martedì 27 novembre 2012

Diedro Colnaghi e Calcaria termina

Giancarlo alla prima sosta del diedro Colnaghi
Giancarlo sul 2° tiro del diedro Colnaghi
Giancarlo sul 1° tiro di Calcaria termina
Tracciati del diedro Colnaghi (sinistra) e di Calcaria termina (destra)
Medale
Parete S


Novembre infausto, questo 2012: tra il tempo che volge spesso e volentieri al brutto e qualche "cedimento" agli amici che prediligono le uscite in falesia si è combinato poco o nulla. Sono stato quindi ben felice sabato di imboccare il sentiero del Medale diretto al diedro Colnaghi, una delle poche vie non stravolte dalla posa di fix come è ormai successo alla maggioranza di loro. Via assai breve (2 tiri) che regala una bella arrampicata, con solo uno o due passaggi un po' levigati dalle ripetizioni; peccato per la vegetazione che disturba la progressione, obbligando a piccole deviazioni per non finire infilzati dai rovi. A destra del diedro ci sono un paio di vie di 2-3 tiri che si possono abbinare, tanto per tirare l'ora di pranzo: noi siamo saliti su Calcaria termina, via storica di Ivan Guerini, proseguendo sull'ultimo tiro (duro!) di Bolli rossi.
Accesso: da Lecco verso Ballabio sulla vecchia strada; superato il borgo di Laorca, in corrispondenza di una curva a sinistra prima di un rettilineo con evidente tornante si prende a sinistra la via Paolo VI che conduce ad uno spiazzo davanti al cimitero dove si parcheggia. Da qui prendere la via di destra che conduce al bel cimitero di Laorca, si abbassa brevemente e prosegue in piano e poi in salita fino a giungere all'ex-rifugio Medale (indicazioni varie per il Medale e la via ferrata). Il sentiero prosegue e sbuca su una strada asfaltata che si segue in salita verso destra; al termine della salita si lascia la strada e si prende un sentiero sulla sinistra (indicazioni). Si supera un bivio con il sentiero di discesa dal Medale e si prende subito dopo la prima o la seconda traccia che sale alla parete verso destra. Si arriva così direttamente agli attacchi delle vie Calcaria termina o (pochi metri a sinistra) Have a nice day (scritte blu alla base). Il diedro Colnaghi parte appena a sinistra di quest'ultima.
Relazione diedro Colnaghi: la via è tutta nel secondo tiro, che sale l'evidente diedro girandogli un po' intorno per evitare la vegetazione; il primo tiro è fastidiosamente erboso. Gradi non elevati (un passo di VI-), ma chiodatura certo non abbondante. Utili friend medio-piccoli. Tutte le soste sono su due fittoni collegati con catena e anello di calata.
1° tiro: salire le rocce erbose a sinistra dei fittoni di Have a nice day fino ad un primo chiodo (allungate bene il rinvio se lo usate), dove il largo canale si chiude e a sinistra si vedono i fittoni di Fatebenefratelli. Da qui si sale a destra in corrispondenza di una radice (che io ho usato per rinviare al posto del chiodo), si esce su una specie di terrazzino e si sale ancora per rocce rotte alla sosta sotto il diedro; 45m, III, IV, V-, III, 1 chiodo, 1 cordino totalmente inaffidabile in clessidra, possibile utilizzare uno o due fittoni di Have a nice day.
2° tiro: salire a sinistra su un pulpito, seguire una fessura che porta nel diedro (due chiodi) e uscire a sinistra a prendere delle facili lame quando questo è ostacolato da vegetazione. Dopo pochi metri (chiodo) è possibile rientrare nel diedro in corrispondenza di una cengia; io ho invece proseguito seguendo una bellissima lama ad arco che riporta nel diedro più in alto. Da qui si passa sulla parete di destra (il diedro è ora infestato di rovi) ancora su lame (attenzione ad una di esse; è assai ballerina!) e si sale fino al cospetto della sosta sulla destra (passate sotto la pianta). Se sentite il bisogno di maggior protezione, è possibile evitare le ultime lame spostandosi ancora un poco a destra a prendere un fittone di Have a nice day proseguendo su quella via; VI-, V, 30m, 3 chiodi, 1 spit.
Discesa: bastano due calate in corda doppia lungo la via.
Pochi metri a destra del diedro (faccia a monte) si vede la scritta blu Calcaria T., che marca l'inizio della via. Anche qui le soste sono su due fittoni con catena ed anello di calata.
Relazione Calcaria termina: la via sale il pulpito per spostarsi poi a destra e superare un tettino finale. Arrampicata piacevole con buone protezioni; inutili friend. Direzione sempre ovvia indicata dai fittoni.
1° tiro: salire la parete spostandosi a sinistra più in alto ed uscire per rocce più facili sulla cima del pulpito; 4b, 25m, 4 fittoni.
2° tiro: salire la placca sopra la sosta e spostarsi poi a destra, salire un tratto un poco erboso fino ad un tetto che si supera sul lato sinistro per poi arrivare in sosta per placche; 5c, 40m, 7 fittoni, 1 spit.
3° tiro (di Bolli rossi): volendo proseguire si può aggiungere l'ultimo tiro della via Bolli rossi, che supera la placca ed il tetto sopra la sosta per poi proseguire per placche e rocce rotte più facili fino alla stessa sosta finale del diedro Colnaghi; 6b+, 30m, 4 fittoni. Il passaggio-chiave è tutt'altro che banale; eventualmente portatevi un cordino.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

