Sono negli USA per partecipare ad un incontro di selezione dei lavori per un'importante conferenza di settore e qualche giorno fa ci hanno comunicato che il lavoro che abbiamo presentato ad una (altra) conferenza internazionale ha vinto lo Student paper award, un riconoscimento per il miglior lavoro scientifico presentato da un dottorando di ricerca. Ovviamente c'è stata grande soddisfazione, ma scrivo questo non tanto per autocompiacimento, quanto perché è proprio nei momenti in cui sembra che le cose vadano per il meglio che bisogna interrogarsi. Vorrei quindi cogliere l'occasione di questo piccolo "successo" per riproporre una domanda che mi faccio spesso e di cui spesso, di questi tempi, discuto con Andrea, amico e collega: qual è il nostro ruolo? Non in senso astratto, ma il ruolo di docenti universitari di Elettronica oggi, in questo Paese, con le "condizioni al contorno" ben note.
La domanda può sembrare banale, e forse lo è, ma conviene ricapitolare i termini della questione per i "profani": io - e tanti altri colleghi come e meglio di me - conduco un'attività didattica (che in questo momento non ci interessa) e una di ricerca scientifica. Oltre all'aspetto scientifico, la ricerca ha anche una valenza formativa: gli studenti - soprattutto quelli di Dottorato - sono esposti a problemi scientifici rilevanti e contribuiscono ad affrontarli, acquisendo sia un modus operandi che delle competenze specifiche che li rendono poi appetibili dalle aziende di settore.
Il problema è appunto questo: per mantenere un livello scientifico "alto", che ci consenta di competere a livello internazionale, si deve lavorare su argomenti che sono anni-luce avanti a quello che può servire alle famigerate "aziende del territorio" o anche nazionali. Il "mio" (in senso di appartenenza e non di possesso) gruppo di ricerca lavora sulle tecnologie nanoelettroniche di punta per memorie non-volatili, ma queste tecnologie sono oggi sviluppate in USA o nel Far East (Corea, Giappone, Taiwan); in Europa c'è piuttosto poco e in Italia siamo messi male con tendenza al peggioramento. Non è un problema peculiarmente mio: la stessa cosa vale per i colleghi che lavorano sul progetto di circuiti integrati avanzati, per non parlare poi di chi si occupa di argomenti meno connessi con lo sviluppo tecnologico. Il risultato di questa situazione è che le persone più qualificate, quelle che si guadagnano il titolo di Dottore di Ricerca (il famigerato Ph.D.) in Ing. Elettronica, se ne vanno a lavorare all'estero. Per loro è certamente un bene: stipendi e prospettive migliori; per il Paese forse no. Ma l'Università fa pur sempre parte del Paese, e qui scatta la domanda: qual è il nostro ruolo di docenti? Quello di formare persone ad alto livello che poi lasciano l'Italia?
Un'alternativa potrebbe essere lo sbandierato trasferimento tecnologico alle imprese del territorio. Ci sono colleghi che lo fanno e lo fanno bene, ma la mia esperienza è drammaticamente negativa: i problemi su cui si lavora possono essere anche interessanti e non banali, ma non hanno nulla di scientifico e non incrementano la conoscenza (per tacere dei casi in cui dietro questo paravento si vuole solo avere manodopera gratis o sottopagata per lavori di routine). Qual è il mio ruolo? Questo? Devo rinunciare ad un'attività che forma ad alto livello i Dottorati di domani per adagiarli su problemi contingenti le aziendine lombarde?
La domanda può sembrare banale, e forse lo è, ma conviene ricapitolare i termini della questione per i "profani": io - e tanti altri colleghi come e meglio di me - conduco un'attività didattica (che in questo momento non ci interessa) e una di ricerca scientifica. Oltre all'aspetto scientifico, la ricerca ha anche una valenza formativa: gli studenti - soprattutto quelli di Dottorato - sono esposti a problemi scientifici rilevanti e contribuiscono ad affrontarli, acquisendo sia un modus operandi che delle competenze specifiche che li rendono poi appetibili dalle aziende di settore.
Il problema è appunto questo: per mantenere un livello scientifico "alto", che ci consenta di competere a livello internazionale, si deve lavorare su argomenti che sono anni-luce avanti a quello che può servire alle famigerate "aziende del territorio" o anche nazionali. Il "mio" (in senso di appartenenza e non di possesso) gruppo di ricerca lavora sulle tecnologie nanoelettroniche di punta per memorie non-volatili, ma queste tecnologie sono oggi sviluppate in USA o nel Far East (Corea, Giappone, Taiwan); in Europa c'è piuttosto poco e in Italia siamo messi male con tendenza al peggioramento. Non è un problema peculiarmente mio: la stessa cosa vale per i colleghi che lavorano sul progetto di circuiti integrati avanzati, per non parlare poi di chi si occupa di argomenti meno connessi con lo sviluppo tecnologico. Il risultato di questa situazione è che le persone più qualificate, quelle che si guadagnano il titolo di Dottore di Ricerca (il famigerato Ph.D.) in Ing. Elettronica, se ne vanno a lavorare all'estero. Per loro è certamente un bene: stipendi e prospettive migliori; per il Paese forse no. Ma l'Università fa pur sempre parte del Paese, e qui scatta la domanda: qual è il nostro ruolo di docenti? Quello di formare persone ad alto livello che poi lasciano l'Italia?
Un'alternativa potrebbe essere lo sbandierato trasferimento tecnologico alle imprese del territorio. Ci sono colleghi che lo fanno e lo fanno bene, ma la mia esperienza è drammaticamente negativa: i problemi su cui si lavora possono essere anche interessanti e non banali, ma non hanno nulla di scientifico e non incrementano la conoscenza (per tacere dei casi in cui dietro questo paravento si vuole solo avere manodopera gratis o sottopagata per lavori di routine). Qual è il mio ruolo? Questo? Devo rinunciare ad un'attività che forma ad alto livello i Dottorati di domani per adagiarli su problemi contingenti le aziendine lombarde?
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