giovedì 26 luglio 2012

Donna Mathilde

Panorama dal rif. Rosalba

Giancarlo "poco convinto" sul primo tiro

Alla seconda sosta

Sul 3° tiro

Giancarlo sul 3° tiro

Tracciato della via
Piramide Casati - Grignetta
Parete O


Mathilde o Magni? il dilemma su cui medito domenica mattina mentre salgo il sentiero delle foppe in Grignetta non riguarda due graziose fanciulle, ma assai più prosaicamente la via da salire alla piramide Casati. La prima figura da tempo nella - peraltro numerosa - lista dei desiderata; la seconda è un degno ripiego visto il carattere un po' scontroso di Donna Mathilde. Giunti all'attacco, decido quindi di salire su quest'ultima, contando sulla possibilità di "fuggire" sull'altra se le cose non dovessero andare per il verso giusto. Non è stato necessario, anche se la salita mi ha regalato un paio di momenti di tensione, colle braccia che non ne volevano sapere di continuare e nessuna possibilità di fermarsi per alcuni metri di parete verticale. Alla fine, grande soddisfazione per aver finito la via (sia pure con resting), accompagnata dalle solite lamentele sulla mancanza di allenamento e sul mio scarso livello, lamentele che Giancarlo si deve sorbire ormai quasi ogni week-end; ora all'appello manca solo la Magni.
Accesso: salire al Rif. Rosalba dal sentiero delle foppe (n.9), e da qui proseguire per il sentiero n.10 fino al colle Garibaldi, dove la vista si apre sul gruppo Casati-Vitali. Non prendere il sentiero che scende a destra, ma proseguire fino un secondo vago colletto; poco prima dei torrioni davanti a voi si stacca una traccia sulla destra in piano. Seguirla (corde fisse) fino al canale che si scende con cautela. Costeggiare la torre Vitali (sulla sinistra) fino a giungere sotto la parete O della Casati. Si notano i fittoni resinati di tre vie: a sinistra la frequentata fessura Gasparotto, a destra la Magni, al centro lei, Donna Mathilde.
Relazione: via su roccia ottima (di un blocco pericolante ci siamo sbarazzati noi), prevalentemente su fessure e muri verticali che richiedono una certa energia. Arrampicata di grande soddisfazione, ma con protezioni non molto vicine e poche possibilità di integrare.
1° tiro: salire lievemente a sinistra, poi in verticale seguendo una fessura fino al secondo fittone; da qui traversare lievemente a destra e continuare dritti fino alla sosta; 25m, V, forse passo di V+, 3 fittoni. Sosta su due fittoni e catena con anello di calata.
2° tiro: salire sopra la sosta e continuare lievemente in obliquo verso destra fino ad uscire su una zona appoggiata (cordone). Spostarsi a sinistra, ignorare una sosta a spit + clessidra e fermarsi poco dopo; 35m, VI continuo, 4 fittoni, 1 chiodo, 1 cordone in clessidra. Sosta su due fittoni e catena con anello di calata.
3° tiro: superare un breve muro verticale poco a sinistra della sosta per uscire su un tratto facile che conduce ad una fessura obliqua verso sinistra e al muretto finale; 30m, VI+, VI, 3 fittoni, 2 chiodi, un cordone (assai poco affidabile) in clessidra. Sosta su due fittoni e catena con anello di calata.
Discesa: La via ha un 4° tiro (aggiunto successivamente all'apertura) che conduce in vetta; noi ci siamo calati dalla terza sosta, spostandoci pochi metri a destra alla sosta finale della Magni per calarci in verticale. Con due calate si è alla base della parete.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

mercoledì 18 luglio 2012

Verde smeraldo

Il Bec Raty
Callisto sul 1° tiro
Giancarlo sul 3° tiro
Callisto sul 4° tiro
Sul 6° tiro
Sul 7° tiro
8° tiro
Giancarlo sull'8° tiro
Tracciato
In vetta
Punta placche della scuola - Bec Raty
Parete SO