giovedì 22 novembre 2012

I fratelli Calvi

Guerrieri alpini: i fratelli Calvi
di Alfredo Patroni, Agnelli, Milano, 1940


La conquista dell'Adamello - il diario del capitano Nino Calvi
di Marco Cimmino (cur.), LEG, Gorizia, 2009


A distanza ormai di un secolo, i luoghi della Grande Guerra si sono ingentiliti, quando non sono stati risucchiati da angoscianti periferie: il Giro della Grande Guerra si percorre con gli sci, tra una sciovia ed un bombardino (che non è arma di offesa, a parte forse per il fegato), il sacrario del Tonale è pacificamente assediato da auto parcheggiate e funge purtroppo da area pic-nic, e così via. Ma le tracce permangono; e proprio le mie prime uscite sciistiche al passo del Tonale mi avevano fatto notare i rotoli di filo spinato, i resti dei camminamenti e delle trincee, mi avevano fatto scoprire il Castellaccio, i cui baraccamenti avevo osservato in una vecchia foto di famiglia, fino allora per me enigmatica.
Leggendo della guerra bianca in Adamello non potevo non giungere ai fratelli Calvi. Forse qualcuno tra i miei concittadini, sollevando casualmente lo sguardo dal telefonino durante una vasca nel centro della Città Bassa, avrà notato il monumento a loro dedicato (un pilone portabandiera non particolarmente bello; vedi foto), ma credo che pochissimi ne sappiano qualcosa. Eppure i Calvi sono stati degli eroi, qualcosa di cui è difficile parlare oggi senza scivolare nella retorica dei valori. Quattro fratelli nati a Piazza Brembana, un paese della valle omonima, tutti arruolati negli Alpini; l'Adamello e l'Ortigara i teatri delle loro imprese. Due moriranno in guerra, uno nel 1919 nell'epidemia di febbre spagnola. Resta Nino, il maggiore dei quattro, il personaggio più affascinante, una vita quasi da film hollywoodiano.
Nino Calvi è il prototipo dell'eroe: nato nel 1887, capitano degli Alpini al Rif. Garibaldi in Adamello, organizza e conduce la campagna dell'aprile-maggio 1916 che porterà alla conquista dei ghiacciai del Mandrone e della Lobbia e delle linee di cresta Lobbia - Cresta croce - Dosson di Genova e Crozzon di Fargorida - Crozzon di Lares. Un'impresa che ha dell'incredibile per le quote a cui è condotta (tutte sopra i 3000 m) e per lo "stile": Calvi, in antitesi con la cultura militare italiana dell'epoca, capisce che in alta montagna non servono assalti in massa, ma piccoli gruppi di scialpinisti-soldati che possano cogliere il nemico di sorpresa attaccandolo su più fronti, e i fatti gli danno ragione: la conquista delle Lobbie e di Cresta Croce da parte dei diavoli bergamaschi scatenati sull’Adamello, nella tempesta e nella bufera glaciale (cit. Gadda) costa pochissimi morti (9), ed è anche merito del fratello Attilio che comanda una delle colonne di attacco. Quando il pluridecorato Giordana vorrà tentare l'attacco frontale al passo di Fargorida il 30 maggio, in pieno giorno, nella neve molle che ostacola i movimenti, ne risulterà un massacro e saranno ancora manovre di piccoli gruppi che daranno la vittoria finale agli italiani.
Insofferente della burocrazia e delle formalità, senza mezze parole anche con i superiori quando si tratta di difendere i "suoi" soldati, Nino Calvi non riceverà mai alcuna promozione - nonostante le promesse - per le innumerevoli imprese vittoriose (altro es., il Corno di Cavento). Vedrà cadere il fratello Attilio a poca distanza da sé durante l'assalto al Passo di Fargorida (da leggere qui a pag. 41 la morte di Attilio Calvi nel Castello di Udine di Gadda), sentirà della morte di Santino sull'Ortigara, nell'unica conquista italiana del 10 giugno 1917 nell'assurda Operazione K (si veda ad esempio il libro di Pieropan Ortigara 1917: il sacrificio della sesta armata), e perderà Giannino nel 1919, dopo che i due hanno combattuto insieme sul Grappa.
Dopo la guerra, Nino Calvi, solo e deluso, si dedica all'amore che gli è rimasto: la montagna (coltivato invero anche durante la guerra, con numerose prime ascensioni). Nel settembre 1920 torna in Adamello e sale in solitaria la parete nord: non ritornerà. Il corpo sarà ritrovato alla base tre giorni dopo, forse travolto da una valanga. Non è forse un finale filmico? In quale altra montagna Nino avrebbe potuto trovare requie?

