamo fatto questa ascensione il 20-21 agosto dell'anno passato ed io ho voluto farlo prima che Stösser avesse potuto ritentare per poter vedere se si trovassero delle prove assolute della riuscita della prima salita Micheluzzi-Peratoner-Cristomanno. Naturalmente a Peratoner non ho detto con quale scopo sono andata. Peratoner mi aveva già detto del buco sotto il tetto dello strapiombo, anzi ci siamo fatti fare una lunga sbarra di ferro appositamente per sfondarlo se fosse intanto turato.
Glük ed io siamo rimasti persuasissimi del fatto che la prima ascensione è stata fatta da Micheluzzi-Peratoner-C. per varie prove, la più positiva delle quali essendo i due chiodi sopra il tetto dello strapiombo. Questi chiodi il Peratoner mi ha descritti prima di passare lo strapiombo e una volta su li ho trovati tali e quali come egli mi aveva detto. Tutta la maniera di Peratoner nell'indicarmi la posizione del piccolo buco dove avevano passato la corda, la manovra fatta per passare lo strapiombo, ogni cosa era la chiara prova che l'avevano già fatta - e poi i chiodi non si piantano da sé! Sarei molto addolorata se si continuasse a dubitare del fatto che Micheluzzi-Peratoner e C. abbiano fatto la prima ascensione giacché io ho rimesso non poco per provare che l'ascensione spetta a loro e non mica al signor Stösser.
Con cari saluti
tua Jane Tutino-Steel


Pordoi, 1 giugno 1933
Al Presidente della Sezione Bayerland
Monaco
Egregio Signor Presidente,
Appena oggi posso rispondere alla Sua del 28 novembre 1932 e spero d'essere in grado di poter eliminare una buona volta definitivamente l'incresciosa vertenza della « direttissima della Marmolada ». A questo scopo mi sembrò della massima importanza la raccolta rigorosamente oggettiva di dati di fatto e non di semplici supposizioni e dicerie.
La copia della lettera del dott. Fabbro a me diretta, smentisce l'asserzione della Munchner Neueste Nachrichten del 9 ottobre [in realtà settembre] del 1932 che Micheluzzi rimase debitore al C.A.I. delle richieste prove della sua scalata (allegato A). Gli allegati B e C sono le dichiarazioni dei due che presenziarono all'uscita della cordata Micheluzzi dalla « direttissima della Marmolada ».
Per quanto riguarda la mia ingerenza, Egregio Signor Presidente, mi rincresce il doverLe dire che Lei è in errore credendo che io non c'entri né punto né poco nella vertenza, e la mia immodestia è tale da farmi un po' meravigliare che Lei ignori affatto che io in questi paraggi nel capitolo « salvataggi » comparisco non di rado in scena e forse con più frequenza quando, per motivi umanamente comprensibili, i salvatori non si annunciano proprio a frotte, e quando necessita arrischiare un po' eventualmente la pelle (favorisca scusare questa mia debolezza).
Orbene al 7 settembre del 1929 mentre mi trovavo sulle Torri del Vajolett venni chiamato d'urgenza perché non si aveva notizie della cordata Micheluzzi e si temeva una disgrazia.
Io discesi tosto al rifugio del Vajolett e da colà telefonai al Contrin di inviare ancora una volta qualcheduno al passo Ombretta per esplorare la parete della Marmolada, che io frattanto sarei accorso. Poi precipitai a Perra, mi recai con un'auto a Canazei dove in fretta e furia misi insieme un paio di guide. Qui la signora Rosina Jori, direttrice del rifugio Contrin, mi chiamò al telefono notificandomi che l'uomo inviato all'Ombretta era tornato senza aver visto né udito nulla della cordata mancante. Io dissi alla signora Jori che mi sarei recato immediatamente a cavallo verso il Contrin e che se frattanto si dovessero avere delle buone notizie riguardanti la partita Micheluzzi, volesse avere la bontà di spedirmi qualcuno incontro a ciò io potessi tornarmene. Difatti, arrivato non molto lontano distante dal rifugio Contrin, mi venne incontro il portatore Faber il quale mi disse che la cordata Micheluzzi era arrivata alla cima e stava precisamente scendendo. E infatti io potei scorgere col mio binocolo la suddetta partita che scendeva giù per il ghiaione della Forcella Marmolada. E allora me ne ritornai.
Per quanto riguarda la Sua asserzione relativamente al « pensiero nazionale » mi vedo costretto a renderLa attenta di un nuovo errore da parte Sua: non io sono il primo che lo tira in ballo, ma colui che pubblicando la notizia della scalata di Stosser usò il titolo « Una nuova vittoria tedesca nelle Dolomiti ». Fin dalla mia prima giovinezza ho sempre considerato simili mancanze di buon gusto come una perfetta profanazione dell'alpinismo e come tali cordialmente odiate. L'alpinismo, il grande consolatore ed educatore dell'anima umana, abbassarlo macchiavellisticamente fino a mezzo allo scopo, mi sembrò sempre un basso sabotaggio di un puro fattore culturale. Io devo quindi deplorare vivamente questa Sua incredibile incomprensione della mia concezione alpina che al tempo stesso mi fornisce delle preziose spiegazioni sul tono non soverchiamente lusinghiero della Sua lettera.
In fine mi permetto ancora l'osservazione che mi riesce assolutamente (o quasi) incomprensibile che Stösser abbia incaricato la sezione elite del D.O.A.V. di rispondere alla mia lettera indirizzata a lui ed in certo qual modo di sostituirlo nel precisare il suo punto di vista. Io debbo confessare che questa forma di corrispondenza alpinistica mi è nuova e non riesco a trovare altra spiegazione che questa: il signor Stösser non ritenne dignitoso per lui l'entrare in diretta relazione con un ragnatelato « oggetto » del dimenticatoio dell'alpinismo. E’ chiaro, lui non è rigattiere! E questo suo agire lo trovo tanto meno comprensibile in quanto mi consta che egli sul tema della mia ingerenza degnò corrispondere con grande familiarità col ciabattino di Canazei, Battista Costa.
A mia difesa, per l'assoluta mancanza di comprensione di simili ipermoderni metodi alpini potrebbe forse servire a mia difesa il fatto che io sono sprovvisto in modo sconsolante della necessaria, il più delle volte « assai pratica » elasticità psicologica di adattarsi alle supernuove tendenze su base futurista.
Scusi, La prego, Egregio Signor Presidente, la mia prolissità.
Saluti alpini.
Tita Piaz


Monaco, 21 giugno 1933
Egregio signor Piaz,
Accuso ricevuta della sua lettera del 1° giugno 1933.
Stösser è nostro socio ed è questo il motivo perché io scrissi a Lei. In ogni modo mi riferisco alla risposta di Stösser alla sua lettera del 1° giugno 1933 che io gli girai per conoscenza. Per questo motivo io non entro più in merito della Sua lettera. Del resto si dovrà pure aspettare la decisione del C.A.I.
Con alpini saluti
A.V.S. Bajerland o. V.
Il Presidente
(firma illeggibile)


