domenica 20 aprile 2025

Carema DOC Riserva 2017 Cantina Produttori Nebbiolo di Carema

Mi è capitato di recente di assaggiare due vini dealcolati, visto il gran parlare che se ne fa. Il primo era una specie di imitazione del Prosecco, troppo dolce per i miei gusti, ma tutto sommato meglio di quello che mi aspettavo (che non era granché). Galvanizzato da questa esperienza, ho acquistato un rosso dealcolato. Risultato: pessimo! Una specie di succo d'uva dolcissimo che non aveva niente, ma proprio niente, del sapore del vino, segno che c'è ancora parecchio da lavorare in questo ambito. Sono quindi subito tornato a Canossa, o meglio... a Carema, stappando subito una bottiglia che avevo acquistato in occasione di un viaggio in Val d'Aosta. Carema è infatti l'ultimo paese del Piemonte che si incontra prima di entrare nella Vallée, lungo la Statale 26 da dove si possono osservare le pergole che decorano il fondovalle.

Nonostante la superficie vitata sia di soli tredici ettari, i (piccoli) produttori sono più di quanto ci si aspetterebbe, e un centinaio di essi oggi aderiscono alla Cantina Produttori Nebbiolo di Carema, fondata nel 1960, quindi prima del riconoscimento della DOC nel 1967. La cantina produce otto vini, di cui cinque rossi, un rosato, un bianco e un metoto classico. A parte un assemblaggio di vari vitigni, un Canavese Nebbiolo e un Carema 2018 ormai esaurito, restano i due Carema, base e riserva, entrambi da uve Nebbiolo al 100% e con affinamento in botte grande per almeno 12 mesi (su un totale di 36 per il Riserva).

Il colore è di un bel granato con qualche tenue riflesso arancio, un po' per vocazione, un po' per gli anni. Ma il dubbio che il tempo passato in cantina sia stato eccessivo comincia a svanire alzando il bicchiere al naso: con qualche esitazione, si affacciano sentori di frutti di bosco, note speziate e accenni floreali. All'assaggio il vino è morbido, con alcool e acidità ben bilanciati ed i toni speziati che emergono nel finale. Un buon vino "di territorio", come si dice, che interpreta quell'angolo di Piemonte che non è ancora Vallée, ma gli assomiglia parecchio...


Gradazione: 13,5°
Prezzo di acquisto: 17 €

martedì 8 aprile 2025

Il pilastro Micheluzzi della Marmolada - 2: Walter Stösser

Stösser e Kast (Da [2], p. 77).
Lo schizzo delle vie sul pilastro tratto
dall'articolo di Stösser.

Dopo aver seguito Tita Piaz nel suo lungo lavoro in difesa di Micheluzzi nella prima parte, è ora il momento di guardare l'altro lato della vicenda, ovvero il racconto della salita di Stösser. Purtroppo non sono riuscito a reperire gli articoli pubblicati su Bergsteiger, ma solamente quello che si può leggere sull'Annuario del club alpino austro-tedesco del 1933 [1]. Anche in questo caso, la traduzione è merito di diversi siti ed il sottoscritto ha solo svolto un lavoro di revisione e di assemblaggio.

L'articolo sull'Annuario del DOeAV del 1933

Lo spigolo sud-ovest della Marmolada
di Walter Stösser, Pforzheim

Quando ripenso ai giorni trascorsi in montagna, la gioia dei ricordi si stende su esperienze sia belle che cupe. Ma c'è uno splendore speciale che si diffonde nelle belle giornate nelle Dolomiti. È perché sono state loro a incutere timore nel cuore del giovane ragazzo di Baden, a farlo rabbrividire davanti alla creazione primordiale, a insegnargli a comprendere il mormorio delle oscure foreste di montagna, l'ululato delle tempeste di foehn che si rincorrono, è perché lo hanno condotto per la prima volta nel silenzio di infiniti circhi rocciosi, lo hanno fatto salire nella luce ridente e giubilante, lo hanno lasciato combattere e vincere, gli hanno regalato momenti pieni di pura felicità in vetta? Oppure è l'abbondanza di colori, le linee che non lasciano mai che l'occhio si stanchi di immergersi in tutto lo splendore? È diventata per me una terra di desiderio, una terra di felicità e di pace. L'Alto Adige, la mia patria montana!

Quando nel 1925 giunsi per la prima volta in questo paese da favola, naturalmente furono le vie più facili quelle su cui salii per raggiungere le vette. Ma con l'amore per questi giganti unici di roccia cresceva l'abilità e con l'abilità crescevano i traguardi. Nel 1925 salii sulla vetta della Marmolada pieno di orgoglio. La comoda cresta ovest ci ha portato in cima, e siamo scesi attraverso il ghiacciaio fino a Fedaja. Il fatto che un giorno avrei potuto dominare la parete sud era impensabile per me allora, che avevo visto le montagne per la prima volta all'età di 25 anni. Eppure, solo due anni dopo, questa e molte altre classiche salite dolomitiche erano diventate nostre. L'anno successivo, quando una cima dopo l'altra cadeva lungo le vie più difficili, i miei occhi improvvisamente scrutavano la roccia non solo là dove era già stata domata da altri, ma erano fin troppo felici di indugiare dove nessuno era mai andato prima: cercavamo problemi.