Ci sono domande fondamentali per il genere umano che resteranno per sempre senza risposta: Perché l'autobus del mattino è in anticipo quando io sono in ritardo e viceversa? Perché piove sempre nei week-end? E difatti l'infausto accadimento si verifica anche questo sabato, modificando una volta di più i piani e spingendoci verso ovest la domenica, a caccia di luoghi asciutti e non troppo caldi. L'occhio cade sul Bec Raty, a 2400m circa in valle di Champorcher, e in particolare sulla via Ex. art.18, con un paio di opzioni alternative tra cui la verde smeraldo. All'arrivo, la domenica, siamo accolti da un nutrito gruppo di arrampicatori, ingolositi dal corto avvicinamento e dall'accessibilità della via; decidiamo seduta stante di spostarci sulla verde smeraldo, più facile, ma meno protetta e quindi meno frequentata (a differenza dei primi, questo assioma è facilmente dimostrabile). Dopo aver litigato con la relazione in nostro possesso per trovare l'attacco, ci ritroviamo su una via anche simpatica e piacevole e in un ambiente molto bello, ma con gradi inferiori a quelli dichiarati nella relazione, e limitati a singoli passaggi; fatto curioso perché altre vie degli stessi apritori erano invece valutate correttamente. La spittatura è sì un po' lontana, ma su gradi intorno al IV, con passaggi di V comunque protetti; via consigliabile solo per corsi o per le prime uscite su roccia. Molto belli gli ultimi due tiri.
Accesso: Raggiungere il paese di Champorcher risalendo la lunga valle; subito dopo una curva ad angolo retto verso destra seguire a destra l'indicazione per la frazione Dondena. La strada sale per circa 5 km per divenire poi sterrata negli ultimi 3, ma percorribile senza troppi problemi da autovetture di ogni ordine e grado (con un po' di attenzione alle buche). Si prosegue in piano fino a che la vista sulla sinistra si apre su prati e impianti sciistici, in corrispondenza del Bec Raty, si supera lo spigolo e una costruzione per una presa d'acqua, fino ad una strada che scende verso sinistra (da non seguire). Circa 500 metri dopo si può parcheggiare in uno dei numerosi slarghi della strada prima di una leggera salita; la parete è alla vostra destra. Identificate la vecchia strada reale che si stacca sulla destra (è poco più di un sentiero; la si nota più avanti, correre appena al di sopra della strada odierna) e seguitela per due tornanti per prendere subito dopo una traccia che risale gli sfasciumi (ometti) fino alla base della parete. Ometto con nome della via; mezz'oretta o meno dall'auto. A guardare la roccia sembra impossibile che vi si possa salire senza rotolare a terra con qualche pezzo di monte, ma è così; fidatevi.
Relazione: bella via su percorso sempre logico e facilmente individuabile. Le difficoltà sono piuttosto limitate e non servono protezioni veloci.
1° tiro: salire il muretto (passo forse di IV), poi facile fino alla sosta; 40 m, II, 1 spit. Sosta su due spit e catena con maglia-rapida.
2° tiro: salire la facile placca puntando ad uno spigolino sulla sinistra, salirlo verso sinistra (passo di V-), poi in verticale per portarsi a sinistra alla sosta su cengia; 45 m; IV-, V-, IV-, 5 spit. Sosta su due spit e catena con maglia-rapida.
3° tiro: salire la facile placca; 30 m, III+, 3 spit. Sosta su due spit e catena con maglia-rapida.
4° tiro: salire i gradoni (attenzione ad un masso instabile) e la divertente fessura; poi ancora lievemente a destra fino a sbucare in cima al pilastro; 45 m, IV, 3 spit. Sosta su due spit e catena con maglia-rapida.
5° tiro: seguire la traccia verso sinistra fino ad un albero dove si sosta; 50 m.
6° tiro: salire la rotta parete; 45 m, IV, 5 spit. Sosta su due spit e catena con maglia-rapida.
7° tiro: salire la placca tenendosi sul lato sinistro e uscire a sinistra quando muore (attenzione ad una lama instabile - passo di V). Risalire la parete su rocce più facili fino alla cima del pilastro; 40 m; V, IV; 4 spit. Sosta su due spit e catena con maglia-rapida.
8° tiro: il più bello. Avvicinarsi alla parete portandosi sul lato sinistro (ignorare la sosta sulla destra, relativa alla via delle placche), salire a sinistra dello strapiombo per poi prendere la placca inclinata verso destra fin sotto l'evidente tetto. Da qui si traversa a destra in bella esposizione, si esce sulla placca sovrastante e la si risale fino alla cima; 50 m; V, IV; 6 spit. Sosta su due spit.
Discesa: noi ci siamo calati in doppia lungo la via. Purtroppo l'ultima sosta è l'unica che non ha catena e maglia-rapida di calata; probabilmente qualche minchione se le è portate via. Io ho lasciato un maillon "per la causa", ma immagino che qualche bontempone lo aggiungerà alla sua collezione. Se non volete continuare ad alimentare questo traffico di materiale, usate una colla per bloccare il maillon, o scendete per il sentiero.
Le calate: 3 lungo gli ultimi 3 tiri, poi si rifà il tratto di collegamento. Da qui con una calata di 60 m e grazie all'allungamento delle corde potete saltare una sosta ed arrivare giusti giusti a quella del 2° tiro. Con altra calata in verticale fuori via si giunge ad una sosta da cui si scendono a piedi gli ultimi metri fino alla cengia di partenza.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