Walter Stösser,
Pforzheim
Zahringer Allee 77
Pforzheim, 19 giugno 1933.
Egregio Signor Piaz,
In questi giorni mi venne recapitata la sua lettera del 1° giugno 1933, indirizzata al Presidente della Sezione Bayerland.
Dall'ultimo periodo della stessa sembra che Lei interpreti un atto di disistima Il fatto che alla sua lettera del 15 novembre 1932 rispose la Sezione Bayerland. Io l’assicuro che una simile intenzione mi era assolutamente estranea.
Alla sua ultima lettera indirizzata al Presidente della Sezione Bayerland desidero rispondere io stesso.
In primo luogo debbo sottolineare ancora una volta che io non ho mai asserito d'essere il primo scalatore della « direttissima della Marmolada ».
Secondo: che l'articolo in parola non è cosa mia; terzo: che le copie allegate alla Sua lettera stanno in stridente contraddizione con quanto ebbe a dirmi Micheluzzi in presenza di testimoni: « Nessuno ci vide arrivare alla cima ». Esistono inoltre presso il C.A.I. di Bolzano le testimonianze di tre persone che dicono di essersi pure trovati all'uscita della Direttissima nello stesso tempo che Micheluzzi pretende esserne uscito. Ritengo superfluo notare che il Suo altruismo nel correre a salvataggio non è mai stato posto in dubbio. Pure i fatti da Lei riportati ritengo non siano sufficienti a provare la paternità di Micheluzzi. Infine per quanto riguarda il « momento nazionale » mi vedo costretto a precisare che Lei è il primo a tirarlo in ballo in questa vertenza giacché il suddetto articolo della M.N.N. (che le è sempre possibile consultare) portava la soprascritta: « Die Sudwand der Marmolada ». È superfluo quindi entrare in discussione sulle sue conclusioni relative.
Io sottolineo espressamente che sono l'ultimo a non voler riconoscere l'opera altrui, quella di Micheluzzi e Peratoner. In quanto che essa sia stata indiscutibilmente compiuta, non penso neanche lontanamente a menomarla. D'altro canto lei comprenderà che io ho le mie proprie idee in proposito, se Micheluzzi stesso mi fa noti i dubbi sorti presso il C.A.I. sulla sua scalata. Micheluzzi mi dichiarò nel 1931: che il C.A.I. vorrebbe avere delle prove che egli non è in grado di fornire dal momento che nessuno li ha visti uscire dalla parete e che quindi non potrebbero essere date che mediante una seconda scalata. Lei comprenderà inoltre che le contraddizioni su accennate non servono a dissipare gli esistenti dubbi e se io, come è successo, vengo spinto nella controversia, così debbo pure difendere la mia pelle. Per questo motivo ho spedito una dettagliata esposizione dei fatti al signor Domenico Rudatis, Milano C.A.I. da egli stesso richiestami, e sarò lieto se dall’inchiesta le contraddizioni verranno finalmente chiarite.
Un alpino saluto,
Walter Stösser



... Al 27 agosto arrivammo a Canazei. Ci avevano raccontato di parecchi tentativi dei quali nessuno era stato coronato da successo. Mentre una cordata era arrivata appena all'altezza della prima terrazza, le due guide Peratoner e Glük erano riuscite a raggiungere il « gran tetto » da dove si lasciarono recuperare dalla cima. Di altri si sapeva unicamente che salivano soltanto in sicura lontananza dalla gigantesca colonna. Perché non l'attaccarono? Qalcosa di cupo, di inesprimibile sembrava pesare su questa via. Si temeva forse il mistero, il semimistico velo che avvolgeva la parte sopra al « gran tetto » e il camino d'uscita?...
Walter Stösser
(dal Bergsteiger del Giugno 1933 N. 9, pag. 533)


Riepilogando

Ora, la lettera di Stösser a me diretta in data 19 giugno a. c. sopporta le seguenti correzioni:
1) Stösser ha asserito d'essere il primo scalatore della “Direttissima della Marmolada, (vedi allegato 11).
2) Micheluzzi non può aver detto « nessuno ci divide arrivare alla cima »: può invece trattarsi di un errore d’interpretazione o di esposizione, non conoscendo Stösser la lingua italiana ed avendo Micheluzzi appreso quella tedesca ad Avelengo presso Merano, facendo il pastore delle pecore per tre mesi, 23 anni fa.
3) Presso il C.A.I. di Bolzano non esiste la testimonianza delle tre persone che dovrebbero essersi trovate all'uscita della « Direttissima » alle ore 11:00 circa, testimonianza vantata da Stösser.
4) Stabilito che i chiodi sotto il « gran tetto » furono trovati e che questi non nascono sulle rocce come le stelle alpine, vorrei invitare il signor Stösser a spiegarmi come la « sospettata » cordata Micheluzzi, da me vista il giorno 7, poco tempo dopo il mezzogiorno, discendere dalla forcella Marmolada, abbia potuto portarsi colà.
5) La dichiarazione del Micheluzzi nel 1931, sostenuta da Stösser, non può essere vera perché il C.A.I. non gli ha mai chiesto delle prove sulla sua scalata e neppure alcuna personalità del C.A.I.
6) Nessun dubbio sulla scalata di Micheluzzi è mai sorto né circolato a Canazei prima delle « scoperte » di Stösser. Queste chiacchiere si fecero vive dopo il passaggio dello stesso per colà.
7) Non io ho tirato in ballo il « movente nazionale » né io ho mai detto che lo abbia fatto il giornale M.N.N. di cui ne tengo la copia, ma un altro giornale. Per informazioni rivolgersi al signor Facchini, segretario del C.A.I. di Bolzano.
Concludendo: se Stösser vuole difendere la propria pelle e dimostrare la buona fede, bisogna che egli smentisca il signor Masneri, la guida Angelo Dantone, e me, e ci metta alla gogna come meritano gli imbroglioni alpini di tutti i colori e di tutte le nazioni.
Tita Piaz

L'articolo sulla MNN del 3 settembre 1932

Visto che ciò che scatena la polemica è il citato articolo pubblicato sulla Munchner Neueste Nachrichten [10], l'ho recuperato per dargli un'occhiata. Poiché però la mia conoscenza del tedesco si limita a quanto necessario per mangiare e bere, mi sono affidato a diversi traduttori online per decifrare i caratteri gotici, confrontando gli esiti e pescando quanto mi sembrava più logico. Si perdonino quindi (non senza segnalarle) eventuali ingenuità nella traduzione.

La parete sud della Marmolada

L'imponente versante sud di questa incomparabile parete dolomitica è diventata una meta "classica" da quando, esattamente 30 anni fa, i due fratelli Leuchs di Monaco di Baviera ruppero l'incantesimo lungo una via che seguiva le tracce lasciate l'anno prima da un gruppo di guide. Alpinisti selezionati hanno percorso, durante tre decenni, la bella e difficile via di arrampicata che, durante la guerra, mise a dura prova anche le pattuglie alpine italiane impegnate sulla vetta.

