venerdì 27 dicembre 2024

White noise

di Don DeLillo
Penguin Books, New York

I shopped for immediate needs and distant contingencies. I shopped for its own sake, looking and touching [...] I began to grow in value and self-regard. I filled myself out, found new aspects of myself, located a person I'd forgotten existed. Brightness settled around me[...] I traded money for goods. The more money I spent, the less important it seemed. I was bigger than these sums. [...] These sums in fact came back to me in the form of existential credit.
L'interesse per questo libro nasce in primis... dal titolo! Il rumore (bianco, ma non solo) è uno degli argomenti fondamentali di ogni corso di Elettronica (ma non solo), e l'uso che ne avrebbe fatto DeLillo mi incuriosiva. Lo acquistai un dicembre di più di una ventina di anni fa, in una libreria di Washington vicina all'hotel dove si teneva la conferenza IEDM e... lo misi da parte dopo aver letto l'arcano Ratner's star. Ci sono libri da prendere alla lontana, da avvicinare con un po' di diffidenza, e poi da leggere con circospezione, cercando di non perdersi nel... rumore di fondo (il gioco di parole è fin troppo ovvio) per seguire una trama, scoprendo che alla fine trama e sottofondo, segnale e rumore, si compenetrano. Ma andiamo con ordine.

Il libro è diviso in tre parti. Nella prima (titolo evocativo Waves and radiation) si racconta la vita quotidiana della famiglia di Jack Gladney, un singolare "collega", chairman of the department of Hitler studies (p. 4), che insegna Advanced Nazism, a course of study designed to cultivate historical perspective, theoretical rigor and mature insight into the continuing mass appeal of fascist tyranny (p. 25; immagino avrebbe un certo successo anche dalle nostre parti...). Jack e famiglia, con i figli adolescenti che vengono da precedenti matrimoni e dimostrano un livello improbabile di maturità, conducono una vita "tipicamente americana", o meglio occidentale, regolata da televisione (siamo nell'era pre-Internet e pre-telefonini), radio, tabloid, e supermercato, dove (p. 19):
Most of all I like the packages themselves. You were right, Jack. This is the last avant-garde. Bold new forms. The power to shock. [...] I'm happy there. I read the TV listings, I read the ads in Ufologist Today. I want to immerse myself in American magic and dread.
Memorabile l'analogia (pp. 37-38) che Murray (un collega di Jack, appassionato di cultura popolare e che ricerca sempre interpretazioni profonde di ogni dettaglio, in bilico tra l'acume ed il ridicolo) pone tra il supermercato e l'interregno tra morte e rinascita nella cultura tibetana, un luogo sempre uguale dove ci si ricarica spiritualmente: Here we won't die, we shop. But the difference is less marked than you think. Nel supermercato si è subissati di rumori, annunci, colori, etichette da leggere (le uniche cose che ormai, secondo Murray, leggono i suoi colleghi all'università), waves and radiation, appunto. Le stesse cose, psychic datasacred formulas, sono emanate dalla TV (pp. 50-51). Tutti i protagonisti sono immersi in questi codici, vero "rumore bianco" che agisce da costante controcanto alle vicende, e tentano a loro modo di decifrarli, da Jack che si interroga sul significato numerologico dell'ora a cui si è svegliato a Babette che legge gli oroscopi, da Denise che consulta i manuali di medicina fino alla polizia che si rivolge ad una sensitiva per ritrovare due dispersi (che saranno poi rinvenuti in un supermercato). La televisione ha anche un ruolo rassicurante, mostrando in continuazione disastri che attirano la nostra attenzione a patto che accadano altrove, reinforzando la nostra condizione di privilegiati (p. 66):
For most people there are only two places in the world. Where they live and the TV set. If a thing happens on television, we have every right to find it fascinating, whatever it is.
Questa condizione comincia a sgretolarsi nella seconda parte, costituita da un solo capitolo, quando il deragliamento di un treno rilascia una nube tossica che si avvicina alla città. Il buon Jack non riesce a crederci e continua a negare che ci possano essere conseguenze (p. 114):
These things happen to poor people who live in exposed areas. Society is set up in such a way that it's the poor and the uneducated who suffer the main impact of natural and man-made disasters. [...] I'm a college professor. Did you ever see a college professor rowing a boat down his own street in one of those TV floods?
Alla fine la famiglia deve evacuare, e durante il viaggio Jack scende dall'auto a fare il pieno di benzina, rimanendo esposto alla nube tossica. Nel campo profughi un anonimo operatore dietro ad un computer lo avvisa che la contaminazione è importante, ma che gli effetti non sono noti: potrebbe morire, forse a breve, forse tra molti anni o decenni. Dopo nove giorni, i Gladney possono rientrare a casa e la vita riprende il solito ritmo.