Patroni ricostruisce le gesta dei fratelli Calvi, suoi compagni di lotta in Adamello, senza indugiare in analisi critiche e collo stile retorico dell'epoca (molta sovrapposizione col libro di Cavaciocchi nella descrizione della battaglia, ma è forse inevitabile); libro nondimeno interessante per i numerosi episodi riportati e per gli estratti dell'agenda di Attilio Calvi, difficilmente reperibile. Bellissimo invece il diario di Nino, scritto con bella calligrafia d'epoca e corredato di diverse fotografie, cartine e schizzi, riproposto per la prima volta in copia anastatica nel libro di Cimmino, che antepone alcuni capitoli introduttivi e ben evidenzia quale doveva essere lo stato d'animo, l'amarezza di questo "capitano in congedo" (per citare ancora Gadda) mentre lo scriveva a guerra finita.

Ora i quattro fratelli riposano nel loro paese natale, ricordati solo da qualche appassionato di vicende di un secolo fa.

domenica 11 novembre 2012

Lagrein e Aglianico

Eccomi qui ancora una volta a "piangere" due bottiglie che hanno gloriosamente lasciato la cantina adempiendo al loro dovere senza esitazioni, da nord a sud. Cominciamo dall'Alto Adige, regione fantastica e mai troppo frequentata, sia per le salite dolomitiche che per i piaceri della gola. Parlando di questi ultimi, e limitandoci ai vini, l'Alto Adige è ovviamente sinonimo di bianchi... ma non solo! Dove andare a prendere i migliori Pinot nero d'Italia se non lì? E che dire del Lagrein, il più famoso dei vitigni autoctoni della regione? Proprio il Lagrein DOC 2004 dell'Abbazia di Novacella ha accompagnato l'ennesimo week-end piovoso di questo mese di novembre. Di colore scuro come ogni buon Lagrein che si rispetti, questo 2004, una volta che lo si lascia respirare, non delude: i frutti neri si assaporano in tutta la loro piacevolezza, seguiti all'assaggio da note di liquirizia. Buono il corpo del vino, con i 6 mesetti in botte di rovere che non si fanno troppo sentire. L'Abbazia ha anche una linea "riserva", il Praepositus, che non ho assaggiato ma che guarderei con tendenziale diffidenza (18 mesi in rovere). Certo, se i vispi fraticelli agostiniani mi vorranno mandare qualche bottiglia per l'assaggio, non disdegnerò certo!
Dalle montagne dell'Alto Adige a quelle della Basilicata: se queste ultime mi sono alpinisticamente sconosciute, posso quantomeno annoverare i vini del Vulture - in particolare l'aglianico - tra i miei preferiti! Avevo assaggiato i vini della Paternoster una decina di anni fa e ricordo che - anche qui - non rimasi particolarmente colpito dal vino di fascia alta, Don Anselmo, mentre la linea "base" risultò molto più convincente, tanto che ne divenni "fedele consumatore". Ho poi conosciuto altri lodevoli produttori, D'Angelo e Martino (con un aglianico praticamente regalato), ma questa bottiglia di Aglianico del Vulture DOC Synthesi 2002 conferma - se mai ne avessi bisogno - che farò bene a non lasciar esaurire le scorte in cantina: all'assaggio si sentono subito i frutti rossi, incalzati da un netto ed inconfondibile gusto di cioccolato. Buona la persistenza e la struttura del vino; a 10 anni dalla vendemmia, l'aglianico si conferma un ottimo vino da bere "alla distanza". A voi l'assaggio, il giudizio e l'eventuale confronto.