Eppure il percorso perfettamente rettilineo, ideale, attraverso l'alto muro rimaneva uno dei grandi problemi irrisolti. Preuß, Dülfer, Piaz, Dibona e molti altri si cimentarono con l'imponente spigolo sud-ovest, il gigantesco pilastro che sostiene con la sua forza la vetta ghiacciata. Si racconta che il 6 e 7 settembre 1929 le due guide locali Peratoner e Micheluzzi percorsero per la prima volta questa via. Non furono creduti e non fornirono al Club Alpino Italiano le prove richieste. Qualche settimana fa Peratoner ha scalato di nuovo la parete con un compagno e un'inglese e il secondo giorno è stato salvato a 4/5 del percorso da dieci guide. Ciò distrusse completamente la fiducia nella sua salita.

Ma ora la parete è stata conquistata: Walter Stösser di Pforzheim, "Bayerländer" e "folletto della montagna" di Monaco, ha risolto il famoso problema insieme al suo compagno Friz Kast il 30 e 31 agosto, completando così la serie di successi delle Alpi occidentali di quest'anno, che comprende anche la cresta ovest del Deschinenhorn. Il primo giorno salirono per 300 metri fino al vistoso pulpito, dove dovettero sopravvivere ad un bivacco con una nevicata. Il secondo giorno sono arrivati in vetta alle 4. Walter Stösser pone la difficoltà di questa salita al di sopra di tutte le vie conosciute, persino al di sopra del grado più alto a cui appartengono le pareti nord della Civetta e del Pelmo, tanto che questa parete è probabilmente la più difficile di tutte le vie alpinistiche delle Alpi orientali. E Stösser è un buon intenditore ed esperto.

Considerazioni

Di fronte alla corrispondenza riportata non si può non ammirare la nobiltà d'animo di Tita Piaz, che per mesi scambia lettere con il Club alpino tedesco e con tutti i possibili testimoni al fine di restituire la paternità della prima salita non a sé stesso, ma ad un amico! Ѐ probabile che l'articolo [5] sullo Scarpone sia da ricondurre ad informazioni di Piaz, visto che il contenuto è analogo a quello delle lettere. Eppure, l'unico cenno "coevo" di questo impegno che sono riuscito a reperire è contenuto nel bell'articolo di Ettore Castiglioni Le pareti della Marmolada [11], assolutamente da leggere anche per le divertentissime descrizioni della salita con Vinatzer e del tentativo con De Tassis a quella che diventerà la via Soldà, dove si legge a p. 95:

Con una lunga polemica, cui lo Stösser rifuggiva sempre dal rispondere personalmente, Tita Piaz potè finalmente ottenere da lui una franca dichiarazione, che i chiodi trovati nella roccia attestavano senza possibilità di dubbio la priorità del Micheluzzi. Anche l'articolo pubblicato dallo Stösser sull'Annuario del D. Oe. A. V. del 1933 è un pieno e leale riconoscimento del valore della nostra guida [...]

Più o meno le stesse parole sono riportate in Oltre il sentiero - Le guide della Valle di Fassa [12] e in Storia dell'alpinismo fassano [13]. La statura morale di Piaz si rivela anche nella concezione dell'alpinismo, il grande consolatore ed educatore dell'anima umana, e nel suo rifiuto del nazionalismo ormai imperante, delle supernuove tendenze su base futurista (bellissimo!) che appestano gli scritti da una parte e dall'altra (notate la differenza tra il tono alto anche nella polemica di Piaz - che si offende solo quando pensa di non esser considerato degno di risposta diretta - e quello piccino dell'anonimo cronista che anticipa il contenuto). Tuttavia, nel caso specifico bisogna dare un po' di ragione alla controparte: Piaz inizia citando l'articolo della MNN e indignandosi per la famosa "reclame nazionale", di cui sulla MNN non v'è traccia. Che poi alla fine compaia un altro giornale di cui non si dice il nome fa pensare che Piaz non avesse letto l'articolo. D'altronde, ai tempi non c'era Internet!

Se Piaz non disdegna l'impegno personale, sorprende un po' il silenzio di Micheluzzi; è possibile tuttavia che abbia indicato lui al "vecchio" Tita a chi rivolgersi per avere le informazioni desiderate. Certo, sulla famosa frase del punto 2), pronunciata o meno, sarebbe stato utile un chiarimento proprio da Micheluzzi! Ad onor del vero, nel citato Oltre il sentiero [12] si dice (p. 51) che Micheluzzi dovette battersi a fondo perché gli venissero riconosciuti i meriti di un'impresa di cui giustamente andava orgoglioso, ma di tutto ciò non sono riuscito a reperire traccia. Resta poi da capire se la famosa lettera di Stösser a Rudatis sia ancora conservata da qualche parte negli archivi del CAI.

Infine, bisogna chiarire chi erano i "due giovanotti di Gardena" che salgono a piedi nudi! Si tratta di Vinatzer e Peristi, come riporta Lo Scarpone [14] dove si legge che

La direttissima della Marmolada fu attaccata alle ore 6,40 del 13 settembre; raggiunsero la prima terrazza alle 7,25, erano ai piedi della Torre alle 7,35, e sulla cima di questa alle 7,45. Fin qui arrampicarono in pedule, poi proseguirono scalzi.

Per finire questa prima parte riporto dal citato articolo di Castiglioni [11] l'elenco delle prime salite allo spigolo Micheluzzi, non senza notare che Bepi Pellegrinon nella guida della Marmolada [15] attribuisce la seconda salita alla cordata Perathoner-Gluck-Tutino Steel, che in realtà non completarono la salita, e la quarta alla coppia Ruschmann-Posch l'8 agosto 1935.

1a salita: Micheluzzi, Perathoner, Christomannos, 6-7 settembre 1929
2a salita: Stosser, Kast, 30-31 agosto 1932
3a salita: Vinatzer, Peristi, 13 settembre 1932
4a salita: Steger, Wiesinger, 16-17 settembre 1932
5a salita: Kaschpach, Brunhuber, agosto 1935
6a salita: Castiglioni, De Tassis, settembre 1935

Non resta che parlare di Stösser; arrivederci quindi alla parte 2.