È stato allora che per un'intera estate portai con me l'immagine di un gigantesco pilastro, il possente pilastro della parete sud della Marmolada. Ma l’estate finì troppo in fretta. Dalle pareti nord del Pelmo e della Civetta abbiamo osservato la Regina delle Dolomiti. Ma la speranza di una soluzione a quello che forse è il problema più grande delle Dolomiti doveva essere portata da un lungo inverno a una nuova estate.

Poi arrivò la notizia: il 6 e 7 settembre 1929 le due guide dolomitiche Micheluzzi e Perathoner scalarono la Marmolada con Christomanos attraverso il pilastro della parete sud. “La direttissima della parete sud della Marmolada”, come chiamavano questa salita gli italiani. Il problema era stato risolto.

Ma nemmeno per un momento ho vacillato nei miei progetti futuri. Anche se il problema era stato risolto, non saremmo più stati i primi, ma avremmo voluto essere i secondi a conquistare il pilastro. Perché non è stata solo la voglia di salire su vie che nessuno aveva mai percorso prima ciò che mi avvicinava alla Marmolada. È stata la salita incomparabilmente audace che mi ha affascinato.

L'estate del 1930 fu quindi dedicata soprattutto alla vetta della Marmolada. Il 2 agosto siamo andati a Canazei in Val di Fassa. Fritz Schütt di Mannheim, che mi ha accompagnato in montagna per tre anni, era con me. La sera stessa siamo saliti al Rif. Contrin, perché il giorno dopo volevamo salire lo spigolo. Ma non siamo andati oltre il Passo dell'Ombretta. Nebbia fitta - tempesta di giaccio - pioggia - neve - siamo tornati al capanno come dei barboncini innaffiati.

La mattina dopo alle 3 siamo tornati al Passo dell'Ombretta. Il tempo era bello, anche se c'era neve fresca ben sotto il passo. La stessa parete sud era coperta di bianco su terrazze e cenge. Regnava il freddo più amaro, come raramente avevo sperimentato nelle Dolomiti. Nonostante tutto, abbiamo osato tentare la via e siamo saliti per circa 100 m fino ad una placca liscia, leggermente inclinata, delimitata a sinistra da una fessura rivestita di ghiaccio - Impossibile! Dopo quattro ore di lavoro i quindici metri ghiacciati erano stati aggirati. Si raggiunse rapidamente la prima terrazza. Tuttavia le prospettive di successo della salita erano nulle, visto che il ghiaccio cresceva con l'altitudine. Si ritorna! Quasi all'attacco, una pietra mi è caduta in testa. Risultato: forte perdita di sangue e una ferita di 5-6 cm nel cuoio capelluto. Il mio amico Fritz ha prestato il primo soccorso, insieme all'ostessa del rifugio e ad una guida. Non ho seguito le cure mediche che mi erano stato consigliate per la preoccupazione che la mia libertà di movimento fosse ostacolata da una prescrizione medica. La guarigione è andata bene.

Il giorno successivo, con un tempo tristemente torbido, siamo saliti per la terza volta al passo per recuperare la nostra corda, che si era incastrata durante la discesa e che avevamo lasciato appesa a causa dell'incidente.

Il 6 agosto il tempo era relativamente buono. Ma ormai ci era chiaro che lo spigolo della Marmolada esigeva come prima condizione una serie di belle giornate. Così ci siamo rivolti ad un altro compito. Attraverso le pareti sud-occidentali della Cima Ombretta abbiamo scoperto una nuova, avventurosa via verso la vetta occidentale. Questa giornata, come nessun'altra, ci ha garantito non solo il guadagno in termini alpinistici, ma anche di cibo e vestiario: in vetta abbiamo trovato 2 lattine di carne, cibo militare in scatola del 1915, il cui contenuto era ancora in ottime condizioni. Infine, scendendo, trovammo una giacca che, a quanto pare, non era uscita da molto tempo dalle mani del sarto. Purtroppo chi l'aveva persa stava già aspettando dolorosamente la sua proprietà giù al Contrin, così la nostra speranza di poter affrontare lo spigolo della Marmolada con l'elegante abito è andata in fumo.

Dato che la situazione meteo continuava ad essere avversa, abbiamo deciso di rimandare del tutto il nostro piano per la Marmolada, sospendendolo fino a quando non ci fosse stato un radicale miglioramento. Dopo che il 17 agosto abbiamo raggiunto lo spigolo ovest dell'Antelao nelle condizioni più difficili ma con il tempo più bello, i nostri pensieri si sono finalmente rivolti di nuovo allo spigolo della Marmolada. Il tempo stava scadendo. I giorni inizialmente previsti per le Dolomiti erano finiti. Anche i piani delle Alpi occidentali dovevano essere realizzati. Ma il tempo sembrava davvero cospirare contro di noi. Quando arrivammo a Canazei, la tempesta ci inseguì attraverso Passo di Costalunga nella Val di Fassa, così che con il cuore pesante rinunciammo per un anno allo spigolo e proseguimmo fino a Bolzano, per passare da qui alle Alpi Occidentali.

