giovedì 21 gennaio 2021

Bardolino Chiaretto DOC 2019 Cavalchina

In questo periodo si alternano enoiche delusioni ad altrettante, per fortuna, meritevoli scoperte. E così, dopo un Sagrantino davvero pessimo, traboccante di legno come non mai, e un rosato biologico pugliese non male, ma poco emozionante, mi dirigo nella zona sud del lago di Garda. Il vino locale più famoso è probabilmente il Lugana (quello di Cà dei Frati non ha bisogno di presentazioni), ma un'altra DOC importante è quella del Bardolino, che copre la zona a sud-est del bacino. Qui ormai da un bel po' di tempo la parte del leone la gioca proprio la declinazione in rosato, tanto che le due strade si sono divise con la nascita della nuova DOC Chiaretto di Bardolino.
Tra le numerose aziende vinicole della zona, Cavalchina vanta una storia lunga un secolo e più, e dal loro sito si apprende che fu la prima a chiamare Custoza (ora una DOC) il bianco della zona. Una decina i vini prodotti, con un solo rosato, frutto di uve Corvina (55-60%), Rondinella (35%) e Molinara (5-10%). Vendemmia precoce, breve macerazione e fermentazione, seguita da alcuni mesi di affinamento in acciaio.
Il colore è molto intrigante, un rosa scarico tipo "buccia di cipolla", come dicono gli esperti (tende al giallo nella fotografia per effetto della luce artificiale), quasi carnoso. Profumi non troppo intensi ma delicati, floreali e con qualche nota d'arancio.
Al gusto è secco, fresco e molto gradevole e delicato. Quel giusto di acidità e una persistenza diciamo adeguata completano l'assaggio. E, particolare da non dimenticare, anche questo vino si colloca nella categoria dell'ottimo rapporto qualità/prezzo!

Gradazione: 12,5°
Prezzo: 7€

domenica 17 gennaio 2021

Via le ma' dal cul + D'Artagnan

Sul 1° tiro (ripetizione del 2011).
Anna sul 2° tiro.
Sul 3° tiro.
Tracciato di Via le mà dal cul.
Teo sul 3° tiro di D'Artagnan (rip. del 2011).
Tracciato della via D'Artagnan.
Corno Pagano e Placca moschettieri (Pilastri di Rogno)
Parete E

