venerdì 25 luglio 2025

Dibona

Teo alla partenza del 2° tiro.
Ancora lui sul 4° tiro.
Sul 5° tiro.
Sul 7° tiro.
Tracciato della via (la foto della parete è
presa da Google Earth).

Torre Innerkofler (Gruppo del Sassolungo)
Parete SE

Accesso: parcheggiare a Passo Sella e scendere verso la val Gardena (qualche sporadico parcheggio), tenendo una scorciatoia sulla sinistra che conduce verso il rif. Valentini (possibilità di parcheggio a pagamento). Continuare lungo la strada sterrata (sbarra), puntando alla stazione di arrivo della seggiovia. Per via di uno sterrato a destra e una traccia si raggiunge l'evidente crinale, che si segue verso sinistra, superando la Punta Grohmann dove sale la via Dimai e giungendo in vista della parete E della Torre Innerkofler, alla cui base si nota un evidente avancorpo grigiastro. Salire il canale tra l'avancorpo e la Torre vera e propria, superando diversi salti rocciosi e qualche residuo nevoso, fino ad identificare due chiodi con cordino rosso a poca distanza l'uno dall'altro. Un'ora e mezza circa.

Relazione: via che supera la parete della Torre con un percorso piacevole e mai difficile, dove spiccano un divertente terzo tiro in traverso in camino e una bella fessura nel settimo, scovato dall'intuito del grande Angelo Dibona con Luigi Rizzi, accompagnati dai due fratelli Mayer, il 6 agosto 1910 (sulla guida CAI-TCI del Sassolungo di Ivo Rabanser del 2001 si dice per errore 1911). La roccia è discreta nei primi due tiri per poi migliorare sensibilmente (ma ovviamente serve sempre un po' d'attenzione), e la chiodatura è abbastanza essenziale: utile qualche friend per integrare i passi più delicati. L'avvicinamento, la salita fino alla vetta e la lunga discesa la rendono comunque una salita remunerativa, da affrontare solo con buone condizioni meteorologiche.

1° tiro: Salire la fessura obliqua verso destra in corrispondenza del chiodo più a monte, uscirne su una rampa e salire ancora verso destra fino a quando è possibile piegare a sinistra facilmente. Puntare ad un muro giallo, alla cui base di trova la sosta. 45 m; IV, III; una sosta intermedia (due chiodi con cordino e maglia-rapida) vicino ad un cordino in clessidra (un po' fuori via; allungare la protezione). Sosta su due chiodi (uno a pressione) con cordino e maglia-rapida.
2° tiro: Superare la lama appena a sinistra della sosta e salire per placca fino alla sosta. 20 m, IV. Sosta su due chiodi.
3° tiro: Salire appena a sinistra della sosta, traversare a destra per una lama ed entrare in un camino. Salire brevemente e atttraversarlo uscendo in corrispondenza di una terrazza. Alzarsi per pochi metri fino a identificare la sosta sulla roccia giallastra a sinistra. 30 m; IV, IV-, III, II; due chiodi, un cordone su masso incastrato. Sosta su due chiodi.
4° tiro: Traversare a sinistra e continuare in obliquo lungo una rampa fino a giungere alla base di un camino nascosto, dove si trova la sosta. 35 m; IV+, IV, III; due clessidre con cordone. Sosta su due chiodi con cordone.
5° tiro: Salire in verticale ed imboccare il canale/camino sulla sinistra, che si segue fino alla sosta sulla sinistra. 35 m; IV, III+, IV; due  chiodi, un cordone in clessidra. Sosta su chiodo con anello e cordone in clessidra.
6° tiro: Continuare lungo il canale/camino fino a raggiungere una forcella, dove si sosta sulla destra. 55 m; IV-, IV+; due chiodi, due clessidre con cordone.  Sosta su due chiodi con cordone.
7° tiro: Portarsi dal lato opposto della forcella e salire a sinistra dell'evidente fessura per pochi metri, fino a quando è possibile traversare a destra, superando la fessura per salire alla sua destra, sfruttando una seconda fessura meno marcata. In alto si ritorna a sinistra per gli ultimi metri. 25 m; IV (un passo di IV+); un cordone in clessidra, due chiodi. Sosta su cordone su spuntone.
8° tiro: Abbassarsi sul canale di destra e salire tenendo inizialmente la destra e spostandosi poi più a sinistra, fino a raggiungere una forcella dove si sosta. 40 m; III, IV, III, IV; un chiodo con cordone. Sosta su due chiodi.
9° tiro: Salire sopra la sosta e spostarsi a destra per entrare in un canale. Seguirlo fino a quando questo si chiude e sostare sulla sinistra (ometto poco visibile). 50 m; IV-, III. Sosta da attrezzare su spuntone.
10° tiro: Alzarsi sopra la sosta e proseguire in obliquo fino a quando è possibile passare sul versante opposto. Abbassarsi qualche metro e attrezzare una sosta su spuntone. 30 m, III.