Eppure, pochi giorni dopo ci ritrovavamo al Rif. Contrin. Avevamo ricevuto notizia dalle Alpi Occidentali che la quantità di neve fresca rendeva disperata ogni possibilità di salita. Nelle stesse Dolomiti il tempo era notevolmente migliorato. Cosa c'è di più naturale che ritornare al Rif. Contrin per un ultimo tentativo allo spigolo della Marmolada?

Così la sera del 22 agosto abbiamo camminato attraverso la valle di Contrin sul sentiero che ormai ci era familiare. Il 25 agosto abbiamo ripercorso lo stesso itinerario, non da vincitori. Per la prima volta, la montagna è stata più forte di noi. Eppure non eravamo dominati dal sentimento di sconfitta, perché la battaglia che abbiamo combattuto qui era più grande di una vittoria in vetta.

* * *

Ci sono strani pensieri che mi muovono mentre, il 23 agosto, inciampo ancora una volta sul ripido sentiero verso il Passo dell’Ombretta. L'oscurità incombe davanti a noi come un muro inquietante. La luce delle lanterne della zona della Marmolada danza come un fuoco fatuo davanti e dietro di noi. Proseguiamo in silenzio. I nostri piedi troveranno sicuramente il sentiero che è stato percorso così spesso.

Dove passeremo la prossima notte? Certamente non sui morbidi materassi della baita. Beh, probabilmente ci sarà un posticino in cresta, non è necessario che sia grande. Come sarà il lavoro che ci aspetta? Certamente molto duro! Ma... "Hai preso anche il foglio per la scritta?" sento improvvisamente chiedere da Fritz. "Sì, ma ci dovrebbe anche essere un pacchetto nella parete, ha detto Micheluzzi". E poi scende di nuovo il silenzio opprimente della notte. A cosa stavo pensando? Sì, sì, sarà difficile! Ce la faremo? Ma ho già scacciato di nuovo il pensiero. Fallire dove altri hanno trionfato prima di noi? Fallire, dove altri sono saliti prima di noi? Non abbiamo forse dimostrato la nostra volontà e abilità tra le più imponenti pareti dolomitiche?

Albeggia. Il giorno avanza vittorioso sulle montagne. Ci affrettiamo rapidamente verso la cima del passo. L'alito freddo che emana la valle ci fa rabbrividire. Sui pinnacoli del Catinaccio ardono i primi bagliori del sole nascente. La valle giace sotto di noi come qualcosa di lontano, di ormai scomparso. Dalle profumate nebbie mattutine emergono i giganteschi castelli del Pelmo e della Civetta, con i loro possenti precipizi settentrionali, immagine speculare della possente muraglia lungo la quale il nostro sguardo corre ora verso l'alto. La parete sud della Marmolada!

Lì lo sguardo scivola sui punti salienti della via salita da Zagonel e Bettega con Beatrice Tomasson nel 1901, sulla via diretta alla vetta trovata dai fratelli Leuchs nella seconda salita; poi guardiamo, rabbrividendo, l'orrore dell'inquietante gola della parete sud, sotto la cui caduta massi tremavamo per la nostra vita anni fa. E infine il nostro sguardo vaga sulle pareti a lastroni del pilastro fino alla vetta che, sporgendo dalla cima del Passo, si trova a ridosso delle due gigantesche pareti che si sviluppano a est e a ovest, le pareti che custodiscono la corona delle Dolomiti, lo scintillante ghiacciaio della Marmolada.

E la nostra interrogativa ricerca in questi fianchi minacciosi, apparentemente impossibili, trova la risposta nei pochi fogli di carta che tengo tra le mani: "La direttissima della parete sud della Marmolada." La descrizione della via dei primi salitori Micheluzzi, Perathoner e Christomannos. Con l'imponente parete davanti agli occhi, sono tornati i dubbi, ricordando le condizioni che ci avevano quasi costretto a tornare indietro all'Antelao pochi giorni prima, La roccia? - La superiamo. E se è bagnata? - Anche allora! E se è corazzata di ghiaccio? - La nostra volontà e capacità si sono frantumate sul ghiaccio!

Le mie braccia e le mie gambe sono febbricitanti per il desiderio di combattere, la gioia della battaglia si irradia dai miei occhi. Così mi avvicino alla parete che mi ha già visto sanguinare una volta; e poi inizia la lotta, questa gigantesca lotta con la montagna, che troppo presto diventerà una lotta con noi stessi. Con quanta rapidità e velocità progrediamo oggi, quanto più veloci di tre settimane fa, quando dopo poche prese dovevamo strofinare le nostre dita intorpidite per il freddo e scaldarle di nuovo. In una buca leggermente a destra sotto il passo si trovano ancora i resti di una baracca di guerra. Una ripida rampa conduce all'inizio della serie di camini, che attraversa la parete a destra dello spigolo fino all'altezza della prima terrazza. Numerosi strapiombi apportano una gradita varietà. La fessura diagonale viene superata al primo tentativo.