Accesso (via le ma' dal cul): si prende il sentiero appena a sinistra del cimitero di Rogno, che in breve conduce al settore Piramide di Cheope. Si prosegue lungo il sentiero principale che sale verso destra, continuando dritti ad un paio di bivi e ignorando le deviazioni a destra e a sinistra, e si giunge ad un altro bivio con indicazioni. Si prosegue verso destra, si passa nei pressi del Pilastro dei Pitoti (indicazione) e si continua (indicazione Pagano) per breve discesa fino ad una parete. La via è la prima che si incontra (scritta alla base).
Relazione: via storica di Rogno, risalente al 1981, ripetuta svariate volte nel corso di anni (e - ahimè - decenni). Certo, diciamo che non è proprio la via più indicata se siete completamente fermi dopo mesi di lockdown, ma merita decisamente la salita. Chiodatura in stile Rogno, mai generosa, e su vecchi spit che - evidentemente - sono scampati ai tentativi di ammodernamento. Ma va bene così. Inutili i friend, a meno che non vogliate usarne uno per i primi metri del primo tiro.
1° tiro: salire per una decina di metri su facili rocce (non protette) fino ad una cengia dove inizia una placca: la parte iniziale è più verticale ma con maggiori appigli, mentre il tratto finale è di aderenza. Al termine della placca conviene superare la sosta e salire su un terrazzo erboso, sostando poi su pianta davanti alla parete. 30 m, 5c; cinque spit, una sosta con due spit ed anello di calata. Sosta da attrezzare su pianta.
2° tiro: ignorare i fix della linea di sinistra e continuare a seguire i vetusti spit che segnano il percorso: si sale quindi puntando verso destra fino allo spigolo, che si risale giungendo sotto un saltino roccioso. 30 m, 4c, quattro spit. Sosta su due spit con anello.
3° tiro: superare il salto roccioso e proseguire per placca verso sinistra. Alla fine del traverso, non salire dritti ad un fix (variante di uscita di 6a+), ma piegare verso sinistra a doppiare lo spigolo; la sosta è appena dopo. 25 m, 5a, quattro spit. Sosta su due fix  con catena ed anello di calata.
4° tiro: salire il diedro fino alla sommità del pilastro. 20 m, 4c, tre spit.
Discesa e accesso alla via D'Artagnan: seguire la traccia verso destra che porta sull'adiacente struttura. Qui si trovano due scalette metalliche che depositano ad un colletto. A sinistra c'è il sentiero di discesa, di fronte c'è la Placca moschettieri con le vie D'Artagnan e Aramis (e gli altri?).
Se invece voleste giungere direttamente all'attacco di questa via, bisogna seguire l'itinerario precedente fino alla parete del Pilastro dei Pitoti, raggiungerla e proseguire per il sentiero verso destra, che porta all'attacco. D'Artagnan è la via più a sinistra delle due.
Relazione (D'Artagnan): via breve e tranquilla, ma su roccia un po' muschiosa. L'adiacente Aramis (nostra meta iniziale) ha il secondo tiro completamente invaso dalla vegetazione e non percorribile.
1° tiro: si può salire lungo lo spigolo (6b) oppure più prosaicamente per placca alla sua destra fino ad una cengia dove si sosta. 25 m, 4c.
2° tiro: dritti per placca fino ad un terrazzo erboso. 30 m, 5a.
3° tiro: ancora dritti (qualche rovo) per piegare verso destra e raggiungere la sosta finale. 25 m, 5a.
Discesa: con due calate in corda doppia e poi per sentiero.

Nota: scendendo, prima di giungere al Pilastro dei Pitoti, c'è una piccola struttura su cui sono comparsi due monotiri ben protetti a fittoni resinati (alla partenza di quello di sinistra sono ben evidenti due vecchi chiodi) che permettono di concludere la giornata. Difficoltà intorno al 5b.
Via di sinistra: salire per il vago diedro, rimontare la placca e proseguire lungo lo spigolo. 25 m, cinque fittoni, due chiodi.
Via di destra: salire la placca al centro della struttura (attenzione ai rovi nella parte alta) e uscire per breve muretto fessurato. 25 m, quattro fittoni.
Discesa: in doppia su pianta con cordoni (qualcuno dovrebbe lasciare un maglia-rapida e qualcun altro dovrebbe non fregarselo...) oppure per sentiero (non verificato), salendo tra la vegetazione fino alla placca di Profondo rosso e tenendo la destra, giungendo al colletto precedente.

Nota 2: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

lunedì 11 gennaio 2021

Vallèe D'Aoste DOC Pinot Noir 2011 Grosjean

Reduce da un paio di delusioni enologiche intorno a Capodanno – un rosato di Pratello e un Barolo 2005 di Giovanni Rosso rovinato da un tappo sciagurato – mi rifaccio (parzialmente) rifugiandomi in Val d'Aosta. Grosjean è un'azienda che fa viticoltura "di montagna", attiva da tre generazioni e che da tempo ha attuato una politica di riduzione di pesticidi in vigna, giungendo ad ottenere la certificazione biologica nel 2011. Non tutta la produzione gode però di questo privilegio: Fumin, Torrette e Pinot nero, per citare alcuni vitigni della Vallée, sono disponibili in entrambe le sfumature.
È proprio il Pinot nero, il mio vino preferito dopo l'irraggiungibile Barolo, che scelgo per il primo approccio a questa cantina. Ma qui nasce subito un problema: il Pinot noir bio, ovvero il vigne Tzeriat, affina per ben 18 mesi in barrique, cosa che al mio gusto equivale a rovinare il tutto. Non resta quindi che rivolgersi senza indugio al vino senza certificazione (ma la cui scheda parla di tecniche consentite esclusivamente in agricoltura biologica), con affinamento in botte. Nove anni per un Pinot nero possono sembrare un po' troppi, ma apro questo 2011 con un ottimismo che sarà ripagato.
Il colore è un bel rubino un po' scarico, con riflessi granati. Al naso salgono subito le note di frutti rossi, fragola su tutto, cui fanno seguito leggere note speziate.
All'assaggio è molto piacevole, anche se forse qualche annetto in meno non avrebbe nuociuto: ancora la materia fruttata, poi qualche sentore vegetale e un finale lievemente amarognolo. Tannini morbidi e buona persistenza accompagnano il tutto. Chi ha detto che in Italia i Pinot noir sono esclusiva dell'Alto Adige?