venerdì 13 luglio 2012

Alverà-Pompanin-Menardi

Punta Lastoi

Carlo sul 2° tiro

Sul tiro-chiave

tiro-chiave

In vetta
Punta Lastoi - Lastoi di Formin
Parete S

Tutti gli anni attendo con ansia di poter arrampicare in Dolomiti. L'inizio "canonico" di stagione per me, che tra lezioni ed altro faccio sempre fatica ad "allungare" i fine-settimana, è sempre coinciso con il ponte del 2 giugno; quest'anno, però, il ponte non c'è stato e gli impegni sono aumentati. E così, la "prima" in Dolomiti è arrivata solo sabato scorso, con Carlo "rampegon" ed un paio di amici. La destinazione sono i Lastoi di Formin, ma una volta parcheggiata l'auto scopriamo che la parete desiderata appare discretamente bagnata nella parte alta, dove iniziano le difficoltà. Ripieghiamo allora su questa via, che si rivela un'ottima alternativa.
Accesso: dal tornante prima di passo Giau per prati fino ad immettersi sul sentiero n. 436; si superano un paio di forcellette per poi salire fino a forcella Giau. Da qui verso sinistra su traccia di sentiero, prima per prati e rocce e poi attraverso il ghiaione, cercando di non salire troppo. Ci si avvicina poi alla base della parete, identificando un avancorpo che prosegue con diedri e fessure a centro parete. Un piccolo cordino bianco in clessidra identifica l'attacco della via. Un'ora circa da passo Giau. Prestare attenzione ad eventuali cordate già in via; le numerose cenge fanno cascare un po' di sassi.
Relazione: bella via sulla parete sud della punta Lastoi, iniziata dal trio Alverà-Pompanin-Menardi del 1977, poi terminata da Dalla Palma e Andriolo nel 1986 (cito da "Arrampicare a Cortina e dintorni" di Mauro Bernardi). Basse difficoltà e un unico tiro impegnativo, ma ben chiodato. Gli altri tiri, invece, hanno chiodatura quasi inesistente; portare friend o nut. Roccia ottima e vista bellissima sull'altopiano di Mondeval e sul Pelmo.
1° tiro: risalire l'avancorpo staccato, dapprima su vago diedrino poi verso sinistra. Superare un primo ripiano e continuare fino alla sosta. 35m, IV. Sosta su due chiodi e cordone. La roccia dà una brutta impressione, ma è più affidabile di quanto non sembri.
2° tiro: da qui in poi, roccia ottima (tranne il 9° tiro). Risalire la placca senza percorso obbligato fino ad un terrazzino; sul suo lato destro si trova la sosta. 40m, IV+. Sosta su chiodo e clessidra con cordone. Scarse possibilità di assicurazione.
3° tiro: salire verticalmente puntando ad una fessura con tracce d'erba; salirla fino a giungere ad un terrazzo, che si percorre fino alla base della parete. 30m; IV+, forse passo di V-; 2 chiodi. Sosta su tre chiodi e cordone.
4° tiro: Risalire un gradone sulla destra e seguire una bella serie di fessure. 25m, IV. Sosta su due chiodi e cordone.
5° tiro: a destra della sosta un paio di metri, poi risalire verso sinistra la fessura fino ad una cengia, che si segue a sinistra fino ad un camino-canale da risalire fino ad una cengia. 50m, IV, 2 chiodi. Sosta su 2 chiodi e cordone.
6° tiro: in verticale sopra la sosta fino ad una larga cengia. 25m; IV (passo di V); 1 chiodo. Sosta su chiodo sotto un diedro o, meglio, qualche metro più a destra su clessidra.
7° tiro: risalire lo spuntone a destra della sosta, poi attaccare la parete verso destra, per portarsi infine a sinistra su lame e fessure. 40m, IV. Sosta da attrezzare su spuntone.
8° tiro: si segue la cengia verso destra salendoci in piedi con passo "curioso" e si va a prendere una lama che si risale fino ad una fessura orizzontale, ottima per le mani. Da qui a destra verso un evidente cordone bianco penzolante, poi passo-chiave a raggiungere un altro cordone in clessidra da cui si sale sulla fessura orizzontale. Da qui le difficoltà calano e si sale una fessura verticale fino alla sosta. 25m; VI-, passo di VI+ o A0; 5 chiodi, un friend incastrato, un cordone in clessidra. Sosta su due chiodi.
9° tiro: salire la fessura sovrastante che diventa un diedro giallastro fino ad un masso incastrato con cordone; da qui un poco a destra per salire alla cengia. 40m, IV+. Sosta su due chiodi. Roccia discreta.
10° tiro: spostarsi qualche metro e destra e risalire la parete tenendosi verso sinistra, senza percorso obbligato. 35m, IV. Attrezzare la sosta.
Discesa: dalla sommità si scende lungo l'altopiano dei Lastoi, tenendosi un poco sulla destra e seguendo alcuni ometti. Si giunge così ad un profondo canale, dove si scende per pochi metri ad una sosta per calata. Si eseguono quindi due calate da circa 50 m l'una (se avete una corda singola le calate sono tre e bisogna poi scendere una breve paretina), tenendo la sinistra in fondo (viso a valle). Alla fine delle corde doppie si scende fino alla base della parete e da qui in breve al punto di attacco, ed a ritroso lungo il sentiero di andata.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