Per raggiungere la vetta ed il percorso di discesa bisogna abbassarsi qualche metro fino ad una forcella. Salire sul muretto opposto e ridiscendere dall'altro lato ad una seconda forcella. Proseguire fino a quando è possibile salire a sinistra lungo facili risalti rocciosi. Raggiunto un muro giallo, traversare a sinistra seguendo qualche ometto per circa una decina di metri e salire in verticale fino a raggiungere il filo di cresta che dà su un ampio canale. NON scendere verso il canale, ma affrontare un breve passaggio (III+), per proseguire lungo il filo di cresta fino ad una forcellina. Spostarsi pochi metri a sinistra e guadagnare un'altra forcella, da dove ci si abbassa per entrare nel canale, che si risale seguendo tracce di passaggio e qualche ometto fino alla vetta. 300 m circa di sviluppo.

Discesa: Lunga e non banale se le condizioni meteo non sono buone. Dalla vetta ritornare sui propri passi (sud) fino all'ampia terrazza. Qui piegare a sud-est (destra; direzione Pozza di Fassa) e abbassarsi seguendo i vari ometti di roccia e qualche bollo rosso. In corrispondenza di uno sperone si trova la prima sosta di calata (spuntone + cordino + chiodo). Scendere per 25 metri.
Continuare tendendo verso destra (viso a valle - numerosi ometti) e doppiare uno spigolino, oltre il quale si trova un'evidente sosta di calata (chiodi e clessidra), pochi metri a destra della quale ve n'è una seconda su fittoni resinati). Scendere per 25 metri.
Dal termine della calata bisogna risalire una rampa verso destra (viso a valle) che conduce ad un bollo ben evidente dalla sosta di calata. Noi abbiamo invece seguito la linea di soste di calata ben evidenti (che dovrebbero appartenere a L'apparizione): se seguite questa soluzione, bisogna scendere con tre calate tra i 20 e 30 metri su chiodi e/o clessidre con cordoni, fino a raggiungere una sosta con fix e cordoni con maglia-rapida. Da qui, calarsi per poco meno di 60 metri.
Guadagnata una sosta con cordini, chiodo, e maglia-rapida su spuntone, scendere per 55 metri fino ad arrivare nel canale tra la Torre ed il Dente. Non resta che scendere a sinistra lungo il canale e ritrovare il sentiero di avvicinamento che riporta a passo Sella. Tre ore circa.

Lo schizzo sulla guida [3].

Piccola nota bibliografica: La salita di Dibona e Rizzi è menzionata per la prima volta nel notiziario (Mitteilungen) del DOEAV del 1911 [1], a cura di Max Mayer, ed è ripetuta dal fratello Guido, che partecipò all'ascensione, all'interno di una lunga monografia di quasi 70 pagine sul Sassolungo pubblicata nell'Annuario (Zeitschrift) del DOEAV del 1913 [2]. Se parliamo di guide alpinistiche, la prima menzione che sono riuscito a reperire si trova nel terzo volume della guida delle Dolomiti di Julius Gallhuber (da cui fu estratta la parte relativa al Catinaccio, tradotta e pubblicata meritoriamente dal CAI Bergamo intorno al 1929-30) [3]. Ecco la relazione (traduzione molto approssimativa):

Per la parete sud-est e lo spigolo sud-est. (via senza ghiaccio, ma con un punto estremamente difficile)
Attraverso i prati fino all'inizio della gola che si estende da sud verso la forcella Grohmann
[nota: è la sella tra la punta Grohmann e la Torre Innerkofler], divisa in basso da uno sperone. Nel primo ramo, salire brevemente fino a quando la parete orientale si dissolve leggermente in ghiaioni. Ora attraverso una fessura stretta, che diventa più profonda in alto, con due gradini (aperti verso la forcella) e per una spaccatura verso sud per 30 m, fino ad un alto camino con gradoni. Dopo 150 m di salita fino ad una forcella e 30 m molto difficili, per fessura o per placca alla sua destra, si sale verso nord fino a una cresta. Da qui a destra in un camino simile a una gola e attraverso questo, un po' frammentato, verso lo spigolo SE e per ripidi gradoni fino alla cima, 3 ore.