Bibliografia

[1] Ettore Castiglioni, Odle Sella Marmolada, CAI-TCI (Milano), 1937, pp. 494-496.
[2] Lorenzo Doris, Storia dell'alpinismo dolomitico - dalle origini al 1957, Nordpress, Chiari (BS), p. 91.
[3] Vittorio Varale, La battaglia del sesto grado, Longanesi (Milano), 1965, pp. 77-78.
[4] SAT, XXV Annuario 1929-1930, SAT (Trento), 1930, pp. 121-122. Disponibile qui.
[5] Franco Dezulian, La "direttissima" della Marmolada - chi ha fatto la prima ascensione?, Lo Scarpone 1932 n. 19, p. 3.
[6] Franco Dezulian, Marmolada montagna perfetta, Rivista Mensile del CAI 1933 n. 2 pp. 91-93.
[7] Prime ascensioni - salite importanti - tentativi, Alpinismo 1933 n. 1 p. 15.
[8] Ultime di cronaca, Alpinismo 1935 n. 10, p. 242
[9] La "direttissima" sull’impervio spigolo S della Marmolada rivendicata da Tita Piaz a una cordata italiana, Roccia 1933 n. 21, pp. 5-6.
[10] Die Südwand der Marmolata, Munchner Neueste Nachrichten, 9 settembre 1932, p. 10. Disponibile qui.
[11] Ettore Castiglioni, Le pareti della Marmolada, Rivista Mensile del CAI 1937 n. 3, pp. 92-101.
[12] Gino Callin, Elio Conighi, Antonino Vischi, Oltre il sentiero - Le guide della Valle di Fassa, Saturnia (Trento), 1972, pp. 47-58.
[13] Dante Colli, Storia dell'alpinismo fassano, Tamari (Bologna), 1999, pp. 73-80
[14] La Direttissima della Marmolada - Prima ascensione italiana senza guide, Lo Scarpone 1932 n. 21, p. 3
[15] Bepi Pellegrinon, Marmolada, Novi sentieri (Belluno), 1979, p. 167.

mercoledì 5 marzo 2025

Treni 2218 e 2275 (Bergamo-Milano Lambrate): ritardi gennaio-febbraio 2025

Fig. 1: distribuzioni cumulative dei ritardi per il treno 2218
delle 8:02 nei bimestri gennaio-febbraio dal 2015 al 2025.
Fig. 2: Ritardi nel bimestre in esame per il treno 2218 (8:02).
Fig. 3: Come in Fig. 1 ma per il treno 2275 (17:40).
Fig. 4: Come in Fig. 1 ma per il treno 2275 (17:40).

L'articolo del bimestre è questo reclamo che proviene da Lodi, ma si adatta perfettamente a tutte le linee malservite da Trenord, dove ai ritardi e alle cancellazioni si sommano i posti a sedere insufficienti durante il periodo delle lezioni, i guasti al riscaldamento e/o aria condizionata, ecc. ecc. L'unico commento da fare alla lettera è la sua ingenuità; vorrei quindi rassicurare l'autrice: non serve una lettera per "rendere consapevoli" dirigenti e altri figuri di Trenord delle condizioni di viaggio: ne sono ben consci, ma non sono in grado di rimediarvi neanche volendo! E non si capisce poi perché dovrebbero farlo, quando il guadagno è del tutto svincolato dalla qualità del servizio. Candidamente velleitaria è anche la frase finale, ovvero: "Mi aspetto che Trenord agisca in maniera efficace e risolutiva ora", che testimonia l'inguaribile ottimismo (o se preferite, il senso dell'ironia) dei pendolari.

Veniamo quindi ai ritardi di questo primo bimestre 2025, iniziando dal treno 2218: puntualità al 5% e al 62% entro 5' di ritardo, massimo ritardo di 43' il 7/2 per guasto al treno. Nonostante questi numeri poco incoraggianti, la distribuzione dei ritardi (Fig. 1) segna un certo miglioramento rispetto agli anni precedenti, cosa che non si vedeva da un pezzo! Questo si vede distintamente nella Fig. 2, dove la media scende di tre minuti rispetto al 2024, ma il comportamento del peggior 10% dei treni migliora di circa sette minuti, scendendo sotto il 10', mai visto dal 2017! Siamo impazziti??

Prima che a qualcuno venga in mente di gridare al miracolo, guardiamo anche i dati del treno 2275, che tipicamente è una ciofeca. Qui la rivoluzione copernicana del 2025 di Trenord per migliorare i ritardi è la seguente: non eliminare le cause del ritardo, ma aumentare i tempi di percorrenza! Ora questo treno parte da Lambrate un minuto prima rispetto agli anni passati, anche se il ritardo si accumula nel tratto precedente! Ecco i risultati: puntualità al 18% e al 63% entro 5', massimo ritardo di 35' il 5/2 per sciopero (che dipende solo indirettamente da Trenord, ma pochi giorni dopo il treno ne ha accumulati 32 per cancellazione; alla faccia dei "nuovi treni"!). Dall'andamento in Fig. 3 non si evidenzia alcun miglioramento rispetto agli anni precedenti, ed infatti la Fig. 4 certifica che la media non è praticamente cambiata, mentre il ritardo al 90% di probabilità peggiora di quasi due minuti. Contando che il tempo di percorrenza ufficiale è aumentato di un minuto, si capisce che la soluzione non è stata molto utile. Qualcuno aveva dubbi?

Veniamo come di consueto alle cause dei ritardi: su dodici segnalazioni da app, una sola è riconducibile ad un guasto all'infrastruttura mentre le altre sono relative a problemi al treno (guasti, controlli tecnici,...), ritardi di altri treni, o invenzioni fantasiose come il "prolungamento del servizio viaggiatori a Pioltello" (dove però il treno aveva già accumulato tutto il ritardo) o le immancabili "esigenze del regolatore", come il 9/1 per il 2237, fermo a Centrale tra rumori e sirene, ma indicato in ritardo per le suddette esigenze. A ciò bisogna aggiungere altri quattro ritardi superiori ai dieci minuti per cui non è stata fornita alcuna spiegazione. 

martedì 18 febbraio 2025

Calabria rosso Igt 1480 l'inizio 2015 Odoardi

Questo vino è diventato famoso nel 2021, quando il critico gastronomico del NYT Eric Asimov (nipote del famoso scrittore di fantascienza di cui secoli ho letto centinaia di pagine) lo ha inserito in una lista dei migliori vini del mondo al di sotto dei 20 €, lista in cui figurano ben cinque bottiglie italiane. Mi sono quindi premurato di procurarmene una, onde poter verificare il giudizio dell'autorevole critico. Iniziamo dal nome: le Cantine Odoardi non nascono propriamente nel 1480 (anno in cui gli antenati della famiglia si trasferirono in Italia), ma circa cinque secoli dopo, intorno al 1965, sulle colline di Nocera Terinese che guardano verso il Tirreno. I suoi 55 ettari di vigneti si traducono in quattro rossi, tutti denominati Calabria Igt, e due bianchi. Tralasciando il GB e il Terra Damia che passano in barrique, rimane un Vino rosso ed il nostro 1480 l'inizio, da uve Aglianico (60%) e Magliocco (40%), con fermentazione ed affinamento interamente in acciaio.

Quando si apre una bottiglia sconosciuta con dieci anni di invecchiamento c'è sempre un po' di titubanza, di cautela, quasi a voler chiedere permesso per il disturbo. Così, dopo una lesta e convincente annusata al tappo, si procede a scrutare il liquido nel bicchiere per decifrarlo, invero senza troppo successo: un rosso piuttosto scuro che restituisce comunque un'impressione di buona salute. Cambiamo senso e passiamo all'olfatto, ma anche qui le informazioni sono centellinate; il vino è chiuso e diffidente, ha bisogno di un po' di tempo per prendere confidenza. Quando - e siamo già al secondo o terzo bicchiere - infine si decide ad essere meno scorbutico, si liberano aromi di frutti rossi (amarena) e neri, nonché l'amarognolo della mandorla.
Molto gradevole ed equilibrato all'assaggio, con tannini setosi e un buon tenore alcolico; un vino che si beve con gran piacere e facilità.