Una strana arrampicata! Si è sdraiati, con le punte estreme degli arti sinistri incastrate in una stretta fessura, distesi su una lastra completamente liscia e inclinata di pochi gradi, facendo i più folli movimenti di nuoto, eppure con tutte queste contorsioni si riesce a malapena ad avanzare di un centimetro. Si ha la sensazione che le montagne ti pesino addosso, montagne sotto il cui peso sembra di scivolare lungo la superficie levigata e involontariamente vorresti risucchiare te stesso, come l'agile lucertola che si arrampica sulle pareti come se fosse terreno pianeggiante, sfidando ogni gravità.

Sulla prima terrazza c'è un pilastro snello e aggraziato, che forma una fessura stretta con il muro giallo e sorprendentemente liscio che sale. I primi salitori hanno usato un triplo albero umano per farsi strada nella zona apparentemente impossibile della parete centrale attraverso l'incrocio di fessure fragili e con pochi appigli a sinistra. Ma dove troviamo il terzo uomo su questa parete? Quindi andiamo dritti alla fessura a destra. Uno strapiombo? Se non c'è altro, non c'è problema! Ma presto arriva altro. La fessura è stretta e senza appigli, con un piccolo sasso incastrato che cede, non sostiene il corpo. Lontano, sul pilastro, c'è una presa per la mano sinistra, la destra chiusa a pugno è incastrata, una spinta veloce, ce l'ho!

Un punto d'appoggio! Ma cosa significa punto d'appoggio sul versante sud-ovest della Marmolada? Che tutto quello che devi fare, appoggiandoti alla roccia, è inclinare la testa per poter vedere oltre le punte dei piedi e giù fino all'attacco! Che posizione! A sinistra la cima del pilastro, in alto, sopra di noi, a destra, una parete gialla, senza appigli; ciò che solitamente si intende per liscio e senza appigli. Dopo questo tratto in realtà non mi rendevo più conto né di questo né di aver sempre avuto qualcosa a cui aggrapparmi. Mi sentivo piuttosto come se avessi ingannato il mio corpo sulla forza di gravità.

Vorrei che il muro si staccasse di qualche grado dalla verticale almeno per un attimo! E così è stato: Ma non indietro, bensì in avanti! Dritto oltre il muro alto 250 m. "Sempre estremamente difficile ed esposto!". Questo è ciò che scrivono i primi salitori. Abbiamo fatto un tentativo. Ero bloccato su una spaccatura impossibile, l'impossibilità incombeva su di me come se volesse schiacciarmi! E non sono andato dritto, ma a destra fino a un impressionante pilastro staccato dal massiccio. Un chiodo! Su per il camino! Su per la parete!

Dannazione! Veniamo spinti sempre più a destra! Ma in alto? No! Per quanto possa ancora giudicare una parete, anche Micheluzzi avrebbe avuto pane per i suoi denti qui!

Decido di guardare oltre il bordo a destra, dove si doveva intravedere la gola principale. Salgo su un gradino della parete - un cornicione, un grande blocco ondeggiante... - non riesco a vedere nella gola, ma vedo una fila di camini bagnati, che inizia proprio accanto a noi e sembra essere percorribile fin molto in alto. In verticale sotto di me c'è il primo terrazzo di macerie della via della parete sud.

Il foglio di carta smarrito dai primi scalatori è nel camino! Ritroviamo così il percorso originale, la descrizione era sbagliata. Che ora poteva essere quando siamo entrati nel camino? Non lo so. Forse le 12, forse le 2. Il cronometro non ha mai avuto un ruolo importante nei nostri viaggi; basta che ci indichi l'ora di alzarci, le ore del giorno, le ore del lavoro, che ci mostra il sole. La roccia resisteva con un vigore sorprendente. I ruscelli scorrevano giù per lo stretto camino. Eravamo completamente bagnati dall'acqua ghiacciata. Pezzi di ghiaccio e di roccia sfrecciavano nell'aria.

Alcune pietre sono impilate su un piccolo gradino a formare un omino di pietra. Il bivacco dei primi salitori? Andiamo avanti, la giornata non è ancora finita. E probabilmente più in alto ci sarà un posto per la notte.

Avanti! Lottiamo con la montagna, con il freddo, con il bagnato!

Dalla nera sponda, il torrente scroscia sul tetto scivoloso. Un chiodo dopo l'altro annuncia la gravità della situazione. La corda, diventata un filo nell'acqua bagnata, pende sul corpo come un quintale e si incastra nei moschettoni zigzaganti. Le mani hanno i crampi, diventano incapaci di lavorare, si aprono. Solo lentamente torna la sensibilità. Una ferrea volontà supera la sinistra fessura.

E l'amico? In basso, in piedi nel torrente polveroso, lascia scorrere con cautela la corda di sicurezza tra le mani e osserva il compagno che si dibatte, tremante di freddo e di rabbia.