lunedì 9 luglio 2012

Alvisopoli

Il libro di Andrea di Robilant
Il canale perimetrale e le barchesse
L'ingresso della villa Mocenigo
La villa
Il palazzo dell'amministrazione.
Un paio d'anni fa, di ritorno a casa dalla stazione ferroviaria, incontrai Amedeo che mi presentò un amico, Andrea di Robilant. I due erano diretti ad una vicina libreria dove di Robilant presentava il suo libro, Lucia nel tempo di Napoleone (Corbaccio, 2009). Acquistai e lessi il libro, che racconta in maniera accattivante la vita di Lucia Memmo, sposa sedicenne, nel 1787, di Alvise Mocenigo, rampollo di una tra le più illustri famiglie veneziane, attraverso la sua corrispondenza. A pagina 65 compare il Molinato, una "antica proprietà paludosa di 1800 ettari" in Friuli che Alvise affitta di nascosto dal padre nella primavera del 1790 per bonificarla ed impiantarvi colture estensive ed allevamenti, in omaggio alle più recenti tecniche, osteggiate dal padre conservatore. La proprietà si raggiungeva in barca attraverso le paludi e al centro sorgeva un paesino con una sessantina di persone poverissime, "di aspetto malato e carnagione giallognola". Ma i progetti sono ambiziosi: far aumentare le rendite per costruire un centro agricolo con alloggi-modello per i contadini, scuole, servizi sanitari. Una vera comunità ideale secondo le teorie illuministiche!
La storia: Alvise vi lavora intensamente e già nel 1796 le cose sono mutate: nuove case, fabbriche, negozi, una farmacia, un'osteria; si approva il progetto per la chiesa di S. Luigi. Poi arriva un periodo tra i più tumultuosi della storia d'Europa: Venezia crolla, spartita tra francesi ed austriaci, e la tenuta cade sotto il dominio di questi ultimi; nel 1803 l'Imperatore accoglie la richiesta di cambiare nome alla tenuta di Molinato, che diviene Alvisopoli. Ancora una guerra, e ancora un cambiamento: si diventa francesi. Tasse e uomini portati via per farne soldati per la campagna di Russia complicano tutto. Nel 1810 si impianta perfino una tipografia; tre anni dopo ritorna l'Austria. Carestie, inondazioni, epidemie falcidiano tutta la zona e riportano la tenuta sull'orlo del collasso. Nel 1815 le cose sembrano migliorare, ma una malattia si porta via, la vigilia di Natale, il fondatore della città, seppellito nella chiesa di S. Luigi. Lucietta prende in mano la situazione, dimostrando una notevole iniziativa, ed in tre anni le condizioni migliorano, ma la tenuta è sempre a rischio di inondazioni e gli anni '20 non sono certo facili. I numerosi progressi tecnici degli anni '30 riportano un po' di serenità, ma poi arrivano i moti liberali, ancora guerra e devastazione, l'insurrezione di Venezia e la famosa bandiera bianca. Nel 1854 se ne va anche Lucietta, che - stranamente - non viene sepolta ad Alvisopoli. La tenuta sarà poi venduta negli anni '30 del '900 e divisa in diverse proprietà; la villa sarà divisa in appartamenti popolari.
Oggi: dopo la lettura del libro, e incuriosito dal progetto di Alvise, non potevo non passare da Alvisopoli nel mio viaggio verso Udine. In realtà, del sogno di Alvise resta ben poco, anche se molto si può intuire: il cortile della villa è chiuso da un cancello e si riesce ad avvicinarsi un poco solamente dal retro, tra panni stesi e qualche bimbo che gioca; la chiesa di S. Luigi, come spesso accade, è chiusa e non ho potuto nemmeno visitare la tomba di Alvise; il parco della villa, ora oasi del WWF, è visitabile solo su prenotazione e non nel giorno in cui ero presente io. Peccato. Resta lo spazio, accentuato dalla solitudine del meriggio, il bar Mocenigo, le case contadine. Resta l'utopia illuminista di organizzare la città, come accadeva anche a San Leucio, ad esempio, che prima o poi visiterò, o come nel '900 si vede - per restare dalle mie parti - nel bellissimo villaggio operaio di Crespi d'Adda o in quel che resta dei villaggi-fabbrica Honegger e Legler. Altri tempi, altre storie. Ma qualcuno scriverà mai, o ha già scritto, una storia delle "città ideali" nei secoli?
Nota: queste fotografie sono state utilizzate nel numero di giugno-luglio 2014 del Bollettino di Italia Nostra dove compare un articolo su Alvisopoli scritto da di Robilant.