Non resta quindi che ringraziare il buon Asimov per questa ottima segnalazione; che poi il vino sia o meno tra i migliori venti al mondo non sta certo a me dirlo... e in fin dei conti poco importa!


Gradazione: 13,5°
Prezzo di acquisto: 15 €

sabato 8 febbraio 2025

Verduno Pelaverga DOC 2019 Comm. G. B. Burlotto

La zona attorno a Verduno, nelle Langhe, deve - giustamente! - la sua notorietà ai grandi vini a base Nebbiolo. Ma chi volesse dare un'occhiata al di fuori di questo bellissimo orizzonte troverebbe delle realtà che si possono definire minori solo dal punto di vista della produzione quantitativa. Iniziamo dal vitigno: il Pelaverga piccolo si raccoglie in pochi ettari attorno a Verduno e ha subito la sorte di tanti suoi simili, sostanzialmente dimenticato fino alla riscoperta negli anni '70 e la creazione della DOC Verduno Pelaverga nel 1995. Tra le cantine che lo producono, la Burlotto si può definire un riferimento storico: nata nel 1850 a Verduno, mantiene vivo il Pelaverga, affiancandolo a ben cinque Baroli, tutti affinati il botti grandi (bravi!), senza dimenticare Dolcetto, Barbera e Nebbiolo, due Sauvignon e un rosato da vitigni autoctoni. Mica male, no?

Il Pelaverga macera in rovere e acciaio, per poi continuare in acciaio l'affinamento. Il colore è rosso rubino e nel bicchiere si sviluppano aromi di frutti rossi (ciliegia, fragola) e di spezie, con qualche nota floreale. Ma è al sorso che mi ha stupito: molto fresco e godibile, con tannini morbidi e un finale lievemente amarognolo: un bicchiere di storia delle Langhe che ci ricorda la ricchezza del nostro patrimonio ampelografico (pare si dica così...). Veramente da assaggiare!


Gradazione: 13°
Prezzo di acquisto: 15 €

domenica 26 gennaio 2025

Pirata Samu

Sul 2° tiro.
Luca sul 3° tiro.
L'uscita del 5° tiro ormai sotto la pioggia.
Fede compie la prima libera con pioggia del 6° tiro...
Fede sul 7° tiro.
Tracciato della via (foto della parete da Google Maps).
Spalti di Capitel d'Orsa
Parete E

Accesso: dal casello di Affi della A22 seguire per Brentino Belluno, mantenendo la strada provinciale senza entrare in paese. Appena superato lo stesso, si prende una deviazione a sinistra per località Castel (indicazione per l'omonima trattoria), ed in breve si giunge al piazzale della pizzeria. Si continua lungo la strada e, dopo una prima curva a sinistra, si superano quattro tornanti ravvicinati e si parcheggia alla curva successiva (un paio di posti; altrettanti si trovano prima). Si prosegue brevemente a piedi lungo la strada per salire lungo il sentiero 674 (indicazione). Dopo 15-20' di cammino, giunti più o meno all'altezza di un pilone della linea elettrica sulla sinistra, si localizza una traccia sempre a sinistra, indicata da un ometto, e la si segue (fate attenzione: l'ometto non è sul sentiero ma qualche metro a sinistra lungo la traccia ed è poco visibile; poco prima vi è una pianta marcata dal segno bianco e rosso dei sentieri CAI. Se proseguite troppo vi troverete vicino alla base di un ghiaione: tornate indietro!). La traccia porta verso una condotta forzata: non raggiungerla, ma salire appena prima al sovrastante pilone della linea elettrica. Da qui si risale la condotta fino al suo ancoraggio V10, dove si segue una traccia a sinistra che porta alla base della parete e all'attacco della via (scritta Via del Luce, con cui condivide il primo tiro).

Relazione: via che risale la parete lungo belle placche intervallate da tratti su cengie che rovinano un po' la continuità, con chiodatura ottima e mai distante. È tuttavia da evitare dopo i periodi di pioggia, poiché le cengie terrose hanno un effetto nefasto sulle scarpette. Ancor peggio è il trovarvisi durante la pioggia, visto che il connubio scarpetta bagnata e sporca di terra con placca pure bagnata non prelude ad un'arrampicata scevra da improperi appena mitigati dalla vista del Santuario. Tutte le soste sono su due fix con catena e maglia-rapida tranne la prima, su due fix. Il percorso è sempre ovvio e la roccia buona (a parte le ravanate). Portare solo rinvii.
1° tiro: salire il muretto fessurato e traversare per cengia a sinistra. Ignorare una sosta su cordoni e proseguire fino alla sosta successiva. 40 m, 6a+ (il muro iniziale; poi ravanata di II intervallata da qualche roccia); quattro fix, un chiodo, tre cordoni.
2° tiro: salire e traversare in orizzontale a destra, portarsi sotto il tetto e superarlo alla sua destra, per raggiungere la sosta appena a sinistra. 20 m, 6a, sette fix.
3° tiro: ravanata verso sinistra e muretto su lame e buconi che porta in sosta. 30 m, 6a, cinque fix.
4° tiro: ancora a sinistra per poi rientrare a destra e salire un muretto con fessure ed un paio di buchetti, sostando poi su cengia. 30 m, 6a+, sei fix.
5° tiro: spostarsi a destra e salire la placca, uscendo su rocce appoggiate fino alla sosta. 30 m, 6a+, sette fix.
6° tiro: salire la placca, spostarsi a destra e raggiungere un diedro aggettante che si supera su buone prese. Proseguire per placca fessurata fino alla sosta. 25 m, 6b+ (probabilmente generoso, ma impossibile da valutare sul bagnato); otto fix, due chiodi.
7° tiro: spostarsi a destra, salire appena e traversare fino a rimontare il corto strapiombo. Spostarsi a destra e risalire un pilastrino ed un diedro, giungendo in sosta. 25 m, 6a+, sette fix.

Discesa: salire brevemente nel bosco e prendere una traccia sulla destra (piastrina S1) fino a giungere all'altezza della condotta forzata. Risalirla fino all'ancoraggio V4 e proseguire brevemente fino ad incrociare il sentiero 674 che si segue verso destra.