mercoledì 7 novembre 2012

Spigolo del IV sole

Sul 1° tiro

Paolo sul 2° tiro

Sul 2° tiro

La bellissima fessura del 5° tiro

Paolo sul 7° tiro

Tracciato: parte bassa

Tracciato: parte alta

Pala del Boral - Monte Cimo
Parete E


Ricordo quando, agli inizi delle mie arrampicate, guardavo le pareti del Monte Cimo passandogli vicino sull'autostrada, e venivo candidamente informato delle difficoltà delle linee che vi salivano, numeri per me allora - e adesso - sideralmente remoti, al di là del bene e del male. Col tempo qualche linea è stata "aggredita", quelle più facili come Nato sotto un cavolo, Instabilità emotive o la bellissima Il ladro di Baghdad, ma la maggior parte ritiene testardamente un livello di difficoltà troppo elevato per un pippone come me! Un vero peccato, perché novembre è la "stagione del Brentino": vie non troppo lunghe, ben protette e su roccia buona, a bassa quota e con avvicinamento abbastanza breve. Capita così che quando vengo a sapere che in programma è lo Spigolo del IV sole mi ritrovi tra il felice ed il preoccupato, e parta con ampia dotazione di cordini d'abbandono, friend e altri aggeggi per "facilitare" la progressione. Risultato: un vergognoso "ciapa e tira" sui tre tratti di 6b e un tiro, il quinto, ben più tranquillo di quanto non sia descritto in altre relazioni. Il punto più critico secondo me è all'inizio del settimo tiro, dove c'è un bel passo obbligato per raggiungere uno spit; ci vorrebbe un cordino penzolante per i conigli come me, e sarebbe assai più utile di quello che si nota sul primo tiro! Nel complesso una bella linea, ma che mi ha fatto propendere per un reciso spostamento dei miei interessi da quelli alpinistici a quelli enogastronomici.
Accesso: se venite da ovest, uscire dalla A4 a Peschiera del Garda e prendere la superstrada per Affi; in alternativa uscire lì dalla A22 e seguire le indicazioni per Brentino Belluno (alla rotonda del casello prendere l'uscita dopo quella che adduce in autostrada e alla rotonda successiva andare a sinistra (SP11); più avanti, curva a destra (indicazioni). La strada scende, supera una Tagliata residuo di guerra, costeggia l'A22 e l'Adige. Al bivio con indicazione per il paese si attraversa un canale e si parcheggia poco dopo, in uno spiazzo davanti al cimitero. Percorrere il vialetto di accesso e attraversare a sinistra un prato con vigneti. Al suo termine, salire il sentiero (bolli gialli e rossi) che si porta lentamente verso sinistra, supera un tratto friabile e uno scivoloso con corde fisse (qui si vedono targhette metalliche con indicazione "S5" seguite da "SE" o "SBC"; sono i settori della parete) e sale zigzagando fino ad un bivio con indicazioni. Da qui a destra fino a incrociare una zona rocciosa strapiombante (bolli gialli e rossi e indicazione d'attacco della via Superjolly); poco dopo si trova la partenza (scritta alla base e piastrina metallica con il n.12).