La corda, una volta così elastica, è rigida e instabile accanto a me, spessa e gonfia per l'acqua. Lo zaino si avvicina con un sorriso.

Sopraffatti dalla notte che si avvicinava, ci fermammo in fondo al camino, intriso d'acqua e di ghiaccio. Non potevamo restare lì. Ma non c'era nessun posto dove andare. A destra e a sinistra c'è il muro giallo-rosso della torre, incredibilmente liscio, che s'innalzava verticalmente, separato dalla rientranza coperta dall'acqua.

Ci siamo arrampicati nella notte e abbiamo cercato. Alla fine abbiamo trovato un posticino minuscolo. Sospeso là fuori come un nido di rondine, così audace! Coperto di macerie, ma fuori portata dai proiettili del camino.

Ci siamo sistemati pieni di speranza per il giorno successivo. Per prima cosa abbiamo rimosso le macerie, poi sono stati fissati due chiodi e tesa una corda come corrimano, alla quale ci siamo appesi con l'aiuto dei moschettoni. Poi mi sono seduto, ho preso Fritz tra le gambe e finalmente ci siamo tirati addosso il sacco della tenda. Cominciò la notte.

E arrivò con tutti i suoi mali. Sebbene all'inizio fosse ancora possibile sopportare l'umidità e il freddo dei nostri vestiti stringendoci l'uno all'altro, presto dovemmo massaggiarci a vicenda per mantenere la circolazione del sangue. Muoversi, allungare le membra, cambiare posizione: impossibile!

Quanto può essere lunga una notte così! E quanto spesso l'orologio deve mostrare il suo quadrante alla luce notturna. Ogni mezz'ora, ogni quarto d'ora viene letto. Ho messo la testa sulla spalla di Fritz, lui ha messo la sua sulla mia, quindi abbiamo provato a far passare qualche minuto.

Finalmente il giorno si svegliò! Onde di luce inondarono l'etere. Volontà di combattere desiderosa di nuova azione, volontà febbrile di vincere dopo una lunga lotta, desiderio di sole, sete di cielo azzurro. Ancora uno sguardo al mio compagno, poi mi sono lanciato con le mani rigide contro l'ultimo inquietante rigonfiamento dello spigolo sud-ovest della Marmolada.

Il torrente si era calmato, ma era ancora abbastanza forte da inzupparci di nuovo.

Una scarpa sotto una sporgenza! Fritz arriva. E adesso? Destra o sinistra? La fessura tra le due enormi pareti corre verso l'alto come un ripido canale strapiombante largo solo pochi metri. A destra un leggero avvallamento, a sinistra una fessura. Dove andare? A destra? Acqua, acqua - Ѐ impossibile! Quindi si deve andare a sinistra! Una lotta disperata. Il pugno colpisce tra le rocce, si blocca, tira il corpo più in là; la pelle si attacca alla roccia, le mani sanguinano. Cosa sta facendo! Ogni centimetro ci avvicina alla vetta.

Così abbiamo lottato. Le ore passavano ancora. Niente poteva scuotere la nostra ferma fiducia di essere vicini alla vetta. Niente? Nemmeno la caduta di ghiaccio e roccia che ricominciava, nemmeno il rinnovato gonfiarsi del torrente, nemmeno l'inquietante barriera di ghiaccio apparsa all'improvviso davanti a me? Combattere fino all'ultimo - questo è tutto ciò che pretende. Ma lei ha chiesto di più!

Il camino è diventato improvvisamente più profondo, estendendosi per molti metri nel fianco della montagna, diventando stretto e ostruito da strapiombi. E scintillanti cascate di ghiaccio si riversano sulle sue pareti, enormi aghi crescono su cenge e sporgenze, colonne di ghiaccio sostengono gli strapiombi!

Un'immagine favolosamente bella!

"Friz, senti le voci? Voci dalla cima; puoi vedere la sella lì! Non può essere lontano!"

E mi avventuro sul ghiaccio, facendomi strada tra i delicati pilastri e le pareti splendenti. La favola va in frantumi! Caddero centinaia di chili di detriti, qualche salto sopra lo scivolo di ghiaccio che ci condusse nelle profondità del camino, e poi fuori - giù.

Mi faccio strada tra il ghiaccio e la roccia, scalpello, mi appoggio, mi stendo, il martello da arrampicata sbatte! Assicurarmi? Dovrei avvolgere la corda attorno a un ghiacciolo? La roccia non permette di afferrare il chiodo. Maledizione, adesso mi salta via dalle dita, cade, scompare.

E su di noi si sta scatenando l'inferno. Il sole splende verticalmente nelle profondità dell'abisso, risvegliando molteplici forme di vita nello spazio morto da poco. Come gorgoglia e gocciola, come si lava e si allenta, come si dissolve e si frantuma, come rimbomba e cade! E noi stiamo sotto, al suo interno!