Avvertenza: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

venerdì 27 dicembre 2024

White noise

di Don DeLillo
Penguin Books, New York

I shopped for immediate needs and distant contingencies. I shopped for its own sake, looking and touching [...] I began to grow in value and self-regard. I filled myself out, found new aspects of myself, located a person I'd forgotten existed. Brightness settled around me[...] I traded money for goods. The more money I spent, the less important it seemed. I was bigger than these sums. [...] These sums in fact came back to me in the form of existential credit.
L'interesse per questo libro nasce in primis... dal titolo! Il rumore (bianco, ma non solo) è uno degli argomenti fondamentali di ogni corso di Elettronica (ma non solo), e l'uso che ne avrebbe fatto DeLillo mi incuriosiva. Lo acquistai un dicembre di più di una ventina di anni fa, in una libreria di Washington vicina all'hotel dove si teneva la conferenza IEDM e... lo misi da parte dopo aver letto l'arcano Ratner's star. Ci sono libri da prendere alla lontana, da avvicinare con un po' di diffidenza, e poi da leggere con circospezione, cercando di non perdersi nel... rumore di fondo (il gioco di parole è fin troppo ovvio) per seguire una trama, scoprendo che alla fine trama e sottofondo, segnale e rumore, si compenetrano. Ma andiamo con ordine.

Il libro è diviso in tre parti. Nella prima (titolo evocativo Waves and radiation) si racconta la vita quotidiana della famiglia di Jack Gladney, un singolare "collega", chairman of the department of Hitler studies (p. 4), che insegna Advanced Nazism, a course of study designed to cultivate historical perspective, theoretical rigor and mature insight into the continuing mass appeal of fascist tyranny (p. 25; immagino avrebbe un certo successo anche dalle nostre parti...). Jack e famiglia, con i figli adolescenti che vengono da precedenti matrimoni e dimostrano un livello improbabile di maturità, conducono una vita "tipicamente americana", o meglio occidentale, regolata da televisione (siamo nell'era pre-Internet e pre-telefonini), radio, tabloid, e supermercato, dove (p. 19):
Most of all I like the packages themselves. You were right, Jack. This is the last avant-garde. Bold new forms. The power to shock. [...] I'm happy there. I read the TV listings, I read the ads in Ufologist Today. I want to immerse myself in American magic and dread.
Memorabile l'analogia (pp. 37-38) che Murray (un collega di Jack, appassionato di cultura popolare e che ricerca sempre interpretazioni profonde di ogni dettaglio, in bilico tra l'acume ed il ridicolo) pone tra il supermercato e l'interregno tra morte e rinascita nella cultura tibetana, un luogo sempre uguale dove ci si ricarica spiritualmente: Here we won't die, we shop. But the difference is less marked than you think. Nel supermercato si è subissati di rumori, annunci, colori, etichette da leggere (le uniche cose che ormai, secondo Murray, leggono i suoi colleghi all'università), waves and radiation, appunto. Le stesse cose, psychic datasacred formulas, sono emanate dalla TV (pp. 50-51). Tutti i protagonisti sono immersi in questi codici, vero "rumore bianco" che agisce da costante controcanto alle vicende, e tentano a loro modo di decifrarli, da Jack che si interroga sul significato numerologico dell'ora a cui si è svegliato a Babette che legge gli oroscopi, da Denise che consulta i manuali di medicina fino alla polizia che si rivolge ad una sensitiva per ritrovare due dispersi (che saranno poi rinvenuti in un supermercato). La televisione ha anche un ruolo rassicurante, mostrando in continuazione disastri che attirano la nostra attenzione a patto che accadano altrove, reinforzando la nostra condizione di privilegiati (p. 66):
For most people there are only two places in the world. Where they live and the TV set. If a thing happens on television, we have every right to find it fascinating, whatever it is.
Questa condizione comincia a sgretolarsi nella seconda parte, costituita da un solo capitolo, quando il deragliamento di un treno rilascia una nube tossica che si avvicina alla città. Il buon Jack non riesce a crederci e continua a negare che ci possano essere conseguenze (p. 114):
These things happen to poor people who live in exposed areas. Society is set up in such a way that it's the poor and the uneducated who suffer the main impact of natural and man-made disasters. [...] I'm a college professor. Did you ever see a college professor rowing a boat down his own street in one of those TV floods?
Alla fine la famiglia deve evacuare, e durante il viaggio Jack scende dall'auto a fare il pieno di benzina, rimanendo esposto alla nube tossica. Nel campo profughi un anonimo operatore dietro ad un computer lo avvisa che la contaminazione è importante, ma che gli effetti non sono noti: potrebbe morire, forse a breve, forse tra molti anni o decenni. Dopo nove giorni, i Gladney possono rientrare a casa e la vita riprende il solito ritmo.

Siamo alla parte finale e la trama si movimenta. Jack scopre un contenitore di Dylar, una medicina sconosciuta che la moglie Babette assume di nascosto, e la fa analizzare nel laboratorio universitario. Saputo che si tratta di un neurofarmaco, confronta Babette, che confessa di essersi offerta volontaria per il test del Dylar, un farmaco sperimentale che dovrebbe inibire la paura della morte. Per via degli effetti collaterali, la sperimentazione su umani è vietata, ma Babette è terrorizzata dalla paura di morire e stipula un accordo privato con il responsabile del progetto. Per convincerlo a portare avanti il test, offre qualcosa di più della sua adesione, in una stanza d'hotel, per diversi mesi, finché il tutto non si interrompe perché il farmaco non ha effetto. Ora Jack vorrebbe provare il Dylar, vista la diagnosi che gli è stata fatta, ma le pillole rimanenti sono state distrutte e Babette non vuole rivelare il nome del contatto, che tuttavia Jack recupera fortuitamente. Stretto tra la gelosia e la paura, lo incontra per ucciderlo, gli spara, ma alla fine lo salverà portandolo in un ospedale d'emergenza gestito da suore.

Nella seconda e terza parte appare evidente come la morte e la paura di morire siano il principale tema del libro: la morte fa capolino già dalle prime pagine, quando i ricchi borghesi portano i figli all'università e Babette si chiede cosa sia la morte a quel livello di reddito, compare costantemente nel testo, ed i due discutono su chi morirà prima (cap. 20). Come gli rivela Murray (cap. 37), Jack ha proiettato sulla figura di Hitler la sua paura di morire, perché (p. 287)
helpless and fearful people are drawn to magical figures, mythic figures, epic men who intimidate and darkly loom [...] The overwhelming horror would leave no room for your own death
ma alla fine senza successo: la realtà (o almeno, la realtà che viene raccontata dalla tecnologia medica) sbriciola queste credenze assieme all'immagine che il professore si era costruito di sé, con la toga, gli occhiali scuri e le iniziali finte del nome (emblematico di ciò è il discorso con il tecnico al campo profughi, dove Jack vorrebbe indossare il suo abito accademico). Non potendo/volendo votarsi alla tecnologia o alla fede né possedendo la spavalderia di Orest (che entra in una gabbia di serpenti per sfida), si affida ad una suggestione del solito Murray secondo cui la violenza è una forma di rinascita (p. 290) e uccidere è un modo per controllare la propria morte, evocando una "sostituzione" di ruolo tra assassino e vittima. Ma anche questo piano fallisce (anzi, si ribalta, perché proprio la ferita lo spinge a salvare Mink), e nemmeno la suora del convento, che professa di non credere nell'ultraterreno ma di recitare una parte affinché il mondo possa consolarsi all'idea della fede, fornisce una soluzione. Non resta che tornare alla vita di prima e accettarla.