Relazione: la via supera i tetti sulla destra per poi portarsi a sinistra sullo spigolo vero e proprio. Percorso sempre logico con protezioni a spit abbastanza buone, ma piazzate in modo decisamente bizzarro, con i tiri più facili chiodati talvolta meglio di quelli più impegnativi. Il quinto tiro, descritto come quello chiave, è il più bello della via e si supera tranquillamente con l'ausilio di uno o due friend. Nel resto della via i friend sono inutili, quindi non fate come noi, che leggendo varie relazioni siamo saliti con tanto di quel materiale da far invidia al Maestri della Via del compressore.
1° tiro: dritti ad un tettino infido, poi per placche si esce a sinistra al terrazzino di sosta; 25m, 6b, 5a, 7 spit (1 con cordino), una clessidra con cordino; sosta su due spit.
2° tiro: a destra della sosta su placca inclinata, poi salire un muretto (più facile un poco a destra degli spit) e attraversare a sinistra su bellissima placca a buchi; 25m, 6a, 9 spit, 1 sosta intermedia, 1 chiodo. Sosta su due spit, un fix e un chiodo.
3° tiro: a sinistra della sosta, dritti ad uno strapiombo, poi più facile sino alla cengia; 25m, 6b, 7 spit. Sosta su pianta con cordoni.
4° tiro: lungo la traccia a sinistra fino a doppiare lo spigolo e raggiungere la sosta vicino ad una pianta; 40m, II, passo di 4a, 2 spit, 1 cordino su pianta.
5° tiro: il più bello della via! A destra della sosta per placche fino ad uno strapiombino e alla fessura che porta in cima al pilastro del missile; 35m, 6a, 6a+, 11 spit. Sosta su due spit e cordone.
6° tiro: sul muretto in verticale fino alla sosta; 15m, 6a, 9 spit. Sosta su due spit e cordone.
7° tiro: superare lo strapiombo sopra la sosta e proseguire sul filo dello spigolo fino alla sosta sulla destra; 35m, 6b, 6a, 12 spit. Sosta su due spit e cordone.
8° tiro: proseguire lungo lo spigolo fino alla sosta; 35m, 4c, 5b, 9 spit. Sosta su due spit e cordone.
Discesa: a sinistra della sosta dell'ottavo tiro si trova una sosta attrezzata per la calata in corda doppia. Da qui si torna alla base con 4 calate lungo la via Superjolly. le prime due coprono ognuna due tiri della via (circa 40 e 50m); la terza deposita sulla cengia e con l'ultima si torna alla base.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

