venerdì 28 aprile 2017

Il clandestino

di Mario Tobino
Mondadori, Milano, 1962

Tutti gli italiani - al di fuori di un'esigua e imbattibile schiera [...] - erano responsabili di quella guerra. Le distinzioni tra i comuni cittadini erano pallide. Molti durante i vent'anni di dittatura dentro di sé o tra fidati amici, avevano imprecato o avevano scherzato sopra il fascismo, ma era un fatto di nessuna importanza, erano soltanto parole. Moltissimi poi avevano applaudito, avevano ufficialmente osannato alle vittorie, nelle Adunate si erano messi la maschera di invincibili guerrieri.
Poi era venuta la guerra mondiale e allora si era capito che la gloria era un affare ben diverso.
Le "oceaniche" adunate, le pacifiche e fiere parate militari, le divise di ogni forma e colore, la inebriante voce di Mussolini, i balilla, i moschettieri del Duce, erano stati una bella commedia, proprio congeniale alla generalità degli italiani. Anche i favorevoli tempi degli abissini, quei comodissimi e disarmati nemici, erano lontani. Ora la gloria costava la morte.
I primi tre capitoli di questo romanzo sono esemplari. Di fatto, non sono propriamente tali: preparano la scena al resto del libro e sono dedicati al 25 e 26 luglio e all'8 settembre del 1943. Lucidissima la disamina della situazione e del carattere degli italiani, che si riscoprono tutti antifascisti dopo la caduta del regime, per tacere della meschinità del famigerato proclama dell'armistizio e di una classe dirigente "composta da imbroglioni che avevano lanciato il paese in una guerra senza la minima preparazione militare". In questo quadro, a Medusa (leggi: Viareggio) riprende vita un'organizzazione clandestina (detta semplicemente il clandestino), le cui vicissitudini costituiscono il resto del romanzo. Tobino invero non è particolarmente interessato a raccontare i dettagli della guerra partigiana ed il dramma dei combattimenti, che sono sostanzialmente relegati nell'ultimo capitolo o in un paio di azioni sporadiche, ma sceglie di descrivere una presa di coscienza, il riconoscersi di tanti giovani e non, di diversa estrazione sociale, nella necessità di agire concretamente contro l'occupazione nazifascista. Così il giovane medico Anselmo, che l'otto settembre "ebbe il primo scossone. Il disastro dell'esercito, del fascismo, dell'Italia lo costrinsero a pensare" dandogli "la decisione di agire, di fare, di collaborare a distruggere un mondo dove si provava gusto a umiliare"; così Prini, Lorenzino, Roderigo, Rosa, ecc. ecc.
Il clandestino si rifà genericamente al comunismo, ed è noto come queste formazioni abbiano giocato un ruolo di primissimo piano nella Resistenza. Tuttavia, le descrizioni delle conversioni dei giovani alla fede comunista suonano a volte un po' ingenue, dall'avvocato che "vedendo meglio le ingiustizie e i vincoli in cui il popolo era tenuto", fa "voto di dedicare le sue forze a liberarlo" e che "già a quel tempo era genericamente diventato comunista" al figlio del banchiere (!) che "confusamente ansimava di distinguersi in una causa bella" e a cui viene spiegato che "il comunismo è la più bella bandiera, l'unica" fino al calafato che viene guardato "con una sorta di invidia" dai giovani di estrazione più borghese (viene da pensare a Gli operai di Gaber). Per fortuna l'autore ironizza qua e là, su "il Partito, il vero, l'unico, l'autentico, il sacro", che "dava sempre la parola giusta".
Tobino è anche attento a rappresentare le diverse opposizioni al fascismo: i ragazzi del clandestino vagheggiano ispirazioni comuniste, l'ammiraglio Saverio è un monarchico, e se don Ambrosoni "non ha voluto capire. Non ha avuto coraggio di uscire dalla sua trincea" per unirsi al clandestino, don Filiberto rappresenta l'opposizione in seno alla Chiesa: "io voglio collaborare con voi; dall'altra parte c'è il male, lo voglio combattere" (come non ricordare don Pietro di Roma città aperta?). Il comportamento di questi giovani fa da contraltare all'ignavia del resto del paese, dove la gente si dedica al mercato nero o ai propri interessi, come il prof. Vanvitale, sodale dei fascisti che dà soldi al clandestino per ingraziarsi un possibile governo futuro, o il giudice che non si vuole compromettere: "ricordati come mi sono comportato, che ufficialmente ero sì dall'altra parte ma facevo il vostro gioco". Dall'altra parte c'è invece un ufficiale austriaco che "non era mai stato accecato dal nazismo" ed i fascisti nostrani, perlopiù amanti del manganello dipinti senza particolari qualità, dal cialtronesco Badaloni ai feroci Rindi e Nencini, fino all'abile Aimone.
Il clandestino si organizza, prende contatto con le forze alleate e con i comandi della Resistenza, riceve armi e munizioni, prepara la guerra partigiana. Il resto è quasi una conseguenza, descritta di una fretta che sa già della disillusione che si legge al principio del libro: "[...] credemmo che gli uomini fossero santi, i cattivi uccisi da noi [...]. Con pena, con lunga ritrosia, ci ricredemmo".