Siamo alla parte finale e la trama si movimenta. Jack scopre un contenitore di Dylar, una medicina sconosciuta che la moglie Babette assume di nascosto, e la fa analizzare nel laboratorio universitario. Saputo che si tratta di un neurofarmaco, confronta Babette, che confessa di essersi offerta volontaria per il test del Dylar, un farmaco sperimentale che dovrebbe inibire la paura della morte. Per via degli effetti collaterali, la sperimentazione su umani è vietata, ma Babette è terrorizzata dalla paura di morire e stipula un accordo privato con il responsabile del progetto. Per convincerlo a portare avanti il test, offre qualcosa di più della sua adesione, in una stanza d'hotel, per diversi mesi, finché il tutto non si interrompe perché il farmaco non ha effetto. Ora Jack vorrebbe provare il Dylar, vista la diagnosi che gli è stata fatta, ma le pillole rimanenti sono state distrutte e Babette non vuole rivelare il nome del contatto, che tuttavia Jack recupera fortuitamente. Stretto tra la gelosia e la paura, lo incontra per ucciderlo, gli spara, ma alla fine lo salverà portandolo in un ospedale d'emergenza gestito da suore.

Nella seconda e terza parte appare evidente come la morte e la paura di morire siano il principale tema del libro: la morte fa capolino già dalle prime pagine, quando i ricchi borghesi portano i figli all'università e Babette si chiede cosa sia la morte a quel livello di reddito, compare costantemente nel testo, ed i due discutono su chi morirà prima (cap. 20). Come gli rivela Murray (cap. 37), Jack ha proiettato sulla figura di Hitler la sua paura di morire, perché (p. 287)
helpless and fearful people are drawn to magical figures, mythic figures, epic men who intimidate and darkly loom [...] The overwhelming horror would leave no room for your own death
ma alla fine senza successo: la realtà (o almeno, la realtà che viene raccontata dalla tecnologia medica) sbriciola queste credenze assieme all'immagine che il professore si era costruito di sé, con la toga, gli occhiali scuri e le iniziali finte del nome (emblematico di ciò è il discorso con il tecnico al campo profughi, dove Jack vorrebbe indossare il suo abito accademico). Non potendo/volendo votarsi alla tecnologia o alla fede né possedendo la spavalderia di Orest (che entra in una gabbia di serpenti per sfida), si affida ad una suggestione del solito Murray secondo cui la violenza è una forma di rinascita (p. 290) e uccidere è un modo per controllare la propria morte, evocando una "sostituzione" di ruolo tra assassino e vittima. Ma anche questo piano fallisce (anzi, si ribalta, perché proprio la ferita lo spinge a salvare Mink), e nemmeno la suora del convento, che professa di non credere nell'ultraterreno ma di recitare una parte affinché il mondo possa consolarsi all'idea della fede, fornisce una soluzione. Non resta che tornare alla vita di prima e accettarla.