domenica 4 novembre 2012

Torta morbida al caffè e cioccolato

Ieri, ospite per l'ennesima volta da Amedeo, ho assaggiato un'ottima torta alle mele ed amaretti (durante il pranzo è anche misteriosamente sparita una bottiglia di Aglianico, ma su questa scriverò un'altra volta). Aggiungo che il giorno prima Matteo aveva risvegliato la sopita passione culinaria ricordandomi una torta con ricotta e cioccolato che regala sempre soddisfazioni, che oggi piove e c'è ben poco da combinare e capirete perché stamattina ho iniziato a scartabellare tra le ricette dei dolci, a partire da quelle della mia rivista e sito di cucina preferiti: La cucina italiana (faccio pure pubblicità gratis...). L'idea era di fare una torta con caffè e cioccolato, ma l'unica che vi ho trovato sembrava un po' troppo elaborata per un "rientro" dopo mesi di inattività; ho fatto quindi passare un po' di siti, ho pigliato una ricetta facile facile qui e l'ho seguita fedelmente... o quasi, visto che piccole variazioni fanno bene al cuore... e allo stomaco. È quasi una torta tenerina che utilizzava in origine del liquore al caffè. Io ho pensato che caffè e cioccolato si sposassero egregiamente con del rum, e così ho fatto. L'unico "inconveniente" del rum che non mi aspettavo è di aver addensato non poco la glassa, dando un effetto "rustico" alla torta. Niente di grave, il gusto non ne ha risentito ed il motivo più probabile è che abbia fatto qualche minchiata o aspettato troppo o troppo poco; in caso contrario... esperti di fisica culinaria, fatevi vivi!

Ingredienti:
  • uova: 6
  • cioccolato fondente: 300g. Io, amante dei fondenti extra, ho usato un 75%, resistendo alla tentazione di usare il cioccolato al peperoncino (se qualche incauto lettore lo prova, mi faccia sapere)
  • caffè: 10cl, ovvero 100g. Suggerisco di aumentare un poco la dose...
  • burro: 100g
  • zucchero: 75g
  • fecola: 40-45g
  • cacao e zucchero a velo per spolverare
  • liquore: qualche cl. Io ho usato un rum extra viejo, che ha vinto sul filo di lana contro un liquore alla liquirizia per paura di mischiare troppi sapori...

Preparazione:
  • Fate fondere a bagnomaria 150g di cioccolato con il caffè. Fate come per il "cucchiaio della teiera" per il te e aggiungete un pezzetto di cioccolato extra, che tanto resterà sulle pareti...
  • Aggiungete il burro ammorbidito, meglio se a pezzetti. Mescolate il tutto
  • Rompete le uova e mettete da parte gli albumi. Sbattete i tuorli in una terrina insieme allo zucchero, aggiungete il cioccolato fuso e la fecola. Mescolate bene
  • Accendete il forno e regolatelo sui 150°C
  • Montate a neve gli albumi con un pizzico di sale e aggiungeteli al tutto. Quello che ottengo sempre io è più simile alla neve che resta dopo una giornata di sereno che non alla "neve fresca", ma pazienza
  • Imburrate fondo e bordi della tortiera e versate l'impasto
  • Mettete in forno per 40' e togliete
  • Mentre la torta intiepidisce, mettete a bagnomaria il resto del cioccolato. Una volta fuso, aggiungete il liquore, mescolate, e ricoprite la torta con la glassa. Se la glassa rimane liquida, mettete subito in frigo per una decina di minuti; nel mio caso non è stato assolutamente necessario!
  • Spolverate con cacao e zucchero a velo
Vista la concentrazione di cacao, sia nel cioccolato che ho usato che nel velo, la glassa resterà un poco amarognola, che per me va benissimo. Se preferite qualcosa di più dolce cambiate tipo di cioccolato, evitare di spolverare o aggiungete un poco di zucchero. Grazie agli autori originali della ricetta.

giovedì 1 novembre 2012

Osteria Burligo

Patè di tordi.
Gnocchi di pane e farina di castagne con pancetta.
Punta di manzo ripiena.
Salsicciotto di maiale con purè di zucca.
Torta di nocciole e cioccolato
Via Burligo, 12
Palazzago (BG)


