giovedì 29 agosto 2013

L'anno scorso a Marienbad

di Alain Robbe-Grillet
Einaudi, Torino, 1961

film di Alain Resnais, 1961

Sembrava, a prima vista, impossibile perdervisi... a prima vista... lungo i viali rettilinei, tra le statue dai gesti statici e le lastre di granito, dove già ora stavate perdendovi, per sempre, nella notte tranquilla, sola con me.
Dopo Senso di Boito mi ritrovo a parlare di un libro da cui è stato tratto un film, ma con una prima notevole differenza: qui scrittore e regista si incontrano (nel 1959) e decidono di lavorare ad un progetto comune, che viene svolto da Robbe-Grillet in termini di "sceneggiatura" (in realtà uno scritto a metà tra il romanzo e la sceneggiatura) per essere poi girato da Resnais. È lo stesso Robbe-Grillet che spiega la genesi del progetto in un'introduzione sommamente interessante che fornisce tutte le chiavi per "decifrare" il lavoro: la vicenda è - per citare l'autore - la storia di una persuasione, di un uomo che incontra una donna in un lussuoso e un po' lugubre albergo di lusso e la convince che si sono già visti un anno prima, che sono stati amanti e che lui torna all'appuntamento fissato da lei per portarla via. Dopo un po' di resistenza la donna cederà, abbandonando il mondo che le è familiare per l'ignoto. Ma la trama è poco più di un pretesto per esplicitare i dettami del nouveau roman, ch'essa segue fedelmente. La storia si sviluppa senza un procedimento lineare ma seguendo piuttosto uno schema mentale senza distinzione tra avvenimenti e ricordi degli stessi da parte dei diversi personaggi; un procedimento che non ammette interpretazioni oggettive, che non colloca la vicenda e i personaggi nel tempo e nello spazio ma li fa vivere solo nel preciso momento in cui sono presenti sullo schermo. Così i personaggi non hanno nome, non hanno una storia che vada oltre quanto viene mostrato hic et nunc sullo schermo, non c'è un baricentro della vicenda: lo spettatore è costretto a constatare i fatti mostrati e a creare i collegamenti necessari nella propria mente, senza che il regista gli suggerisca alcunché. L'ambientazione sontuosa e barocca, le infinite ripetizioni, i continui riferimenti agli oggetti (i corridoi, le porte, il giardino, le statue,...) contribuiscono a togliere ogni senso "filosofico" o "culturale" agli stessi; portano di nuovo ad una semplice constatazione della loro presenza, rimandano all'impossibilità di attribuire un significato alle cose. Il film, l'opera d'arte, non produce "senso", non ha un "messaggio" da portare (il che non vuol dire che l'artista non si occupi del mondo): è ancora allo spettatore che è richiesto di farsi parte attiva e collegare le immagini nel modo che sia più congeniale alla propria sensibilità.

Detti così, libro e film sembrano sinonimi di un annoiato quanto certo appisolamento dopo cinque minuti. Certo, il film non è quello che si dice "facile" e se lo standard delle vostre frequentazioni della lanterna magica sono certi capolavori dove scorrazzano risibili agenti segreti o altri più o meno soprannaturali difensori del "bene" (soprattutto quello delle società di produzione dei film) vi sconsiglio la continuazione e sarei francamente stupito di sapervi giunti fin qui; se invece siete non dico appassionati, ma anche solo incuriositi dal Cinema, quello "vero", quello "bello", quello un po' insolito che non si dimentica all'uscita della sala e non conoscete questo unicum, provvedete (meglio vedere il film che leggere il libro - a parte l'introduzione - e poi lo stesso R.-G. vedeva il secondo come preliminare al primo)! Lasciatevi trascinare dalle immagini senza cercarvi una "logica cartesiana" e ne sarete ripagati.

Ecco l'inizio del film:


È infine d'obbligo una menzione al gioco dei fiammiferi o delle carte in cui M (uno dei tre personaggi) vince sempre. Il gioco del Nim e la strategia da adottare sono spiegati ad esempio qui; l'ingegnere Alain Robbe-Grillet inserisce un gioco razionale in questa vicenda, ma nessuno di coloro che vi si cimentano ne capisce la logica!

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