Tra i molti altri temi che scorrono tra le pagine val la pena di citare il ruolo della tecnologia: da un lato, è una minaccia oscura che raccoglie dati e sa tutto su di noi (la prima edizione del libro è del 1985, molto in anticipo sulle recenti preoccupazioni al riguardo), senza però fornire informazioni utili, come il responso nel campo profughi o gli esiti degli esami e dei colloqui con i medici, iniziati alla tecnologia e sempre assurdamente ambigui. Ma essa ha anche una funzione rassicurante di "integrazione", come quando Jack si reca ad uno sportello Bancomat e inserisce la sua carta ed i codici, ricevendo le informazioni desiderate (p. 46):
Waves of relief and gratitude flowed over me. The system had blessed my life. I felt its support and approval. The system hardware, the mainframe sitting in a locked room in some distant city. What a pleasing interaction. I seemed that something of deep personal value, but not money, not that at all, had been authenticated and confirmed. [...] The system was invisible, which made it all the more impressive, all the more disquieting to deal with. But we were in accord, at least for now. The networks, the circuits, the streams, the harmonies.
Altri esempi ovvi sono la nube tossica e la modifica del paesaggio e dei colori, contrapposta allo stesso Dylar, technology with a human face (p. 211), che, sebbene non funzionante oggi, potrebbe esserlo un domani (p. 308):
Dylar failed, reluctantly. But it will definitely come. Maybe now, maybe never.
Bisogna poi notare come DeLillo già si era accorto che la pervasività della tecnologia non avrebbe scalfito la fede nell'irrazionale, perché proprio la complessità della tecnologia la rende assimilabile al magico (si veda l'argomentazione di Heinrich alle pp. 146-7). E quindi, ecco i predicatori, le "notizie" sulle prove di vita ultraterrena, di reincarnazione, UFO, gli oroscopi, le argomentazioni formalmente solide, ma in realtà risibili dello stesso Heinrich che si rifiuta di decidere se stia o meno piovendo (pp. 22-24) e che sciorina teorie complottiste (cap. 23) che oggigiorno gli varrebbero un incarico politico. Heinrich for President!

Un ultimo cenno è anche dovuto all'adattamento cinematografico di Noah Baumbach del 2022, non del tutto riuscito. Se dal punto di vista visuale il film rende molto bene la frenesia dello shopping e la catastrofe della nube, mi pare che manchi un collegamento convincente, per chi non ha letto il libro, tra gli eventi narrati ed il tema fondamentale della paura della morte, che pur viene ribadito numerose volte.


P.S. un gruppo musicale ha mutuato il nome da quello (fittizio) della sostanza tossica, Nyodene D.

lunedì 23 dicembre 2024

Treni 2218 e 2275 (Bergamo-Milano Lambrate): ritardi novembre-dicembre 2024 e riassunto annuale

Fig. 1: distribuzioni cumulative dei ritardi su scala lognormale per il
treno 2218 (8:02) nei trimestri novembre-dicembre dal 2015 al 2024.
Fig. 2: Ritardi nei bimestri in esame per il treno 2218 (8:02).
Fig. 3: come in Fig. 1, ma per il treno 2275 (17:41).
Fig. 4: come in Fig. 2, ma per il treno 2275 (17:41).
Tempo di bilanci di fine anno, dopo ben un decennio di raccolta dati! Ma come al solito, iniziamo con un paio di articoli pubblicati qua e là. Il primo è una lettera di un mio omonimo a MerateOnline e parla della linea Milano-Lecco, ma si attaglia perfettamente anche alla "nostra". L'autore ricorda alcuni concetti che sembrano ovvi, e lo sono, e proprio per questo sono sistematicamente ignorati, ovvero che utilizzare la puntualità media sui treni è "patetico" (io avrei usato l'ormai celeberrima definizione fantozziana per il famoso film sovietico) perché i convogli pieni di pendolari e quelli quasi deserti intorno a mezzogiorno o alla sera non devono avere lo stesso peso, e che la politica locale evita accuratamente di lamentarsi del servizio scadente per via dell'appartenenza di partito. Il secondo articolo riporta dati di Regione Lombardia secondo i quali le soppressioni dei treni sarebbero responsabilità di Trenord per ben il 77%, a fronte del 21% imputabile ai gestori delle infrastrutture (leggi Rfi). L'articolo non può fare a meno di notare come le intemerate di Fontana & Co. contro Rfi appaiano assolutamente fuori luogo, e come il problema principale sia - guarda un po'! - proprio Trenord!

Bimestre novembre-dicembre 2024
Veniamo quindi all'ultimo bimestre di quest'anno, iniziando dal treno 2218. La distribuzione dei ritardi è mostrata in Fig. 1: puntualità al 3% e al 23% entro 5' di ritardo, con massimo ritardo di ben 101' il 15/11, per guasto alla linea e presenza di idioti sui binari. Ad onor del vero, la distribuzione si "raddrizza" un poco rispetto agli ultimi anni, a parte gli evidenti tre casi disastrosi (due per problemi infrastrutturali, uno per guasto). La rappresentazione sintetica dei ritardi in Fig. 2 evidenzia ancora una diminuzione dei ritardi al 50 e 90% (quest'ultimo un po' fortuito, visto che siamo proprio sullo "spigolo" della distribuzione in Fig. 1), ma un lieve aumento del dato medio, probabilmente "colpa" del dato singolo di 101' già citato.

