...passo buona parte dei miei giorni in campagna, una frazione del comune di Bergamo ad un'ora di cammino dalla città e, quando vi sono, se non fossero di mezzo i guai della pittura, tra quella gente che parrà al primo capitato grossolana e volgare, a me che da tanti anni la frequento appare, a tratti, di remota verginità e, talvolta, mi sono concessi attimi di felicità. Purtroppo il senso autocritico addirittura inumano non mi ha concesso, dopo tanti anni di studio, che fugaci o meglio nulle soddisfazioni personali. Mi considero come pittore, quasi mancato [...]. Un mio orgoglio, giacché non ne sono del tutto esente, è l'amore all'arte nel quale non mi ritengo secondo a nessuno.
dalla Lettera a Mino Maccari, 1931
Il mio primo "incontro" con Vitali è merito di Amedeo, che nel corso di tantissimi pomeriggi di "iniziazione" mi mostrò alcune incisioni e ritratti accompagnati da un accorato racconto della vita e della "persona" Vitali, come può fare solo chi gli fu discepolo e amico. Da quei racconti emerge una personalità per certi versi straordinaria, capace di intraprendere una ricerca artistica di prim'ordine in un ambiente certamente non favorevole, conscia del proprio valore quanto del proprio isolamento culturale - troppo superiore, Vitali, rispetto all'ambiente che gli stava intorno, la Bergamo degli anni '30 del Novecento - e sempre costretta a fare i conti con una nera miseria e con la mancanza di vero "successo", nonostante i numerosi e prestigiosi riconoscimenti critici.
Proprio Amedeo cura la catalogazione delle incisioni di Vitali e la pubblicazione del bel volume relativo, Le incisioni di Alberto Vitali (Bolis, 1973), colle riproduzioni delle 124 incisioni realizzate tra il 1929 e il 1951. I vicoli di Città Alta, le scene di lavoro, qualche ritratto e natura morta occupano gran parte del primo periodo di Vitali, dal 1929 al 1934. Quando riprende le incisioni, nel 1941, i temi si spostano lievemente: ritratti dei familiari o autoritratti, paesaggi di campagna, le bellissime meditazioni sui fiori. Anche il "segno" appare diverso; più rotto, impetuoso e accentuato dalla morsura che evidenzia i neri. Le lastre sono state tutte distrutte: Vitali le riutilizzava "raschiandole", non potendo permettersi di acquistarle ogni volta, e le poche restanti furono da lui stesso gettate nel punto più profondo del lago d'Iseo. Se aggiungiamo poi che le tirature sono limitate a sei, sette esemplari, a volte meno (solo nove incisioni sono tirate a poco più di dieci copie e una sola a quindici) ci rendiamo conto di quanto l'aspetto economico dell'arte fosse alieno a Vitali, che pure raggiunse livelli altissimi, tanto da poter contare su estimatori del calibro di Bartolini e Morandi, per citarne un paio.
Un anno dopo la morte, nel 1975, Bergamo rende omaggio alla figura del suo cittadino con una mostra a Palazzo della Ragione. Il bel catalogo con introduzione di Raffaele De Grada (Alberto Vitali, Bolis, 1975) e uno scritto rivelatore di Amedeo permette di riscoprire l'Alberto Vitali pittore, riporta alla luce quadri che perfino i concittadini (o almeno quelli più disattenti, che poi sono spesso la maggior parte) avevano (hanno?) dimenticato, capolavori come (cito da una lista che sarebbe lunghissima) Siccità, Paesaggio bergamasco, Il mendicante, Interno con figure. Ai critici il gioco dei rimandi agli "ispiratori" di Vitali (Cezanne, Carrà, Rosai e altri sono stati proposti...) e lo studio delle sue affinità con il gruppo di Novecento; per me l'amore per la natura e la plasticità delle forme sono mediate da una sensibilità personalissima, cui si aggiunge una dimensione materica del quadro e dei bellissimi colori che rimandano alla formazione artigiana dello stesso Vitali, già intagliatore di mobili dopo le scuole elementari e poi corniciaio e restauratore di quadri.
Doverosa poi qualche riga sulle "mascherate", preannunciate dalla fantastica incisione con Arlecchino nella Piazza Vecchia di Bergamo del tutto deserta del 1931 e svolte dal 1937 al 1956 (se non erro). Certo, il tema del Carnevale e delle maschere è tutt'altro che nuovo nella storia dell'arte, ma qui si respira una sorta di inedito spaesamento, senza gente festante, colle maschere sole quasi estraniate, mondo fantastico e un po' dolente che ripopola la Città Alta in assenza dei suoi consueti e chiassosi abitatori. Per dirla con Antonio De Santis (Pittura orobica del primo Novecento, Il Conventino, Bergamo, 1984), Vitali inserisce (p. 106) "nel proprio gesto artistico una personale poetica dell'assoluto e della solitudine".
