Mondadori, Milano, 1932
Era un po' di tempo che non tornavo ad una lettura sulla prima guerra mondiale, e questo libro riposava ormai da troppi mesi sullo scaffale. Angelo Gatti fu a capo dell'ufficio storico del Comando supremo durante la Grande Guerra, e scrisse una serie di libri e diari (che dovrò leggere) molto interessanti, grazie al punto di vista privilegiato dell'autore. Questo libro è forse il suo più famoso, molto citato nella storiografia della Grande Guerra; pure, i capitoli veramente interessanti sono pochini: quello su Caporetto, che costituisce forse la prima lucida analisi delle responsabilità di Badoglio nel disastro, e quello sulla Strafexpedition, anche se un po' troppo rassicurante e "ufficiale". Soporiferi invece i cosiddetti "ritratti psicologici" che ossessionavano anche il Gatti (mediocre) romanziere: su Napoleone, Ludendorff, Vittorio Emanuele II e Diaz le pagine volano via tra iperboli e descrizioni caratteriali che nulla aggiungono alla conoscenza del personaggio (ammesso che uno ne sia interessato; per quel che mi riguarda l'unica cosa rilevante dell'era napoleonica è l'arte dello Stile Impero...). In mezzo stanno gli altri capitoli: un paio su Garibaldi e Cavour (più o meno tornati di moda) e un paio (migliori) sulle relazioni di Francesco Giuseppe e Falkenhayn cogli italiani prima della loro entrata in guerra, fonti di ulteriore scoramento per le utili informazioni che non furono da noi usate per evitare in parte i macelli dei primi mesi di guerra. La prosa e la lettura scorrono comunque fluidamente; bisogna dare atto al Gatti di avere proprietà di linguaggio e di scrittura, doti non comuni tra i generali italiani del tempo.
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