Gradazione: 13°
Prezzo: 10€

lunedì 4 gennaio 2021

Cerasuolo d'Abruzzo DOC Campirosa 2019 Illuminati

Dopo aver assaggiato (e poi bevuto diverse volte) il Riparosso, e in attesa di provare Ilico e Zanna, torno su un vino "base" della stessa cantina, Dino Illuminati. Una cantina che da cinque generazioni produce vini, ottimo esempio (e per fortuna ce ne sono parecchi altri) di realtà vitivinicola abruzzese. Il Campirosa, così come l'altro rosato della cantina e tutti i rossi (con l'eccezione del Lumen) nasce da uve Montepulciano d'Abruzzo al 100%. Se è notissimo che questo vitigno dona rossi longevi e strutturati, è altrettanto noto che si presta ottimamente a dei rosati, tanto che dal 2010/2011 questi sono confluiti nella DOC a loro dedicata.
Vinificazione breve sulle bucce, circa 15 ore, che donano al vino un bel colore... beh... cerasuolo, un rosa carico, brillante e assai gradevole. Piacevole ed intenso il naso, più fruttato che floreale secondo me.
Al gusto è fresco e con una buona persistenza, di buona beva: un'ottima introduzione al mondo dei rosati; basti pensare che ho "convertito" il compagno di gozzoviglie a questi vini con un Campirosa.
Ultimo particolare, ma tutt'altro che trascurabile: il prezzo veramente onestissimo!

Prezzo di acquisto: 6 €
Gradazione: 13°

venerdì 1 gennaio 2021

Bergamo-Milano Lambrate: ritardi novembre-dicembre 2020 e riassunto annuale (2608/10809)

Fig. 1: Distribuzioni cumulative dei ritardi per il treno 2608 (8:02)
nei bimestri novembre-dicembre degli anni dal 2015 al 2020.
Fig. 2: Andamento mensile dei ritardi per il treno 2608 (8:02).
Fig. 3: Come Fig. 1, ma per il treno 10809 (17:41).
Fig. 4: Come Fig. 2, ma per il treno 10809 (17:41)
Fig. 5: Distribuzioni cumulative dei ritardi per il treno 2608 (8:02)
negli anni dal 2015 al 2020.
Fig. 6: Come Fig. 5, ma per il treno 10809 (17:41).
Fig. 7: Ore di ritardo annuali per i treni 2608 e 10809.
Ora che finalmente ci siamo lasciati alle spalle questo 2020, disastroso da infiniti punti di vista, possiamo iniziare l'anno nuovo dando un'occhiata agli ultimi due mesi di angherie ferroviarie e - allegria! - tirando le somme di tutti e dodici.