Dopo il 1960 Vitali riduce quasi del tutto la sua produzione pittorica, rispondendo col silenzio ai mutamenti di un mondo in cui non si riconosce e che gli appare dominato dall'aspetto commerciale (come non fare un paragone che molti giudicheranno "profano", coll'abbandono dell'alpinismo per simili ragioni da parte di un altro bergamasco, Walter Bonatti, nel 1965?). Fa eccezione, però, la serie degli acquerelli dell'Engadina, dal 1968 al 1971, raccontati nel libro di Vanni Scheiwiller (Acquerelli d'Engadina di Alberto Vitali, Scheiwiller, 1984, uscito nello stesso anno della mostra milanese per il decennale della morte). È ancora Amedeo che ci racconta la genesi delle opere, l'ospitalità di un amico di Vitali che gli fece conoscere il paesaggio svizzero tramite una serie di soggiorni a Soglio, Sils, Poschiavo, Samaden e altre località. Distillati di colore puro, cielo, montagne, laghi, gli acquerelli svizzeri testimoniano il ritorno dell'amore mai sopito per l'arte e per la natura, che si risvegliava prepotentemente al di fuori di una "logica" in cui l'artista non si riconosceva più. In uno degli ultimi acquerelli, del 1971, ricompare infine Arlecchino, che gioca con dei bimbi indicando uno stormo di uccelli nel cielo. Di lì a poco sopraggiungerà la malattia e, nel 1974, la morte.
Un anno dopo la mostra di Milano, anche Bergamo omaggia Vitali con una mostra sui suoi acquerelli. Il catalogo contiene tre brevi estratti di articoli (di cui uno dal libro di Scheiwiller) e una decina di riproduzioni in bianco e nero; il libro precedente resta tuttavia assai più completo al riguardo.
La bibliografia su Vitali potrebbe tranquillamente fermarsi qui, almeno fino ad oggi. Ci sono però altri due libri di Fernando Rea, relativi ad esposizioni in gallerie private: il primo (Galleria S. Marco, 1984) è il catalogo dell'esposizione bergamasca che si tenne in parallelo a quella organizzata a Milano al Palazzo della Permanente nel 1984, decennale della morte di Vitali. Premesso che chiunque capirebbe l'inopportunità di organizzare due mostre sullo stesso artista in contemporanea e a 50 km di distanza (il fatto che la mostra sia in una galleria privata genera sospetti di natura "commerciale") e che in alcuni passaggi del libro si leggono in controluce piccole rivalità prive di senso, oggi e forse anche allora, questo libro ha un suo interesse per chi voglia "arricchire" il catalogo iconografico dei quadri di Vitali (ci sono riproduzioni a colori diverse da quelle presenti in De Grada) e perché aggiunge comunque alcune informazioni biografiche e bibliografiche; le stesse motivazioni si possono esporre per l'ultimo libro (Galleria d'arte Bergamo, 1989).
A quasi quaranta anni dalla morte, Alberto Vitali rappresenta certamente uno dei maestri della pittura italiana del Novecento, a torto sottovalutato anche a causa del suo esilio volontario. "Artista" nel senso più vero del termine, ha sempre seguito con la più strenua intransigenza il suo ideale d'arte, nel rifiuto più totale per ogni compromesso, "dilettantismo" e interesse personale. E anche questo ingrediente, oltre alla ricchezza del suo "mondo interiore" (per dirla con Amedeo) e alla naturalezza quasi commovente con cui gli dà forma di immagine, traspare nitidamente sulla tela o sul foglio d'incisione. Per concludere, mi pare che a Vitali si potrebbe benissimo riferire un passo de Il fauno di marmo di Hawthorne, dove si accenna (p. 124)
a un artista che ha studiato la natura con amore così dolce che questa l'accoglie nella sua intimità, consentendogli di ritrarla in paesaggi che sembrano la realtà d'un modo migliore e che sono invece la fedele riproduzione degli stessi scenari che ci circondano, osservati dall'interiorità del pittore e per noi interpretati dal suo ingegno.Aggiornamento (2014): è in corso a Palazzo della Ragione a Bergamo Alta la mostra Alberto Vitali e Bergamo: una storia d'arte e di nascosta bellezza fino al 6 gennaio 2015. Folla delle grandi occasioni all'inaugurazione, segno di vivo interesse per Vitali. Allestimento molto bello e quadri da non perdere. Non mancate di visitarla!
Salve sono disponibile alla vendita del quadro di Alberto Vitale il ''bevitore''pubblicato su subito.it a Agrigento, se siete interessati contattatemi con fiducia.
RispondiEliminaGrazie e a risentirci mio cell-339.3030.180