sabato 8 aprile 2017

Il sole di David e Michelangelo

Luca sul 2° tiro.
Sul 3° tiro.
Luca sul 4° tiro.
Sul 5° tiro.
Luca sul 6° tiro.
Sul 7° tiro.
Piccolo Dain (parete della centrale) - Valle del Sarca
Parete S

È la stagione della Valle del Sarca; anzi, sta già finendo, viste le temperature. E per gustare appieno un'arrampicata dal sapore quasi estivo, lasciamo i Colodri dell'ultima visita e ci portiamo più a nord, nella parte della parete del Limarò sopra la Centrale. Qui corrono alcune vie sportive con chiodatura ottima e frequentazione elevatissima, decisamente da sconsigliare nel fine-settimana. In alternativa, se non temete la chiodatura un poco più distanziata (ma sempre buona nei tratti più impegnativi), potete dare un'occhiata a tre itinerari aperti dal gruppo dell'instancabile Heinz Grill, riconoscibili per il richiamo aulico dei nomi. E vista la giornata di caldo e sole, non possiamo resistere al richiamo fiorentino di una delle vie in questione, venendo ampiamente ripagati da un'arrampicata sempre gradevole e mai estrema.
Accesso: da Arco risalire la valle del Sarca fino al paese di Sarche e prendere a sinistra al bivio, seguendo le indicazioni per Tione e Madonna di Campiglio (SS 237). Poche decine di metri dopo il bivio, all'altezza di un distributore di benzina, si sale per una stradina a destra (indicazione di parcheggio) e si lascia l'auto in corrispondenza del bocciodromo. Si torna sulla Statale e la si segue e, poco prima del ponte sul Caffaro, si tiene la destra per una sterrata che porta ad una diga, dove troverete probabilmente una lunga coda di cordate che attendono il loro turno per salire le vie sportive. Poco prima, sulla destra, vi sono gli l'attacchi de La scuola pitagorica e Hans Dulfer e della nostra via (scritta), molto probabilmente senza code.
Relazione: via assai piacevole che sale la parete S del Limarò con arrampicata su muretti verticali, non senza farsi mancare brevi passaggi in lieve strapiombo o fessura. Il percorso è sempre ovvio; la chiodatura buona a spit artigianali, chiodi e cordoni, sicura nei tratti impegnativi e più distanziata in quelli facili: utili friend medi per integrare i tratti in fessura. Passi di VI obbligato. Tutte le soste sono su uno spit e un fix tranne la quarta, su un chiodo e uno spit. La roccia è ottima, non ancora unta dalle ripetizioni. Una via da consigliare.
1° tiro: salire il muretto sopra la scritta e piegare a sinistra, tra cenge e tratti in traverso, fino alla sosta. 30m, IV+, V-; tre chiodi (due con cordino), un cordone su pianta, un cordone in clessidra.
2° tiro: a sinistra della sosta a raggiungere un pulpitino che si risale, per proseguire poi su una bella placca lavorata. 40m, V-, V, VI-; tre spit, due cordoni in clessidra.
3° tiro: superare un breve saltino e proseguire lungo la bella placca, uscendo lievemente a sinistra. 35m, VI-, VI, V; due spit, un chiodo, tre cordoni in clessidra.
4° tiro: a destra della sosta a superare un muretto per proseguire poi su placca più facile fino alla sosta. 20m, 5c (passo), V+, V; uno spit, un chiodo, un cordone in clessidra.
5° tiro: salire lungo la fessura verso sinistra e attraversare a destra in lieve strapiombo. Salire brevemente a traversare ancora a destra giungendo in sosta con passo delicato; 15m, 6a, V+; tre chiodi (due con cordino), uno spit, un cordino in clessidra. Tiro breve, ma molto bello.
6° tiro: salire la bella placca di movimento sopra la sosta. 30m, VI-, 6a+ (un passo), V+; quattro spit, quattro cordini in clessidra.
7° tiro: in obliquo verso sinistra a puntare ad un una spaccatura in un muretto verticale, che si risale facilmente. Ci si sposta a sinistra e si rimonta un pilastrino fino alla sosta. 30m, V, V+; tre spit, tre cordoni in clessidra, un cordone su pianta.
8° tiro: salire verso sinistra e traversare a destra su muretto leggermente aggettante. Salire la paretina finale e raggiungere la sosta. 35m, V+, 5c, V; un chiodo, tre spit.
Discesa: salire a sinistra seguendo una traccia che incontra il sentiero di discesa del Dain, che si segue verso destra fino al parcheggio.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.