Mi faccio strada fino allo strapiombo successivo. Il martello rompe piccole tacche nel fragile vetro, le dita artigliano le protuberanze del ghiaccio, la roccia scompare sempre di più e il ghiaccio diventa sempre più potente, riempiendo il camino! Prima lentamente, indistintamente, poi sempre più tangibile, emerge davanti a me l'unica parola che doveva decidere la battaglia: Impossibile!

Pochi metri sopra di me c'era il grande tetto, il camino finale, ma impossibile: ogni passo in avanti sarebbe stato un crimine contro il mio compagno, seduto senza alcuna protezione nel camino, che verrebbe inevitabilmente gettato giù se cadessi. Non serve. La via verso la vetta è impossibile; la nostra volontà si spezza negli ultimi metri.

La soluzione è tornare indietro, per la stessa strada che abbiamo percorso.

Ritirarsi attraverso il camino ghiacciato! Scendere attraverso il ripido canale di ghiaccio!

Poi possiamo guardare giù l'inquietante percorso che dobbiamo seguire per la seconda volta, esausti, bagnati e infreddoliti, in uno stato che, senza una ferrea volontà, non è lontano dall'esaurimento completo, le corde quasi inutilizzabili per la discesa in corda doppia!

Sacrifichiamo un cordino dopo l'altro; molti chiodi fedeli ci portano finché non siamo di nuovo su terreno solido. Passiamo davanti ai luoghi in cui abbiamo lottato, il posto di bivacco, l'omino di pietra dei primi salitori. Giù attraverso l'acqua e l'orrore. Ci sono detriti di ghiaccio tutt'intorno su sporgenze e creste, spezzati in minuscole schegge. Giù! È quasi incredibile che la scomoda corda si sia incastrata solo una volta, tanto che sono dovuto risalire al chiodo per allentarla.

Risplendono le chiare macerie bianche come la neve della prima terrazza. Quanto è lunga la strada e quanto è breve la giornata. Il freddo e l'umidità stanno logorando sempre di più le nostre forze. Il camino sta per finire. Usciamo di soppiatto sulla parete attraverso il cornicione nel muro, accolti da un vento freddo e pungente e, battendo i denti, scrutiamo giù verso la terrazza. Sta arrivando il crepuscolo, la notte! Il circo è immerso nell'oscurità. Alla luce della lanterna piantiamo i chiodi nella roccia. Fritz lo tira fuori dalla tasca... e in pochi secondi colpisce le rocce. Una consolazione, non può essere lontano. Abbiamo piantato gli ultimi chiodi nell'oscurità. Poi siamo scesi, barcollando per tutta la notte fino al rifugio, dove le guide stavano già facendo i preparativi per recuperare i corpi l'indomani.

* * *

L'anno 1931 portò condizioni meteorologiche ancora peggiori del precedente. Tre giorni al Contrin sotto la pioggia e la neve hanno fatto capire fin dall'inizio che il tentativo era senza speranza. Inoltre, era l'inizio di settembre, quindi, anche se il tempo fosse stato favorevole, non sarebbe stato più possibile migliorare le cattive condizioni dell'estate.

Non eravamo gli unici a lottare per lo spigolo. Ma nessuno era riuscito ad andare oltre la prima terrazza. Qualcosa di oscuro e indicibile sembrava incombere su questa via. Avevano paura di un segreto, del velo semi-mistico che aveva coperto il grande tetto e il camino d'uscita? La prima salita dello spigolo, che negli ultimi anni era stata vista con un po' di incredulità, fu accolta da dubbi sempre maggiori. "Il Club Alpino", mi disse una volta Micheluzzi, "vuole una prova dello spigolo. Come faccio a darla, visto che quando siamo usciti nessuno ci ha visti? Può essere fornita solo con una seconda salita". Nel 1931 lo sperava da noi, dopo averlo temuto nel 1930!

Poi - abbiamo fatto una breve deviazione dal Cervino - Perathoner e la guida gardenese Glück hanno provato a scalare lo spigolo della Marmolada con un'inglese. La comitiva ha raggiunto il grande tetto e non ha fatto un passo avanti. Hanno scritto "Strapiombo impossibile passare" su un pezzo di carta che hanno lasciato sotto lo strapiombo, hanno chiesto aiuto e sono stati soccorsi poco dopo, con l'aiuto attivo di 14 guide e circa 200 m di corda. Il lavoro principale di salvataggio si dice sia stato fatto da Micheluzzi, amico di Perathoner.

Pochi giorni dopo questo tentativo, che alcuni addirittura descrivono come una seconda salita, noi - Fritz Kast di Pforzheim ed io - arrivammo ​​a Canazei. Non mancarono di informarci su tutto ciò che riguarda lo spigolo. Volevano spronarci ad imprese speciali raccontandoci dei rivali. Ma il giorno successivo ce la prendemmo comoda e scalammo la parete ovest del Pordoi per tornare alla roccia dolomitica. Per tutto il tempo precedente avevamo scalato nella roccia primaria e il mio compagno, che non aveva mai scalato in Dolomiti, avrebbe trovato lo spigolo della Marmolada come prima via dolomitica un po' eccessiva.