domenica 8 luglio 2012

Osteria Al vecchio stallo


Lo scaldaletto appeso all'interno

Le artistiche pareti...

La fantomatica lezione...
Via Viola 7
Udine

Quando Luca mi ha chiamato per chiedermi di tenere una lezione di dottorato all'Università di Udine, il cervello si è diviso in due: mentre una parte meditava sull'argomento richiestomi, l'altra inanellava una serie infinita di "effetti collaterali" positivi: zona di ottimi cibi e vini, ricca di monumenti e musei, a brevissima distanza dai luoghi della Prima Guerra Mondiale che non avevo ancora visitato, e con possibilità di "aprire" (tardivamente) la stagione alpinistica nelle Dolomiti. Potevo quindi rispondere di no? Al rientro da queste giornate friulane ho collezionato materiale per una serie di post che solo la pigrizia mi impedirà di mettere per iscritto... ma andiamo con ordine. Dopo una prima serata in cui ho cenato alla Ciacarade, ma che non mi ha convinto al 100%, giovedì sera raggiungo il Vecchio stallo: aspetto da osteria d'epoca già dall'esterno, gran vociare tra uno dei due padroni e la cameriera, tovaglie a quadri d'antan, modi di fare simpaticamente sbrigativi, e via; alle pareti si vedono quadri e disegni di dubbia qualità artistica che fanno "atmosfera". Il menù è decisamente friulano e di preparazione e fattura "casalinga"; non aspettatevi piatti elaborati o preparazioni ricercate. Nel mio caso, non mi sono potuto esimere dal partire con un antipasto di salumi misti per poi passare a dei buonissimi gnocchi di Sauris, per assaggiare infine una lingua salmistrata, che non mangiavo da un po'. Conclude il tutto il dolce accompagnato da un bicchiere di verduzzo. Peccato che queste cene solitarie mi impediscano di ordinare una bottiglia di vino (non sono ancora giunto al livello di tracannarmene una da solo), obbligandomi a quello sfuso della casa (decente, ma nulla più). Prezzi buoni, ma pagamento solo in contanti. I tempi di attesa sono un po' lunghetti, ma il posto è l'ideale per andarci in compagnia. Peccato per la presenza di un gruppo numeroso di studenti che intonava periodicamente la strofa del "Dottore, dottore,..." che deve aver ormai travalicato ogni confine...
Ah, dimenticavo: la lezione, ovviamente, l'ho fatta! Ho le prove...