Se il dato del 2218 ha alcuni aspetti positivi, lo stesso non si può dire per il 2275: puntualità all'11% e al 43% entro 5'; numeri bassini, ma ormai da considerare quasi decenti, vista la situazione generale. Massimo ritardo di 44' il 26/11, ancora per presenza di deficienti sui binari. Il treno è stato fermato a Verdello, e i poveracci a bordo sono arrivati a Bergamo con il successivo 2237. Questa pratica ricorrente ad assurda si è verificata ben cinque volte nel bimestre, per non parlare del 4/11, quando il 2275 (in ritardo per l'attesa del treno dal deposito!!!) è stato fermato a Verdello dopo che il 2237 era passato; immagino che i pendolari siano ancora lì...
La Fig. 4 indica che la lieve riduzione della coda al 90% del 2023 era un fuoco di paglia: il 10% dei treni continua ad arrivare con ritardi assurdi di circa mezz'ora (di fatto, si giunge a Bergamo col 2237), mentre la media è lievcemente aumentata rispetto al 2023, ed è di circa 10' (su un tempo di pecorrenza di 45').

Chiudiamo questa parte con il capitolo sulle cause dei ritardi, come riportate dall'app di Trenord. Sei sono relative a guasti o problemi ai treni, tre a guasti all'infrastruttura. Ci sono poi sette segnalazioni legate a problemi di altri treni (che sono in gran parte di Trenord), per finire con lo sciopero del 5/11 e gente sui binari il 26/11. Ci sono poi due giorni con ritardi superiori ai 10' in cui tutto tace.

Fig. 5: Come Fig. 1, ma per tutto il 2024 (no agosto).
Fig. 6: Come Fig. 3, ma per tutto il 2024 (no agosto).
Ore di ritardo annue.
Riassunto annuale
Detto riassunto potrebbe... riassumersi in poche parole: nessuna variazione rispetto agli ultimi due anni! Le curve per il 2024 sono infatti pressoché sovrapposte a quelle del 2022 e 2023, e non è certo una buona notizia! Vediamo i dati di dettaglio: per il 2218, la puntualità è al 2% e al 38% entro 5'; massimo ritardo di 101', proprio in questo bimestre: nuovo record assoluto che polverizza i 93' del 2022; evviva!
Da un punto di vista puramente statistico, si può notare come la distribuzione abbia uno "spigolo" intorno ai 15' di ritardo, oltre i quali la dispersione aumenta considerevolmente. Immagino (ma posso sbagliare...) che in questi casi il treno abbia perso del tutto il suo slot e debba rompere le scatole agli altri convogli in circolazione... sono le famose "esigenze del regolatore", che deve arrabattarsi alla meno peggio.

Conclusioni simili si possono trarre per il 2275: puntualità all'11% e al 49% entro 5', massimo ritardo di "soli" 58' il 4/3. Anche in questo caso i dati sono sovrapposti a quelli del biennio precedente, e anche qui si vede uno spigolino verso i 30', che corrisponde probabilmente ai casi in cui si è arrivati a Bergamo con il 2237.

L'ultima figura illustra le ore totali di ritardo accumulate durante gli undici mesi di rilevazione. Come si vede, i ritardi sono enormi e non accennano minimamente a diminuire. Del resto, dopo che si sono alzati scandalosamente i limiti entro cui Trenord eroga un rimborso, perché preoccuparsi dei ritardi? È un problema dei pendolari, non di Trenord!
Auguri a tutti per un migliore 2025!


Nota: i dati sono raccolti personalmente o da app Trenord. Per correttezza, bisogna specificare che i ritardi sopportati dai pendolari su questi due treni non sono indicativi dei ritardi complessivi, che sta ad altri raccogliere e rendere pubblici. Idem per i rimpalli di responsabilità tra Trenord, Rfi, e quant'altri. Qui si cita spesso Trenord in quanto è ad essa che i poveri pendolari versano biglietti ed abbonamenti, e ai quali dovrebbe rispondere del servizio.

