giovedì 9 ottobre 2014

La noia

di Alberto Moravia
Bompiani, Milano, 1961 (1a ed. 1960)

Ma io ero ormai su una strada che sentivo al tempo stesso fatale e sbagliata; e così mi accanivo a ricercare nel possesso fisico, che pur sapevo illusorio, quel possesso reale di cui avevo un così disperato bisogno. Forse, gettandomi sul corpo compiacente di Cecilia mi pareva di rivalermi, in quelle due ore di fallace presenza, dell'assenza degli altri giorni; forse, cercavo nella sua docilità inalterabile un motivo di noia e dunque di liberazione. Ma il corpo di Cecilia non era Cecilia e quel che fosse Cecilia non riuscivo a saperlo.
Dino è un rampollo di ricca famiglia romana che, più o meno come altri illustri predecessori (Zeno Cosini di Italo Svevo o Antoine Roquentin di Sartre per dirne un paio), soffre di noia. Non la noia che si cura col divertimento, come ben spiegato nel prologo, ma una perdita di contatto con la realtà: gli oggetti, le persone non hanno alcuna relazione con Dino, che vive sin dall'adolescenza in una perenne alienazione. Per vincere tale condizione si fa pittore (fin troppo facile l'analogia colla tela bianca che campeggia nello studio...), fugge dalla madre, ricca borghese perfettamente a suo agio nel mondo e dedita all'accumulazione di ricchezze, e tenta pure in qualche modo di fuggire dalla sua condizione sociale, ma invano.
Sotto questo segno nasce la relazione con Cecilia, una giovane ragazza apparentemente priva di personalità che si cura solo del soddisfacimento contingente dei piaceri materiali, perlopiù fisici. Sul punto di interrompere la (noiosa) relazione, come Dino fa con qualunque cosa, il comportamento di Cecilia diviene improvvisamente più ambiguo, scatenando per reazione l'interesse e, intuitane la causa, la gelosia di Dino. Nasce così la smania di "possesso" del protagonista, che lo condurrà ad una folle gelosia e ad un brusco epilogo.
Dino incarna perfettamente il personaggio borghese "classico": concepisce la relazione amorosa in termini di possesso (la parola ricorre nel testo con frequenza quasi fastidiosa), da conquistarsi alla bisogna col "possesso fisico" (ma 'ndo vivi??), col denaro (come fa la madre con lui) o con lo status sociale (l'offerta di un ricco matrimonio), e lo stesso sentimento di gelosia non è mosso tanto da amore tradito quanto dal timore che altri possano raggiungere quel "possesso" che a lui è negato. Cecilia, d'altra parte, pur non essendo di estrazione borghese, sembra veramente la persona più noiosa della letteratura italiana del '900 (e forse non solo...): senza interessi, senza sentimenti, indifferente a tutto e, in ultima analisi, a tutti. Ha però un'egoistica vitalità e libertà che manca a Dino, mista ad un tocco di femme fatale: è lei, diciassettenne (qualcuno potrebbe invitarla alle "cene galanti"), a cercare le relazioni con Dino e con Balestrieri, conducendoli entrambi verso un simile destino.
Resta lo spiraglio del finale, unica possibile via d'uscita per quanto incerta e confinata nel breve epilogo. Lineare e scorrevole la prosa, ma (immagino volutamente) senza virtuosismi.

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