Per una guida italiana della zona del Sassolungo bisogna aspettare il 1944, con il volume della Guida dei Monti d'Italia di Tanesini [4]. In esso, la Torre è chiamata col toponino italiano Punta Pian de Sass. L'itinerario è definito il migliore della montagna, di III+ con un passaggio di IV+, da farsi in cinque ore.

[1] Mitteilungen des Deutschen und Osterreichichen Alpenvereins n. 18, 1911, p. 215
[2] Zeitschrift des Deutschen und Osterreichichen Alpenvereins 1913, p. 295
[3] Julius Gallhuber, Dolomiten, Vol. 3, Vienna, 1928, p. 159
[4] Arturo Tanesini, Sassolungo Catinaccio Latemar, CAI-TCI, Milano, 1944, pp. 209-210


Avvertenza: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

domenica 6 luglio 2025

L'ora di lezione - per un'erotica dell'insegnamento

di Massimo Recalcati
Einaudi, Torino, 2024 (1a ed. 2014)
Non è in questo che consiste, in ultima istanza, la posta in gioco di tutta la partita dell'insegnamento? La Scuola non dovrebbe avere questo come suo proprio compito? Rendere il sapere un oggetto in grado di muovere il desiderio, un oggetto erotizzato capace di funzionare come causa del desiderio, in grado di spostare, attirare verso, mettere in movimento l'allievo. Non è questa la funzione [...] che dobbiamo riconoscere a un sapere che si rivela erotico, cioè capace di mobilitare il desiderio di sapere?

Tutti noi (o almeno, i più fortunati) abbiamo incontrato un docente che ha cambiato, se non la nostra vita, almeno la nostra relazione con il sapere, che ha dato un senso alle ore passate in classe, stimolando non solo l'apprendimento di concetti, ma la passione stessa per l'apprendimento e lo sviluppo di un metodo critico da seguire nella propria ricerca personale. Forse il più fortunato dei numerosi saggi di Recalcati, L'ora di lezione è un omaggio a questi docenti.

Il libro è diviso in quattro parti, iniziando da un'introduzione alle diverse "scuole" che si sono susseguite nei decenni, da quella frequentata dai "diversamente giovani" di oggi, frutto di alleanza tra insegnanti e genitori, gerarchica ed autoritaria, alla scuola di oggi, post-contestazione, dove l'alleanza si stabilisce invece tra genitori e figli (pp. 25-27):

I genitori si alleano con i figli e lasciano gli insegnanti nella più totale solitudine [...] a supplire alla funzione latitante del genitore, cioè a fare il genitore degli allievi.
La nuova alleanza tra genitori e figli disattiva ogni funzione educativa da parte dei genitori che si sentono più impegnati ad abbattere gli ostacoli che mettono alla prova i loro figli per garantire loro un successo nella vita
[che non ad educarli...]. I figli si confondono con i padri, [...] le ore di lezione sono dedicate a rincorrere un silenzio e un'attenzione che sembrano impossibili da raggiungere, gli esami all'università non possono superare un certo numero di pagine, i voti considerati ingiusti dai figli mobilitano le proteste accorate dei genitori, [...] la parola [...] viene sopraffatta da una cultura delle immagini, che tende a favorire un'acquisizione passiva e senza sforzo. [nota mia: opinabile]

La soluzione, o per meglio dire l'auspicio, di Recalcati è una scuola che faccia da sintesi alle prime due, dove l'autorità dell'insegnante si costruisca "dalla testimonianza della forza della parola" (p. 35) che vivifica il sapere. Il resto del libro è dedicato alla disamina di questo concetto secondo due direttrici strettamente legate: la prima indica il sapere non come semplice trasferimento di nozioni dal maestro all'allievo, ma come fine di un percorso di ricerca individuale che il maestro deve saper indicare (la "mancanza" del sapere che causa il desiderio) (p. 43):

L'apprendimento non avviene per travaso passivo da un bicchiere più pieno a uno più vuoto, perché il modello sul quale si fonda non è mai quello di un vuoto da riempire - le teste vuote degli allievi dentro le quali si deve versare il cemento del sapere - quanto di un vuoto da aprire.

