venerdì 4 gennaio 2019

Lo studente

di Nathaniel Hawthorne
Sellerio, Palermo, 2000

Ritornò mentalmente a quegli anni che, nonostante la sua giovane età, aveva speso in studi solitari - in conversazione con i morti - quando aveva disprezzato la possibilità di mescolarsi al mondo vivente, o di agire spinto da una qualsiasi delle sue ragioni. Si domandò il perché di tutta quella fatica distruttiva; e dov'era poi la felicità di possedere una conoscenza superiore? Aveva salito solo pochi gradini di una scala che portava all'infinito - aveva speso una vita per scoprire che, dopo mille di tali esistenze, non avrebbe saputo nulla in confronto a quello che c'era da sapere [...]; e in quel momento avrebbe preferito il sonno senza sogni dei bruti destinati a morire all'attributo più orgoglioso dell'uomo, l'immortalità.
Ci sono diversi modi di leggere questo libro. Se ci limitiamo alla trama, c'è più o meno da mettersi le mani nei capelli: è la storia di due "studenti" (uno dei quali, Fanshawe, dà il nome al titolo originale) invaghiti della stessa fanciulla (Ellen, le cui qualità sono bellezza, innocenza e... talento gastronomico, non disgiunte da una cospicua eredità futura) che dovranno strappare al "cattivo", il quale ordisce un piano assolutamente ridicolo per rapirla e si comporta da perfetto idiota quando viene scoperto da Fanshawe. L'architettura piuttosto grezza del racconto segue in buona sostanza i canoni di un blando romanzo gotico (la fanciulla, il rapimento, ecc. ecc.; il tutto trasposto nell'ambiente naturale americano), come chiaramente suggerito dal nome del decano del College attorno a cui avviene la vicenda, il dott. Melmoth, che fa sobbalzare sulla sedia chiunque abbia letto Lovecraft se non Maturin. Questa è però riscattata da alcune scene ben riuscite (la taverna, l'incontro di Fanshawe con le donne nella capanna) e dalle bellissime descrizioni di ambienti naturali che tradiscono la visione romantica del sublime e una fascinazione quasi pittorica per cielo, nuvole e luce.
Se una certa imperizia narrativa può essere imputata all'inesperienza (Fanshawe è il primo romanzo di Hawthorne, che lo pubblicò in proprio e poi se ne pentì, facendo il possibile per ritirare le poche copie ancora in commercio), questa opera prima contiene tuttavia diversi spunti interessanti, in primis per i numerosi elementi semi-autobiografici (forse più di quelli che l'autore stesso intendeva, e forse qui sta la chiave del suo rifiuto). Fanshawe è ovviamente la proiezione dell'autore (si veda l'arguto saggio di Tommaso Giartosio che chiude il libro), un giovane con una figura di cui la Natura fa dono soltanto ai suoi favoriti, ma pallido e consunto dal troppo studio, una mente superiore dedita all'inseguimento del sogno di una fama imperitura che, essendo un sogno, è più forte di mille realtà. Dopo aver conosciuto Ellen si ritrova in un dissidio tra vita ed arte, tra la vita nel mondo con lei e la vita fuori dal mondo, con lo studio, la gloria e la fama ma senza di lei. Dopo averla salvata, sceglierà la seconda, lasciando Ellen al rivale Edward che, dal canto suo, non ha mai avuto dubbi riguardo al dissidio di cui sopra! Tutto non si può avere, il dissidio non si può comporre, anche se invero la figura del dott. Melmoth sembra suggerire la possibilità di una sintesi almeno parziale.
Un commento è anche dovuto alle altre figure: dopo il salvataggio, Edward "sente" che Fanshawe ha acquisito un "diritto" su Ellen e si ritira. Lei, dipinta più o meno come una bambola senza volontà (ma è probabilmente sensato affermare che la letteratura americana del periodo è una letteratura "al maschile") approva questa scelta non dichiarata e, nonostante il carattere di Fanshawe non le si addica per una vita insieme, si sente obbligata ad essere "sua", proponendogli di portarlo su sentieri tranquilli dai quali i vostri pensieri solitari ed orgogliosi vi hanno allontanato. La risposta la sappiamo, lo stucchevole giro di cortesie e rifiuti si conclude ed Edward ed Ellen potranno così seguire la loro vita di una felicità non comune, ma senza gloria né fama: che importanza ha che [...] non abbiano lasciato alcuna traccia?

Non posso però chiudere queste righe senza due parole di natura "alpinistica": la povera Ellen è portata dal "cattivone" sotto uno "strapiombo" che strapiombo non è, avendo una parte inferiore accessibile ed una superiore più scoscesa (ed infatti il testo originale dice precipice, che non implica uno "strapiombo"!). Quando il cattivo vede Fanshawe al di sopra, invece di fargli una pernacchia ed andarsene con la fanciulla, cerca di scalare il dirupo per dargliele di santa ragione, cade e ci resta secco. Il buon Fanshawe, nonostante il lungo tempo dedicato allo studio, discende invece la parete sano e salvo (poi bacia la fanciulla svenuta, ma qui è meglio soprassedere...). Cosa vogliamo valutarlo questo "dirupo" del 1828, un buon III+? E non dimentichiamoci di registrare il primo percorso, in discesa ed in solitaria, della parete: la fama di Fanshawe si estenderà almeno alla storia alpinistica!

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