Tra i molti altri temi che scorrono tra le pagine val la pena di citare il ruolo della tecnologia: da un lato, è una minaccia oscura che raccoglie dati e sa tutto su di noi (la prima edizione del libro è del 1985, molto in anticipo sulle recenti preoccupazioni al riguardo), senza però fornire informazioni utili, come il responso nel campo profughi o gli esiti degli esami e dei colloqui con i medici, iniziati alla tecnologia e sempre assurdamente ambigui. Ma essa ha anche una funzione rassicurante di "integrazione", come quando Jack si reca ad uno sportello Bancomat e inserisce la sua carta ed i codici, ricevendo le informazioni desiderate (p. 46):
Waves of relief and gratitude flowed over me. The system had blessed my life. I felt its support and approval. The system hardware, the mainframe sitting in a locked room in some distant city. What a pleasing interaction. I seemed that something of deep personal value, but not money, not that at all, had been authenticated and confirmed. [...] The system was invisible, which made it all the more impressive, all the more disquieting to deal with. But we were in accord, at least for now. The networks, the circuits, the streams, the harmonies.
Altri esempi ovvi sono la nube tossica e la modifica del paesaggio e dei colori, contrapposta allo stesso Dylar, technology with a human face (p. 211), che, sebbene non funzionante oggi, potrebbe esserlo un domani (p. 308):
Dylar failed, reluctantly. But it will definitely come. Maybe now, maybe never.
Bisogna poi notare come DeLillo già si era accorto che la pervasività della tecnologia non avrebbe scalfito la fede nell'irrazionale, perché proprio la complessità della tecnologia la rende assimilabile al magico (si veda l'argomentazione di Heinrich alle pp. 146-7). E quindi, ecco i predicatori, le "notizie" sulle prove di vita ultraterrena, di reincarnazione, UFO, gli oroscopi, le argomentazioni formalmente solide, ma in realtà risibili dello stesso Heinrich che si rifiuta di decidere se stia o meno piovendo (pp. 22-24) e che sciorina teorie complottiste (cap. 23) che oggigiorno gli varrebbero un incarico politico. Heinrich for President!

Un ultimo cenno è anche dovuto all'adattamento cinematografico di Noah Baumbach del 2022, non del tutto riuscito. Se dal punto di vista visuale il film rende molto bene la frenesia dello shopping e la catastrofe della nube, mi pare che manchi un collegamento convincente, per chi non ha letto il libro, tra gli eventi narrati ed il tema fondamentale della paura della morte, che pur viene ribadito numerose volte.


P.S. un gruppo musicale ha mutuato il nome da quello (fittizio) della sostanza tossica, Nyodene D.

lunedì 23 dicembre 2024

Treni 2218 e 2275 (Bergamo-Milano Lambrate): ritardi novembre-dicembre 2024 e riassunto annuale

Fig. 1: distribuzioni cumulative dei ritardi su scala lognormale per il
treno 2218 (8:02) nei trimestri novembre-dicembre dal 2015 al 2024.
Fig. 2: Ritardi nei bimestri in esame per il treno 2218 (8:02).
Fig. 3: come in Fig. 1, ma per il treno 2275 (17:41).
Fig. 4: come in Fig. 2, ma per il treno 2275 (17:41).
Tempo di bilanci di fine anno, dopo ben un decennio di raccolta dati! Ma come al solito, iniziamo con un paio di articoli pubblicati qua e là. Il primo è una lettera di un mio omonimo a MerateOnline e parla della linea Milano-Lecco, ma si attaglia perfettamente anche alla "nostra". L'autore ricorda alcuni concetti che sembrano ovvi, e lo sono, e proprio per questo sono sistematicamente ignorati, ovvero che utilizzare la puntualità media sui treni è "patetico" (io avrei usato l'ormai celeberrima definizione fantozziana per il famoso film sovietico) perché i convogli pieni di pendolari e quelli quasi deserti intorno a mezzogiorno o alla sera non devono avere lo stesso peso, e che la politica locale evita accuratamente di lamentarsi del servizio scadente per via dell'appartenenza di partito. Il secondo articolo riporta dati di Regione Lombardia secondo i quali le soppressioni dei treni sarebbero responsabilità di Trenord per ben il 77%, a fronte del 21% imputabile ai gestori delle infrastrutture (leggi Rfi). L'articolo non può fare a meno di notare come le intemerate di Fontana & Co. contro Rfi appaiano assolutamente fuori luogo, e come il problema principale sia - guarda un po'! - proprio Trenord!

Bimestre novembre-dicembre 2024
Veniamo quindi all'ultimo bimestre di quest'anno, iniziando dal treno 2218. La distribuzione dei ritardi è mostrata in Fig. 1: puntualità al 3% e al 23% entro 5' di ritardo, con massimo ritardo di ben 101' il 15/11, per guasto alla linea e presenza di idioti sui binari. Ad onor del vero, la distribuzione si "raddrizza" un poco rispetto agli ultimi anni, a parte gli evidenti tre casi disastrosi (due per problemi infrastrutturali, uno per guasto). La rappresentazione sintetica dei ritardi in Fig. 2 evidenzia ancora una diminuzione dei ritardi al 50 e 90% (quest'ultimo un po' fortuito, visto che siamo proprio sullo "spigolo" della distribuzione in Fig. 1), ma un lieve aumento del dato medio, probabilmente "colpa" del dato singolo di 101' già citato.

Se il dato del 2218 ha alcuni aspetti positivi, lo stesso non si può dire per il 2275: puntualità all'11% e al 43% entro 5'; numeri bassini, ma ormai da considerare quasi decenti, vista la situazione generale. Massimo ritardo di 44' il 26/11, ancora per presenza di deficienti sui binari. Il treno è stato fermato a Verdello, e i poveracci a bordo sono arrivati a Bergamo con il successivo 2237. Questa pratica ricorrente ad assurda si è verificata ben cinque volte nel bimestre, per non parlare del 4/11, quando il 2275 (in ritardo per l'attesa del treno dal deposito!!!) è stato fermato a Verdello dopo che il 2237 era passato; immagino che i pendolari siano ancora lì...
La Fig. 4 indica che la lieve riduzione della coda al 90% del 2023 era un fuoco di paglia: il 10% dei treni continua ad arrivare con ritardi assurdi di circa mezz'ora (di fatto, si giunge a Bergamo col 2237), mentre la media è lievcemente aumentata rispetto al 2023, ed è di circa 10' (su un tempo di pecorrenza di 45').

Chiudiamo questa parte con il capitolo sulle cause dei ritardi, come riportate dall'app di Trenord. Sei sono relative a guasti o problemi ai treni, tre a guasti all'infrastruttura. Ci sono poi sette segnalazioni legate a problemi di altri treni (che sono in gran parte di Trenord), per finire con lo sciopero del 5/11 e gente sui binari il 26/11. Ci sono poi due giorni con ritardi superiori ai 10' in cui tutto tace.