Il secondo concetto è quello del sottotitolo: l'insegnamento non è indottrinamento, non è clonazione di discepoli, non è ascolto passivo di "verità", ma il generatore di una ricerca personale. L'insegnamento deve generare amore per il sapere, e l'insegnante è il testimone di questo desiderio (p. 47):

Un insegnamento degno di questo nome non inquadra, non uniforma, non produce scolari, ma sa animare il desiderio di sapere. Per questa ragione ogni insegnamento che sia tale muove l'amore, è profondamente erotico, è in grado di generare quel trasporto in cui consiste in ultima istanza il fenomeno che in psicanalisi chiamiamo ‭«transfert». Non c'è trasmissione del sapere che possa avvenire senza passare dal transfert. [...] Solo che il maestro è colui che sa dislocare il transfert amoroso mobilitato dall'allievo dalla sua persona all'oggetto del sapere. Egli è amato in quanto ama il sapere [...].

Già da questi termini si intravede poi un'interessante analogia che percorre tutto il volume, ovvero quella tra insegnamento e psicanalisi. Come il maestro, anche l'analista deve dislocare il transfert, deve permettere al soggetto di trovare la propria strada, anche se talvolta l'autore si lascia trascinare dal gergo e dall'influenza di Lacan (p. 68): La pulsione sembra rifiutare l'obbligo della separazione introdotto dalla Legge della castrazione per mantenersi aderente alla Cosa materna e ai suoi surrogati incestuosi, per rimarcare che la scuola separa dalla famiglia, generando sì un trauma, ma per aprire nuovi mondi.

La seconda parte del libro focalizza (non senza qualche ripetizione) questi concetti sulla Scuola, le sue funzioni e motivazioni. Infatti, se l'allievo deve trovare la sua strada, a che serve il maestro, in fin dei conti? Attenzione: non bisogna farsi ingannare dal mito ipermoderno dell'autogenerazione di sé stesso (p. 63), e riconoscere il debito che abbiamo con i nostri maestri, evitando l'uccisione del padre (simbolico), che funziona in psicanalisi ma non nell'insegnamento: il motore del nostro interesse al sapere si origina sempre dal sapere ricevuto da altri. Ed è proprio come forma di resistenza a questo mito (l'Autodidatta de La nausea citato nel libro, ma anche Frank Drummer di Spoon Riveril matto di De André) e all'iperedonismo acefalo che governa la nostra società (p. 68) che si configura la Scuola, che agisce quindi in controtendenza rispetto alle pulsioni che feticizzano "alcool, droga, psicofarmaci [vabbè...], l'immagine del proprio corpo, oggetti estetici e tecnologici" (p. 69). A tutto ciò si oppone un piacere diverso, meno immediato ma più duraturo: lettura, scrittura, la cultura nelle sue diverse forme. Tutto largamente condivisibile, a parte qualche nota retorica e un approccio che evita volutamente di scendere nel concreto, con forse qua e là un tono un po' troppo negativo verso la tecnologia, cui sembra negata qualunque possibilità di integrazione nell'insegnamento, che deve avvenire sempre e solo attraverso la Legge della parola.

Dopo aver toccato la relazione tra insegnamento e vincoli dell'istituzione scolastica, stile del docente ed esperienza (nota a tutti) di "parlare ai muri", così come quella del dono (la trasmissione implica sempre la dimensione del dono; p. 114) e del mistero dell'apprendimento, il libro si chiude con un ricordo personale, dove l'autore ripercorre le sue difficoltà scolastiche e l'incontro salvifico con una professoressa. Ecco, questa è la cifra principale del volumetto: non una disamina di come nascano questi insegnanti "speciali", quasi psicoterapeuti, di come tutto questo si possa/debba inserire in un'ora di lezione, particolarmente nelle assai eterogenee scuole superiori, ma piuttosto un sentito grazie a tutti questi docenti, che faccio mio (grazie Emilio e Armanda in primis) ed estendo per assurdo anche agli "altri", a quelli che stavano in classe con meno voglia di noi studenti, che trasmettevano noia e frustrazione, per avermi spinto a cercare nei libri quello che non potevo/volevo sentire in classe.