Einaudi, Torino, 1961
- E non lo sapevi, che era orribile? - disse. - Lo sapevi anche tu. Lo sapevi, e hai sotterrato questa consapevolezza. Hai fatto, anche tu, quello che tutti s'aspettavano che tu facessi. Sei andata, con tua madre, dai tappezzieri, dai mobilieri, e nei negozi di biancheria. E intanto, dentro di te, sentivi le grida lunghe della tua anima, ma sempre più lontane, sempre più fioche, sempre più coperte di terra.
Il romanzo è già nel titolo. Una serie di voci che si trovano, si inseguono e si sciolgono nuovamente in un paesino qualunque del Piemonte, nel dopoguerra. Le voci non raccontano molti pensieri; dicono del più e del meno, di pettegolezzi, di faccende quotidiane e - come in ogni buon borgo che si rispetti - finiscono col portare ai proprietari della fabbrica attorno a cui ruota il paese, la famiglia Balotta. Dei membri della famiglia - la vera protagonista del racconto - seguiamo le esistenze: il padre, socialista e imprenditore illuminato, il figlio adottivo che prenderà in mano l'azienda, l'incerto crescere e cercarsi una strada di quelli naturali. Il più giovane dei figli Balotta, Tommasino, chiude il cerchio del racconto grazie alla sua relazione con Elsa, una sorta di "collettrice" delle storie e co-protagonista in tono minore del libro.
Tutte le esistenze tratteggiate sono soffuse di malinconia; nessuna scelta - lavorativa, affettiva - è veramente felice e tutto si "sciupa" nell'abitudine, nella convenzione. Lo spessore umano dei personaggi non emerge, non può emergere: la voce racconta un particolare, un fatto, mai l'intimità. Fa eccezione Tommasino, perché parla direttamente con Elsa e le può confidare il suo soffocamento, la sua insofferenza per il paese, la gente, gli usi, le "vite già vissute" e consumate da altri, la finzione dei gesti, l'impossibilità del loro matrimonio. Banale e un po' melensa mi appare invece la reazione di Elsa di fronte al crollo del matrimonio, il suo ritornello del "ti amo" che non richiede altre spiegazioni, ma arguta è la presa di coscienza dell'impossibilità di un ritorno all'innocenza del prima. È un attimo; lo sprazzo di luce si richiude, anche questa vicenda naufraga nell'infelicità. Le voci ricominciano il loro raccontare senza dire...
Resta infine da segnalare che in libreria ho notato un'edizione ben più recente della mia, con un apparato critico ragguardevole. Mai accontentarsi di una sola edizione...
Tutte le esistenze tratteggiate sono soffuse di malinconia; nessuna scelta - lavorativa, affettiva - è veramente felice e tutto si "sciupa" nell'abitudine, nella convenzione. Lo spessore umano dei personaggi non emerge, non può emergere: la voce racconta un particolare, un fatto, mai l'intimità. Fa eccezione Tommasino, perché parla direttamente con Elsa e le può confidare il suo soffocamento, la sua insofferenza per il paese, la gente, gli usi, le "vite già vissute" e consumate da altri, la finzione dei gesti, l'impossibilità del loro matrimonio. Banale e un po' melensa mi appare invece la reazione di Elsa di fronte al crollo del matrimonio, il suo ritornello del "ti amo" che non richiede altre spiegazioni, ma arguta è la presa di coscienza dell'impossibilità di un ritorno all'innocenza del prima. È un attimo; lo sprazzo di luce si richiude, anche questa vicenda naufraga nell'infelicità. Le voci ricominciano il loro raccontare senza dire...
Resta infine da segnalare che in libreria ho notato un'edizione ben più recente della mia, con un apparato critico ragguardevole. Mai accontentarsi di una sola edizione...
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