Dopo la parete ovest della Punta Pordoi, che probabilmente ha le stesse difficoltà della vecchia parete sud della Marmolada e ha un paesaggio di incomparabile bellezza, siamo andati al rifugio Contrin per affrontarne lo spigolo il giorno successivo.

Dove il sentiero per il passo dell'Ombretta si separa da quello per la forcella della Marmolada, gli scarponi chiodati sono rimasti sotto la stessa roccia alla stessa ora in cui 2 anni fa ci trovavamo all'attacco, il tempo era ugualmente bello. Il lavoro non era diventato più facile negli ultimi 2 anni. Era già sera quando abbiamo raggiunto il nostro vecchio punto di bivacco. Avevamo ancora circa 2 ore di luce a disposizione, ma poiché non sapevo quali fossero le condizioni più in alto, ho preferito fermarmi.

Le condizioni non potevano essere definite buone. L'intera fila dei camini era nuovamente intrisa d'acqua, segno che più in alto avremmo incontrato nuovamente del ghiaccio. Quindi, non le migliori prospettive per il giorno successivo. Ma anche sotto altri aspetti le nostre prospettive non sono migliorate. Durante la notte il tempo è cambiato, ha cominciato a piovere e il torrente accanto a noi si è ingrossato. All'alba, naturalmente, non si vedeva nulla tranne gli affioramenti rocciosi più vicini, ma la pioggia era cessata. Nonostante tutto, eravamo dominati da un solo pensiero: "Avanti!" E quando poco dopo ricominciò a piovere, a grandinare e infine a nevicare e non smise per tutta la giornata, il nostro unico pensiero fu: "Avanti! Ma non tornare più da queste parti!"

Dopo qualche tiro di corda, ci siamo trovati sotto il grande tetto: un enorme blocco copriva il camino, creando un tetto profondo circa 12 m e largo 3-4 m. L'ho visto oggi per la prima volta, anche se due anni fa ero solo pochi metri più in basso, perché allora era completamente sepolto sotto i piloni di ghiaccio.

Le opzioni per superare il tetto furono rapidamente esaurite. Forse solo la parete destra poteva essere affrontata se la roccia fosse stata completamente asciutta, ma questa situazione ideale è improbabile che si verifichi qui, a parte il fatto che oggi la pioggia e l'acqua ghiacciata scorrevano insieme lungo le pareti in un grande torrente. Nel fondo del camino c'era il già citato biglietto del gruppo di Perathoner.

Per quanto sarebbe stato comodo sedersi sotto il tetto asciutto, non abbiamo avuto il coraggio di farlo. Perché solo questo tetto ci separava dal camino d'uscita, che, una volta raggiunto, doveva portarci completamente fuori. Il mio primo pensiero è stato quello di una traversata con la corda, che potesse essere utilizzata per uscire dal camino fino a quando non si sarebbe potuto afferrare una sporgenza dall'esterno. Ma cosa splendeva così forte lassù attraverso il tetto? Una fessura tra la parete e il blocco! Ero già lassù cercando di ingrandirla. Macerie, piccoli blocchi, ghiaccio. Gocciolava, rimbombava, l'acqua scorreva dentro; i miei vestiti presto divennero solo stracci sporchi e bagnati che si attaccavano al mio corpo. Due opzioni: o rendere il buco abbastanza grande da poterci scivolare dentro, o almeno gettarvi dentro la corda per poter scavalcare lo strapiombo dall'esterno. Fritz mi ha sostituito e ha buttato negli abissi diversi pezzi di ghiaccio, ma il buco era troppo stretto per la nostra statura.

Corde passanti: una corda di sicurezza, una corda di traversata. Naturalmente, entrambe adesso erano appese all'esterno. Si raggiungevano scendendo dal camino. E poi la manovra decisiva: Fritz si è seduto nel camino e mi ha assicurato. Ero seduto sulla corda di traversata, che ora correva all'esterno sopra la sporgenza e attraverso il foro tornava sotto il tetto, dove era sostenuta da un chiodo. Tutto quello che dovevo fare ora era lasciarmi andare e volare sotto lo strapiombo, ormai superato dopo alcuni rapidi strappi. Sono arrivato alla fine di un ampio canale di ghiaccio, che dopo circa 60 m conduceva al camino finale. C'erano già tracce della cima, il tetto di una vecchia baracca di guerra!

Ora bisognava sostenere la corda di traversata sullo strapiombo per Fritz, un lavoro che finalmente è riuscito dopo una lunga, lunga ricerca. Poi anche Fritz è riuscito a lasciarsi alle spalle il tetto gigante.

Ma la speranza di arrivare vicini alla meta è stata amaramente delusa. La pioggia si abbatteva su di noi senza pietà. Il camino finale, che doveva essere facile, si è rivelato un'enorme serie di camini strapiombanti, ghiacciati, fragili, bloccati, lisci, che pendevano ancora circa 150 m sopra di noi. Un torrente selvaggio scorreva tra le pareti. Ma cos'altro potevamo fare se non passare? Il freddo gelido e l'acqua impetuosa hanno prosciugato il meglio delle nostre forze. Con un'energia ferrea ci siamo fatti strada camino dopo camino. Il freddo ci scuoteva così tanto che battevamo i denti, era impossibile stare in piedi liberamente, le nostre gambe tremanti non riuscivano più a sostenere i nostri corpi. Solo quando ogni muscolo era teso durante l'arrampicata, il lavoro costringeva i nervi a fare nuovamente il loro lavoro.