Fig. 5: Come Fig. 1, ma per tutto il 2024 (no agosto).
Fig. 6: Come Fig. 3, ma per tutto il 2024 (no agosto).
Ore di ritardo annue.
Riassunto annuale
Detto riassunto potrebbe... riassumersi in poche parole: nessuna variazione rispetto agli ultimi due anni! Le curve per il 2024 sono infatti pressoché sovrapposte a quelle del 2022 e 2023, e non è certo una buona notizia! Vediamo i dati di dettaglio: per il 2218, la puntualità è al 2% e al 38% entro 5'; massimo ritardo di 101', proprio in questo bimestre: nuovo record assoluto che polverizza i 93' del 2022; evviva!
Da un punto di vista puramente statistico, si può notare come la distribuzione abbia uno "spigolo" intorno ai 15' di ritardo, oltre i quali la dispersione aumenta considerevolmente. Immagino (ma posso sbagliare...) che in questi casi il treno abbia perso del tutto il suo slot e debba rompere le scatole agli altri convogli in circolazione... sono le famose "esigenze del regolatore", che deve arrabattarsi alla meno peggio.

Conclusioni simili si possono trarre per il 2275: puntualità all'11% e al 49% entro 5', massimo ritardo di "soli" 58' il 4/3. Anche in questo caso i dati sono sovrapposti a quelli del biennio precedente, e anche qui si vede uno spigolino verso i 30', che corrisponde probabilmente ai casi in cui si è arrivati a Bergamo con il 2237.

L'ultima figura illustra le ore totali di ritardo accumulate durante gli undici mesi di rilevazione. Come si vede, i ritardi sono enormi e non accennano minimamente a diminuire. Del resto, dopo che si sono alzati scandalosamente i limiti entro cui Trenord eroga un rimborso, perché preoccuparsi dei ritardi? È un problema dei pendolari, non di Trenord!
Auguri a tutti per un migliore 2025!


Nota: i dati sono raccolti personalmente o da app Trenord. Per correttezza, bisogna specificare che i ritardi sopportati dai pendolari su questi due treni non sono indicativi dei ritardi complessivi, che sta ad altri raccogliere e rendere pubblici. Idem per i rimpalli di responsabilità tra Trenord, Rfi, e quant'altri. Qui si cita spesso Trenord in quanto è ad essa che i poveri pendolari versano biglietti ed abbonamenti, e ai quali dovrebbe rispondere del servizio.

venerdì 20 dicembre 2024

Garda DOC Marzemino Rovadus 2021 Averoldi

Non me ne vogliano gli abitanti del Veneto, dove pare ci sia la maggiore superficie vitata a Marzemino, ma per me questo vitigno è sempre stato sinonimo di Trentino e dei dintorni di Isera (da assaggiare quello di Letrari). Ho quindi accolto con una certa curiosità (oltre al piacere, ovviamente) il regalo di questa bottiglia, un Marzemino lombardo della zona del Garda.
La cantina Averoldi è attiva da generazioni nella zona delle Valtenesi, e produce vini tipici del territorio con raccolta manuale delle uve e metodi tradizionali. La produzione di vini fermi (ma ci sono anche brut, un passito e una grappa) consta di tre bianchi e un rosato, cui si affiancano due rossi a base Groppello (da provare il Notorius) e questo Marzemino... tralasciando come al solito due rossi che passano in barrique.

Il Rovadus (nome di un antenato della famiglia Averoldi) è in realtà un assemblaggio di Marzemino (90%) e Sangiovese (10%), affinato in acciaio. Il colore è rosso con tendenze violacee, tipico del vitigno, mentre al naso si percepiscono note floreali e di frutti rossi. Molto piacevole e vivace all'assaggio, con un po' di mineralità e un finale amarognolo che coprono i 13° del vino ed invogliano a versarne ancora. Da abbinare (anche) a piatti di pesce!


Gradazione: 13°
Prezzo: N/A

domenica 8 dicembre 2024

Locanda del Menarost

Tagliolini con finferli.
Diaframma di manzo.
Tortino di ricotta.
Via Giuseppe Compagnoni 24
Milano

Sarà anche vero che "i milanesi non esistono più", ma per fortuna sopravvive ancora la loro cucina! Non lontano da piazzale Susa si trova la Locanda del Menarost (ovvero girarrosto, anche se pare che il termine dialettale sia anche usato per indicare le persone che continuano a "menarla", appunto), aperta nel 2012; un piccolo locale piuttosto frequentato (obbligatorio prenotare, come peraltro ovunque a Milano) e arredato in maniera piacevolmente retrò, con anticaglie del secolo scorso che riempiono le pareti, ma che in cucina non fa mai mancare i piatti principali della tradizione meneghina, accanto ad altre proposte lombarde.
Il menù inizia con l'elenco delle aziende (lombarde o del piacentino) da cui la locanda reperisce i prodotti, per passare poi alla lista vera e propria, dove saltiamo gli antipasti (salumi ed i classici mondeghili) e ci concentriamo sui primi: risotto alla zucca o ai porcini, tortelli di zucca, tagliatelle allo stracotto, per finire con i tagliolini con finferli freschi e guanciale su crema di pinoli, che ordino senza troppa esitazione. Porzione più che onesta per un piatto semplice ma gustoso (i colori delle fotografie sono falsati dalla luce artificiale).

Alla voce I secondi della Locanda, il menù si butta sulla carne (ma c'è un'opzione vegetariana): stinco di maiale, rognone di vitello, tartare di manzo e un poco noto (per me) diaframma di manzo con cavolo nero, uvetta e pinoli. Considerato un taglio povero, il diaframma è in realtà molto ricco di ferro, con un sapore intenso e un po' selvatico, anche se non ha la delicatezza dei tagli più comuni. Anche questa porzione è decisamente generosa, ed è un'ottima scelta se non siete familiari con questo taglio e volete "sperimentare".
Da citare poi la presenza nel menù dei piatti della tradizione, ovvero risotto allo zafferano, cotoletta alla milanese e ossobuco con risotto.

La lista dei dolci è piuttosto tradizionale, con i classici tiramisù, torta di mele, pere cotte. L'unica voce particolare che vado ad assaggiare è un tortino di ricotta di pecora con cioccolato e prugne caramellate, piacevolmente saporito.

La lista dei vini è piuttosto ampia, con una predilezione per le etichette lombarde. I miei gusti mi portano verso la Valtellina, dove assaggiamo un Alpi Retiche di una piccolissima azienda dal nome accattivante, Pizzo Coca. Uve nebbiolo (vabbè, chiavennasca) al 100%, 13° affinati in acciaio, è un ottimo accompagnamento per la cena.

Il conto: 120 € per:
2 primi
2 secondi
2 dessert
1 caffè
1 bottiglia di acqua
1 bottiglia di vino (24 €)
2 bicchieri di vino da dessert (15 €)