venerdì 20 dicembre 2024

Garda DOC Marzemino Rovadus 2021 Averoldi

Non me ne vogliano gli abitanti del Veneto, dove pare ci sia la maggiore superficie vitata a Marzemino, ma per me questo vitigno è sempre stato sinonimo di Trentino e dei dintorni di Isera (da assaggiare quello di Letrari). Ho quindi accolto con una certa curiosità (oltre al piacere, ovviamente) il regalo di questa bottiglia, un Marzemino lombardo della zona del Garda.
La cantina Averoldi è attiva da generazioni nella zona delle Valtenesi, e produce vini tipici del territorio con raccolta manuale delle uve e metodi tradizionali. La produzione di vini fermi (ma ci sono anche brut, un passito e una grappa) consta di tre bianchi e un rosato, cui si affiancano due rossi a base Groppello (da provare il Notorius) e questo Marzemino... tralasciando come al solito due rossi che passano in barrique.

Il Rovadus (nome di un antenato della famiglia Averoldi) è in realtà un assemblaggio di Marzemino (90%) e Sangiovese (10%), affinato in acciaio. Il colore è rosso con tendenze violacee, tipico del vitigno, mentre al naso si percepiscono note floreali e di frutti rossi. Molto piacevole e vivace all'assaggio, con un po' di mineralità e un finale amarognolo che coprono i 13° del vino ed invogliano a versarne ancora. Da abbinare (anche) a piatti di pesce!


Gradazione: 13°
Prezzo: N/A

domenica 8 dicembre 2024

Locanda del Menarost

Tagliolini con finferli.
Diaframma di manzo.
Tortino di ricotta.
Via Giuseppe Compagnoni 24
Milano

Sarà anche vero che "i milanesi non esistono più", ma per fortuna sopravvive ancora la loro cucina! Non lontano da piazzale Susa si trova la Locanda del Menarost (ovvero girarrosto, anche se pare che il termine dialettale sia anche usato per indicare le persone che continuano a "menarla", appunto), aperta nel 2012; un piccolo locale piuttosto frequentato (obbligatorio prenotare, come peraltro ovunque a Milano) e arredato in maniera piacevolmente retrò, con anticaglie del secolo scorso che riempiono le pareti, ma che in cucina non fa mai mancare i piatti principali della tradizione meneghina, accanto ad altre proposte lombarde.
Il menù inizia con l'elenco delle aziende (lombarde o del piacentino) da cui la locanda reperisce i prodotti, per passare poi alla lista vera e propria, dove saltiamo gli antipasti (salumi ed i classici mondeghili) e ci concentriamo sui primi: risotto alla zucca o ai porcini, tortelli di zucca, tagliatelle allo stracotto, per finire con i tagliolini con finferli freschi e guanciale su crema di pinoli, che ordino senza troppa esitazione. Porzione più che onesta per un piatto semplice ma gustoso (i colori delle fotografie sono falsati dalla luce artificiale).

Alla voce I secondi della Locanda, il menù si butta sulla carne (ma c'è un'opzione vegetariana): stinco di maiale, rognone di vitello, tartare di manzo e un poco noto (per me) diaframma di manzo con cavolo nero, uvetta e pinoli. Considerato un taglio povero, il diaframma è in realtà molto ricco di ferro, con un sapore intenso e un po' selvatico, anche se non ha la delicatezza dei tagli più comuni. Anche questa porzione è decisamente generosa, ed è un'ottima scelta se non siete familiari con questo taglio e volete "sperimentare".
Da citare poi la presenza nel menù dei piatti della tradizione, ovvero risotto allo zafferano, cotoletta alla milanese e ossobuco con risotto.

La lista dei dolci è piuttosto tradizionale, con i classici tiramisù, torta di mele, pere cotte. L'unica voce particolare che vado ad assaggiare è un tortino di ricotta di pecora con cioccolato e prugne caramellate, piacevolmente saporito.

La lista dei vini è piuttosto ampia, con una predilezione per le etichette lombarde. I miei gusti mi portano verso la Valtellina, dove assaggiamo un Alpi Retiche di una piccolissima azienda dal nome accattivante, Pizzo Coca. Uve nebbiolo (vabbè, chiavennasca) al 100%, 13° affinati in acciaio, è un ottimo accompagnamento per la cena.

Il conto: 120 € per:
2 primi
2 secondi
2 dessert
1 caffè
1 bottiglia di acqua
1 bottiglia di vino (24 €)
2 bicchieri di vino da dessert (15 €)