Alle 4 del pomeriggio, dopo le ore più inquietanti, raggiungemmo finalmente la cima della Marmolada, dove alcune baracche diroccate testimoniano ancora la guerra delle Dolomiti. Siamo usciti tra la pioggia battente in un temporale sferzante e solo la consapevolezza che un tetto, vestiti asciutti e tè caldo ci aspettavano laggiù nella valle ci ha permesso di scendere velocemente sulla cresta occidentale. La gioia della vittoria riuscì a riempirci solo in sordina. Solo quando fummo di nuovo tornati a terra con gli scarponi ci uscì dal petto il primo grido liberatorio e lentamente scendemmo verso il rifugio.

Considerazioni

In tutta questa storia, Walter Stösser fa la figura del cattivo. Dalle lettere è abbastanza ovvio, come rileva anche Tita Piaz (vedi parte 1), che non crede alla salita di Micheluzzi, non perché la notizia non gli sia giunta (come scrive Doris [3]), ma perché la ritirata della cordata Perathoner-Gluck, assieme ai dubbi reali o presunti, lo convincono del contrario. Anche questo scritto dalla prosa colorita e brillante (per citare sempre Ettore [4]), affascinante ma non scevra di retorica dell'eroismo (la si confronti con la relazione dei primi salitori!), è denso di doppi sensi, dal riconoscimento formale della salita di Micheluzzi nella fase iniziale ai dubbi in quella finale, e non mi pare quel pieno e leale riconoscimento di cui parla Castiglioni [4]. Eppure, il semplice fatto che la tecnica per superare il tetto sia spiegata chiaramente nella relazione di Micheluzzi (che Stösser conosceva bene e cita nelle salite precedenti, ma non quando lo supera) mi pare una chiara indicazione della priorità nella salita. Carlo Mazzariol su Le Alpi Venete [5] dice a p. 138 che

Stösser spiegò che il malinteso nacque nel momento in cui, a Canazei, gli fu riferito solamente di un tentativo avviato dalle guide Perathoner e Gluck e conclusosi sotto il "grande tetto".

ma abbiamo visto che anche questa versione non regge. Forse però non bisogna essere troppo severi; probabilmente Stösser non voleva vedere le prove della salita precedente perché lo spigolo era troppo importante per lui. Come dargli torto?

Se alla fine si sia intimamente convinto della salita di Micheluzzi, al di là delle dichiarazioni di prammatica, non lo sapremo mai: il 1 agosto 1935 cade durante una salita al Morgenhorn, nell'Oberland Bernese. A parte l'elenco dei caduti in montagna del 1935, da noi non si registrano commemorazioni; solo nel 1941 esce su Le Alpi [6] una recensione del libro di Paul Huebel Der Bergsteiger Walter Stösser in cui le sue numerose imprese sono ricordate. Al netto dei richiami al martirio e al sacrificio che risparmio ai lettori (e che nel 1941 si sarebbero invece dovuti spendere contro l'idiozia di chi aveva trascinato l'Italia in guerra), estraiamo le ultime righe della recensione:

Stoesser ebbe la buona sorte di non esser vittima di un attimo di smarrimento, di una debolezza sempre possibile: al Morgenhorn, duecento metri sotto la vetta, un blocco di neve ghiacciata, staccatosi di colpo, rovesciò Seybold, il compagno di cordata. Stoesser fu strappato a sua volta. Il racconto del teste oculare, il bravo custode del Rifugio Gspaltenhorn, è di una elementare tragicità. Una rozza croce di legno, in vista della immane parete del Morgenhorn, ricorda Stoesser, vittima, non vinta, della montagna.

C'è ancora spazio per una terza parte, sugli altri protagonisti della vicenda.

Bibliografia

[1] Walter Stösser, Die Südwestkante der Marmolata, Zeitschrift des Deutschen und Oesterreichischen Alpenvereins 1933, pp. 209-218.
[2] Dante Colli, Storia dell'alpinismo fassano, Tamari (Bologna), 1999.
[3] Lorenzo Doris, Storia dell'alpinismo dolomitico - dalle origini al 1957, Nordpress, Chiari (BS), p. 91.
[4] Ettore Castiglioni, Le pareti della Marmolada, Rivista Mensile del CAI 1937 n. 3, pp. 92-101.
[5] Carlo Mazzariol, Walter Stösser - una storia, Le Alpi Venete 2014 n. 2, pp. 133-139. Disponibile qui.
[6] Carlo Sarteschi, Der Bergsteiger Walter Stoesser, Ein Buch der Erinnerung - Herausgegeben von Paul Huebel Gebr. Richters Verlagsanstalt, Erfurt, 1940, Le Alpi 1940-41 n. 3-4, p. 64.