L'osteria Burligo è - come si suol dire - una "garanzia"; uno di quei locali dove è bello tornare di quando in quando con amici, magari non "della zona", per tenersi lontano dalla città e assaggiare qualche buon piatto senza troppi fronzoli. La cucina è rigorosamente del territorio; non v'è da aspettarsi piatti elaborati o particolarmente ricercati, bensì una scelta fra tre-quattro antipasti e altrettanti primi e secondi, molto ben cucinati e con ottime materie prime dei dintorni, e non è poco! Anche la selezione dei vini è esemplare: pur attenta alla realtà locale, vi trovano anche posto aree assai più interessanti: ottima la selezione di etichette piemontesi, vera passione dell'oste. Per questi motivi vale certamente la pena di imboccare la strada che sale le pendici dell'Albenza verso Palazzago per raggiungere la frazione di Burligo e l'omonima osteria. L'aspetto è assai informale, quasi casalingo: l'insegna è tutto fuorché troppo evidente, i tavoli hanno tovaglie bianche e sedie in legno, l'arredamento è praticamente inesistente, il menù è presentato su un foglio di carta, la figlioletta giocava nella stanza accanto a quella dove eravamo noi e gli altri avventori. Ma questo poco conta; anzi, dà un'aria di tranquillità e predispone ad un'ottimo pasto.
Nella visita del 2012 (senza fotografie) ho iniziato con un ottimo lonzino per antipasto, senza disdegnare un assaggio ai peperoni con salsa di tonno. Come primo piatto ho scelto una crema di zucca con riso nero a cui ho aggiunto una discreta quantità di pepe; piatto molto buono anche se forse un po' troppo dolce. Molto interessante anche l'orzotto ai funghi. Sui secondi ha spopolato la guancia di vitello, mentre io ho optato per uno stracotto di asino ("del macellaio di Palazzago", come ci ha detto il sempre simpatico ad affabile oste) accompagnato da un nido di polenta. Per finire, il dessert: mi sono lasciato tentare da una torta di farina di castagne, insolita e buona; un assaggio alla buonissima torta di cioccolato e nocciole mi ha fatto però dubitare della mia scelta.
Due bottiglie di Barbaresco hanno accompagnato magnificamente la cena. Per iniziare scelgo un classico: quello della Cantina produttori 2006. Sulla seconda bottiglia mi affido al titolare che mi consiglia la Cantina del pino, sempre 2006 e con cui nasce una simpatica chiacchierata sul confronto tra i due. La mia preferenza va al primo, mentre il secondo "paga" il pur breve passaggio in rovere, anche se bilanciato da una polpa più carica.
Sono poi tornato altre volte, l'ultima a dicembre 2020 per festeggiare un compleanno. Stavolta il menù proponeva antipasti di salumi e un insolito patè di tordi che mi ha subito incuriosito: veramente notevole ed assai delicato; me lo sono mangiato in men che non si dica lasciando praticamente intatti i crostini!
Anche tra i primi piatti c'è una scelta un poco insolita: degli gnocchi di pane e farina di castagne con pancetta che raccoglie l'unanimità del tavolo (e infatti di lì a poco finiranno e altri avventori dovranno indirizzarsi altrove). Sono piccoli gnocchi assolutamente saporiti che spariscono in un anno.
Siamo ai secondi: manzo, trota, gallina,... noi proviamo una punta di manzo di Vedeseta ripiena e un salsicciotto di maiale della Valtaleggio con purè di zucca, a testimoniare l'origine locale dei prodotti. Veramente ottima la punta, accompagnata da un nido di polenta e verdure. Il salsicciotto in realtà è un cotechino, che però manca un po' della finezza che avevo trovato ad esempio da Dentella. Compensa il purè di zucca, veramente buono.
C'è ancora un po' di spazio per il dessert: una torta di nocciole e cioccolato ed una di farina gialla, che completano a dovere il pranzo.
Anche questa volta mi oriento su un'etichetta piemontese, ovvero un Carema della Cantina Produttori Nebbiolo di Carema, vino che avevo già assaggiato diverse volte al rientro dalla Val d'Aosta. Si va sul sicuro!

Il conto (dicembre 2020): 100€ per
1 antipasto
2 primi
2 secondi
2 dessert
2 caffè
1 bottiglia di acqua
1 bottiglia di vino (20 €)

P.S. Nelle vicinanze si trovano anche gli ottimi ristoranti Collina e Camoretti.