domenica 1 luglio 2012

Don't cry for me Valentina

La Cima Cusio dal sentiero di accesso

1° tiro

La sosta del 3° tiro

Sul 4° tiro

Stanchi ma soddisfatti a fine via
Cima Cusio - Mottarone
Parete SO

Di certo quest'anno il baricentro delle mie frequentazioni montane si è spostato lievemente verso ovest, il che significa passare da arrampicare su calcare a granito, gneiss o consimili; tipo di roccia su cui mi sento meno a mio agio. Ieri ci dirigiamo al Mottarone, accorciando la strada rispetto a quanto previsto dall'idea originaria che puntava verso Agaro. Obiettivo: la via Don't cry for me Valentina, che la guida descrive come "divertente e mai banale" con "attrezzatura ottima a fix inox", ma da integrare con friend. A parte che un'attrezzatura "ottima" non richiederebbe integrazione alcuna per definizione, la valutazione RS1 è molto tranquillizzante, e ci avviamo all'attacco della via come i fantaccini che cantavano andando al fronte. In realtà, c'è un unico problema: non è proprio così! La distanza tra le protezioni è di parecchi metri, spesso è possibile integrare con friend (fino al 3BD), ma ci sono passaggi su placca non proteggibili dove guarderete i vostri friend per verificare che siano inseriti ben bene nelle fessure (che peraltro sembrano fatte apposta per accettarli e danno una certa sicurezza). Richiesta una certa familiarità con il VI grado, anche se i punti più pericolosi sono protetti da spit solitari. La via è inoltre discretamente infestata dall'erba, che rovina molti tiri e dà una spiacevole sensazione di discontinuità. In compenso, molti passaggi sono veramente belli!
Accesso: raggiunto il parcheggio del Mottarone, scendere verso la pozza artificiale (pomposamente chiamata lago) e imboccare un sentiero pianeggiante verso destra. Giunti ad un primo colle, seguire il sentiero con indicazione "Gravellona" che oltrepassa un altro colle per proseguire su massi fino al "colle delle guide" (sbiadita indicazione; poco sotto è l'uscita della via); proseguire (bolli blu) oltrepassando un terzo colle scendendo ancora fino a giungere al "colle delle capre". Qui si scende nel canalone (bolli) su ripido sentiero infestato dall'erba alta, aiutandosi con spezzoni di corde fisse fino ad unirsi con un canalone che scende da destra (scritta "tre guglie"). Il sentiero scende ancora (corda fissa) e piega verso sinistra, giungendo all'attacco della "via Carina". Se volete cercare l'attacco originale della "Valentina" dovete scendere ancora nel canale (indicazione "V."). Noi ci abbiamo provato, ma poco dopo i segni sono totalmente svaniti ed abbiamo girovagato per un bel po' infilando apprezzamenti poco eleganti sulle virtù morali di detta fanciulla. Abbiamo quindi deciso di saltare i primi tre tiri (scelta consigliabile), e siamo risaliti all'attacco della Carina. Da qui proseguite su cengia (indicazioni "Via delle guide" e qualche spit); poco prima di un colletto c'è l'attacco della via (scritta alla base). Giunti qui, guardate verso il basso il canalone erboso che risale chi sceglie la via integrale e ringraziate di aver scelto altrimenti!
Relazione: percorso logico e comunque indicato dagli spit, mai troppo vicini.
1° tiro: partenza "cattiva" soprattutto se non si è famigliari con il tipo di roccia. Placca e poi vago spigolino; 5c.
2° tiro: risalire fino ad una pianta con cordone; non fermarsi e proseguire con un secondo salto prima della sosta; 4c.
3° tiro: salire ad attaccare la larga fessura (non fate come me che ho usato il BD n°2 prima; tenetelo e portatevi pure un n°3 - melius abundare quam deficere); allo spit traversare a destra (passo difficile, ma protetto) a prendere una bellissima fessura che va a morire sul più bello - cacciategli un BD n°1 e uscite su placca salendo alla sosta; 6a, passo di 6a+. Giancarlo è invece salito senza la fessura di destra.
4° tiro: salire ancora la placca fino in cima al pilastro; 4b.
5° tiro: verso sinistra sulla cresta, eventualmente in conserva; II+.
6° tiro: salire verso destra; saltare la sosta e continuare fino in cima ad un pilastro; sosta su albero con catena; 4a, tiro lungo.
7° tiro: salire lo strapiombo a sinistra, poi seguire il sistema di placche e fessure; 5c, passo di 6a all'inizio.
8° tiro: facili placche, poi muro con strapiombo finale; 5c. Eventualmente, spostarsi pochi metri a sinistra dove è presente una seconda sosta.
Discesa: Si risale al colle delle guide e da qui si rientra al Mottarone.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.