L'immagine che gli arrampicatori avevano di sé come parte di una cultura alternativa si sta avvicinando all'ideologia della concezione sportiva dominante. Carriera, soldi e prestigio sociale sono ora al centro degli interessi. Il commercio, il mercato e i media determinano sempre più gli avvenimenti. Questo sviluppo ha di nuovo un influsso sulla creatività e sul pensiero sportivo. Molto apparire invece che essere. Ci sono colori di moda da indossare, ci sono zone di moda da visitare e vie di moda da arrampicare. La miglior zona di arrampicata viene descritta da qualche parte e già si forma il corteo di arrampicatori che, tutti in fila, come pecore, vanno a provare le vie.
Dopo anni passati ad evitare accuratamente di leggere libri di alpinisti più o meno infreddoliti sulle grandi pareti, più o meno determinati sulle vie, più o meno sgrammaticati nello scrivere, è curioso che abbia infine ceduto su un libro più vicino all'arrampicata sportiva che all'alpinismo classico. Sarà che ormai anche io passo più tempo in falesia che non appeso ad un
friend, sarà che Gullich è stato sì il pioniere dell'arrampicata che tutti conoscono, ma anche un climber
pensante, che discuteva di etica ed evoluzione dell'arrampicata, di competizioni, di fisiologia dell'allenamento... insomma, alla fine ho accettato il prestito di Teo (altra cosa insolita; i libri preferisco comprarli) e ho dedicato le vacanze a questa (proficua) lettura.
il libro racconta la vita di Gullich dai giorni di scuola, quando quindicenne sale già vie di VI, fino al mortale incidente del 29 agosto 1992. Il filo del racconto è intervallato da scritti di Gullich apparsi sulle riviste dell'epoca, che chiariscono i suoi punti di vista. Ne emerge il ritratto di un uomo che aveva certamente fatto dell'arrampicata la sua scelta di vita, ma che era tutt'altro che un fanatico: niente diete (
Leggendaria era la colazione di Wolfgang a Oberschollenbach, a base di torte con la panna e tiramisù, p. 37), atteggiamento rilassato (
Con un croissant in una mano ed un caffè macchiato nell'altra sedevamo nei deliziosi caffè dell'Europa meridionale godendoci il sole al mattino e guardando la gente passeggiare. "Questo è il bello dell'arrampicata", diceva puntualizzando la sua predilezione, p. 117) e passione per le lunghe pause al bar (
Il suo corso ideale era: colazione dalle 10:00 alle 12:00, studio della via tra le 12:00 e le 14:00, ritorno al caffè e ripetizione della via in serata, p. 121). Ma quando era motivato a raggiungere un obiettivo, la musica cambiava:
alle nove del mattino facevamo 200 trazioni, poi uscivamo ad arrampicare per otto ore, alla sera facevamo altre 200 trazioni (p.125). I risultati si vedono: primo a salire vie di 8b, 8b+, 8c e - naturalmente - la mitica
Action directe, primo 9a della storia. Gullich elabora tecniche di allenamento (tra cui il famoso
pan Gullich), capisce subito che bisogna distaccarsi dalla teoria dei tre punti di appoggio per la progressione e intuisce che l'evoluzione dell'arrampicata passa per il trasferimento dei passi duri di boulder sulle falesie prima, e delle tecniche di arrampicata libera dalla falesia alle grandi pareti poi; tutte cose che oggi sono acquisite, ma che avevano un sapore innovativo qualche decennio fa. E, in coerenza colle proprie idee, non si limita alle falesie (peraltro chiodate in maniera assassina per gli standard di oggi):
Separate reality in free solo,
Eternal flame alle torri di Trango,
Riders on the storm alla torre centrale del Paine (la passione musicale fa capolino qua e là nella vita di Gullich, con almeno il buon Neil Young ad accomunarmi a lui).
Di carattere schivo e un po' timido, ma assai emotivo, evitava l'esposizione pubblica e arrampicava in prevalenza con amici fidati, ricercando un'atmosfera ideale e armonica, il gesto puro dell'arrampicata. Campava con scarni contratti di sponsorizzazione, indifferente al denaro se non nell'ultimo periodo, quando il matrimonio e l'inizio di una certa
stabilizzazione lo misero di fronte ai problemi economici. Amato dal pubblico, fu spesso oggetto di invidia e ostracizzato dai colleghi, come capita ai grandi.
Un altro aspetto interessante del libro è che permette di rivivere la storia dell'arrampicata libera da una prospettiva germanica, non così diffusa da noi. Si rivivono dunque le diatribe tra alpinisti classici e i primi
free climbers, le schiodature delle nuove vie nel Palatinato, le controversie tra i diversi metodi di salita delle vie, l'iniziale rifiuto di provare i passaggi in
top rope, le prime competizioni di arrampicata e la perdita della
verginità iniziale di questo sport, ecc. ecc.
Sono quasi d'obbligo in chiusura un paio di piccoli rilievi al libro: il racconto non scorre sempre fluido, ma è ogni tanto ripetitivo e un po' sconnesso, facendo perdere di vista il flusso degli avvenimenti. Inoltre, l'encomiabile affetto dell'amico e autore per Wolfgang pare assumere talvolta toni un po' troppo enfatici, dipingendolo come sola persona innocente in un ambiente di lupi. Non manca qualche errore di traduzione: la
Nameless Tower (Torre innominata) diventa la
Torre di Nameless come se fosse un nome proprio, i gradi delle vie ballano un pochino tra una pagina e l'altra e
Chasin' the Trane diventa ogni tanto
Chasin' the Train, e va bene che il gioco di parole è proprio quello, ma rispettiamo almeno il supremo
John!