Iniziamo quindi con il 2608 nel periodo novembre-dicembre 2020 (curva grigia in Fig. 1). Ricordiamo che questo treno si era comportato abbastanza bene nella prima metà dell'anno, per poi peggiorare un poco: direi che l'andazzo è confermato, e che gli ultimi due mesi fanno abbastanza pena: puntualità pari a 8% e ritardo entro 5' per il 50% dei treni (se ricordo bene dev'essere il 90%!!). Gli ultimi mesi dell'anno sono tradizionalmente un periodo triste dal punto di vista della puntualità, ma colpisce che anche quest'anno, in cui i treni circolavano praticamente vuoti e pure le linee non erano certo sovraccariche viste le svariate soppressioni, non si sia riusciti a combinare niente di buono, anzi: per due giorni a dicembre il ritardo ha superato la mezz'ora, regalandoci un'altra bella prova di puntualità!
Tutto questo si ritrova nella Fig. 2, dove si vedono gli andamenti mensili: notate la risalita di tutti e tre gli indicatori negli ultimi mesi, che escono dalla "fascia gialla" di "puntualità" e continuano a crescere.

Diamo ora un'occhiata al treno del rientro (Fig. 3, curva grigia): qui andiamo meglio; la curva è più a sinistra delle altre, con l'eccezione dello stesso periodo del 2015, che sembrava orrendo allora ed è invece diventato un miraggio. Puntualità al 26% e al 83% se valutata entro 5', quasi entro i valori che sarebbe normale aspettarsi. Valore massimo del ritardo pari a 27', un'enormità!
L'andazzo "storico" dei ritardi di questo treno si vede in Fig. 4: gli ultimi due mesi sono abbastanza in linea, e certamente meglio dei due precedenti.

Siamo quindi giunti al momento del riepilogo annuale, riportato nelle figure 5 e 6. A differenza delle figure 1 e 3, qui le probabilità sono mostrare su scala normale, che meglio permette di evidenziare gli eventi "rari", ma poco conta; il significato non cambia.
Il 2608 va abbastanza bene, per merito della prima parte dell'anno, e si piazza ai livelli del 2015 e 2016 (un poco meglio), senza raggiungere la curva gialla del 2017. Non ci siamo però con la coda della distribuzione, che tende scandalosamente verso destra, superando i 40' (nel 2019 era andata decisamente meglio da questo punto di vista).
La stessa conclusione non si può trarre per il 2608: qui la curva è invece adagiata sull'andazzo degli ultimi anni, peggiorando pure rispetto ad essi (con la solita eccezione del 2018).

Il totale di questi ritardi è indicato nell'ultima figura, che rappresenta le ore totali di ritardo accumulate durante l'anno. In pratica, è la pena da sopportare per i pendolari, ovvero la capacità (ma forse il suo contrario) di far giungere i treni in orario. Una precisazione è necessaria: il 10809 non è circolato per circa un mese e mezzo durante le prime restrizioni, da metà marzo a fine aprile. Quindi i giorni complessivi sono di molto inferiori rispetto agli altri anni, falsando il confronto. Quanto indicato qui è pertanto un ritardo "equivalente sull'anno", ottenuto applicando ai circa 30 giorni di fermo la stessa statistica valida per il resto dell'anno: è quello che avremmo probabilmente ottenuto se il treno fosse circolato anche in quel periodo.
Ciò premesso, le ore totali di ritardo sono aumentate ancora rispetto al 2019, superando le 40! Si tratta del peggior risultato degli ultimi cinque anni (escludiamo come sempre il 2018, viziato dall'incidente di Pioltello)! Il problema è ovviamente il 10809, che supera le 25 ore: a raccontarlo in giro non ci si crede. Se si passasse un decimo del tempo speso in amenità tipo cambiare la numerazione dei treni (che ora sono 2218 e 2271) a farli funzionare, sarebbe tutto una meraviglia. Con questi risultati, sarebbe proprio interessante vedere Trenord vincere un bando competitivo per il servizio ferroviario in un paese civile!

Nota: i dati sono raccolti personalmente o da app Trenord. Per correttezza, bisogna specificare che i ritardi sopportati dai pendolari su questi due treni non sono indicativi dei ritardi complessivi, che sta ad altri raccogliere e rendere pubblici. Idem per i rimpalli di responsabilità tra Trenord, Rfi, e quant'altri. Qui si cita Trenord in quanto è ad essa che i poveri pendolari versano biglietti ed abbonamenti, e ai quali dovrebbe rispondere del servizio.